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Serve davvero un Red Button della Polizia di Stato contro le fake news?

Fake news: serve davvero un bottone rosso della Polizia per combatterle?

La Polizia di Stato ha introdotto sul sito un bottone rosso che chiunque può usare per segnalare fake news. Non sono mancate polemiche e critiche.

Di iniziative contro le fake news, nel tempo, ce ne sono state tante e tante hanno sfruttato una certa dimensione partecipativa, coinvolgendo direttamente utenti e community più attive nella verifica delle fonti e nel debunking. Non stupisce allora, almeno in parte, che la stella sotto cui è nata l’ultima trovata italiana contro la diffusione delle bufale online sia «c’è più sicurezza insieme»: questo è, infatti, lo slogan con cui è stato presentato il nuovo Red Button contro le fake news della Polizia di Stato (lo strumento risulta non più attivo a settembre 2018, ndr).

Cos’è e come funziona il bottone rosso della Polizia di Stato contro le bufale

Di cosa si tratta? Di uno strumento con cui qualsiasi utente, in qualsiasi momento, può segnalare una notizia, un link, un’informazione sulla cui veridicità nutre dei dubbi perché venga verificato, appunto, dalle autorità in questione. Per usare il nuovo bottone rosso contro le fake news, insomma, non serve essere registrati, né creare account ad hoc o loggarsi in qualche modo: basta collegarsi al sito ufficiale del Commissariato di Polizia online e, dalla sezione dedicata, segnalare la risorsa che si reputa fake. Si può segnalare direttamente il link che si pensa riporti una bufala e, allo stesso tempo, fornire una serie di dettagli aggiuntivi come le piattaforme social su cui si è visto circolare la notizia o qualsiasi altra informazione in più che possa essere utile per il lavoro di verifica. Cosa succede a questo punto è la domanda a cui un dettagliato post sulla pagina Facebook ufficiale della Polizia di Stato (del resto molto attiva, più in generale, quando si tratta del contrasto di crimini da social network come cyberbullismo, hate speech, ecc., ndr) prova a rispondere. La Polizia Postale verificherà in maniera preliminare la segnalazione che, se sarà reputato necessario, verrà presa in carico successivamente dal CNAIPIC, il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche. L’utilizzo di software e tecniche ad hoc, a questo punto, dovrà assicurare l’individuazione di smentite o di fonti ufficiali e verificate che attestino la falsità del contenuto. Una volta accertato che ci si trovi davanti a una fake news il passo successivo sarà «viralizzare la contronarrazione istituzionale», scrivono dalla Polizia Postale, dando cioè il necessario spazio sui canali ufficiali online alle smentite e alla versione corretta dell’informazione in questione. Un po’ meno chiari sono, al momento, gli effetti più sistemici del Red Button: se la segnalazione di una presunta fake news alle forze dell’ordine possa tradursi nell’obbligo di rimozione per le piattaforme che la ospita, per esempio, è uno dei dubbi più diffusi tra chi si occupa della materia e che, del resto, solleva riflessioni più ampie e ancora in parte irrisolte sulla responsabilità dei gestori, solo per fare un esempio. Al momento dalla Polizia si limitano a sottolineare come il cittadino che abbia fatto la segnalazione possa rimanere in contatto con il team e ricevere assistenza, per esempio, su mezzi e strumenti da poter utilizzare nel caso in cui la notizia falsa causi un danno alla sua persona e alla sua reputazione o ci siano gli estremi legali per la diffamazione.

Un bottone rosso contro le fake news in tempo di campagna elettorale

Perché la necessità di affidare la lotta alle fake news all’organo di Polizia? A convincere il Ministero dell’Interno potrebbero essere stati alcuni dati, preoccupanti, sul dilagare delle fake news: come quelli secondo cui, per esempio, una buona percentuale degli studenti non sarebbe in grado di distinguere una bufala da una notizia vera o sia stata esperienza comune tra gli internauti condividere, consapevolmente o meno, almeno una volta una notizia fake. Più che la misformazione, però, il bottone rosso sembra prendere di mira il clima di odio e la macchina del fango che potrebbero innescarsi durante l’imminente campagna per le elezioni del 4 marzo 2018. Nella presentazione ufficiale del Red Button della Polizia si fa riferimento esplicito, infatti, alla «necessità di arginare, con specifico riguardo al corrente periodo di competizione elettorale, l’operato di quanti al solo scopo di condizionare l’opinione pubblica, orientandone tendenziosamente il pensiero e le scelte, elaborano e rendono virali notizie destituite di ogni fondamento, relative a fatti o argomenti di pubblico interesse». Gli ultimi appuntamenti con le urne, del resto, sembrano aver destato in molti Paesi il dubbio di una vittoria conquistata a colpi di post-verità, una verità cioè confezionata ad arte, ben oltre il normale lavoro di spin doctoring.

Quella delle fake news, per esempio, è diventata una issue ricorrente nel mandato del presidente americano Donald Trump: dalle accuse da parte della stampa di diffondere notizie appositamente manipolate su questioni come quella ambientale alle controaccuse del repubblicano e del suo staff ai media per la presunta pubblicazione di bufale sul suo conto (a gennaio 2018 Trump ha addirittura assegnato un Oscar delle fake news, ndr), questo anno di presidenza non ha fatto che minare il rapporto con i mezzi di comunicazione tradizionali, con effetti deleteri sulla fiducia da parte dei cittadini elettori. Neanche la politica italiana sembra immune a episodi di questo tipo: gli attacchi ad personam, quelli sistemici (come quando circolò la notizia, ovviamente falsa, delle massime autorità dello stato presenti al funerale del noto boss mafioso Totò Riina), persino una vera e propria rete di troll che alimentano, di caso in caso, il flame o un dibattito di parte (ultimi in ordine di tempo i finti utenti Twitter che ringraziavano il governo per la gestione del post-terremoto in centro Italia) sono fenomeni che hanno già inquinato anche il discorso politico italiano.

Polizia, fake news, libertà di espressione, democrazia

Un bottone rosso in mano alle forze di Polizia, in questo contesto, può servire davvero a rendere migliore e più sano il clima elettorale? La misura adottata dal governo italiano, già a poche ore dalla presentazione, sembra essersi tirata contro le critiche di giornalisti, professionisti dell’informazione, esperti del settore. Quello tratteggiato quasi all’unanimità è un panorama quasi orwelliano, di pericoloso controllo e censura delle opinioni. C’è chi riflette sull’impossibilità di definire, con esattezza, di cosa si parla quando si parla di fake news, specie in un contesto particolare come quello della comunicazione politica . Gli artifici retorici e le verità montate ad hoc infatti fanno da sempre parte della cassetta degli attrezzi di un candidato in campagna elettorale. «Se un politico dice che nessun paese al mondo prevede dieci vaccini obbligatori come fa l’Italia e non è vero, sta spacciando una notizia falsa? E se dopo che glielo fai notare, la ribadisce, è recidivo? E se una sindacalista dice che abbiamo l’età pensionabile più alta d’Europa e l’orario di lavoro più lungo – falso anche questo – va denunciata alla polizia? Magari assieme all’altro leader che sostiene che in Italia c’è il record di delitti, quando non sono mai stati così pochi? E con quello che proprio ieri ha detto che l’innovazione distrugge posti di lavoro mentre si registra il record storico di occupati in Italia, in Europa e negli Stati Uniti? Ovviamente no, per noi», scrive così Riccardo Luna su Agi in una riflessione sul nuovo strumento della Polizia contro le fake news. Il commento di Arianna Ciccone, co-fondatrice di Valigia Blu, mette in luce invece soprattutto il carattere anti-democratico di un’iniziativa come questa: può rivelarsi il primo passo verso una «verità di Stato» – scrive in un post su Facebook – oltre che una sorta di «deterrente per cui molte persone per timore di una eventuale segnalazione saranno portate ad autocensurarsi». C’è chi mette in guardia anche dal rischio di un accentramento dei poteri, inaccettabile in uno stato di diritto, e chi sottolinea la sproporzione tra mezzi (quelli che dovrebbero essere usati per occuparsi di cybersecurity a livello infrastrutturale) e risultati.

Ieri il Ministro Minniti insieme alla polizia ha annunciato questa iniziativa per combattere e contrastare – a loro…

Posted by Arianna Ciccone on Thursday, January 18, 2018

Ha ragione Arianna quando dice che occorre prendere una posizione su questa iniziativa che delega alla Polizia una parte…

Posted by Giovanni Boccia Artieri on Friday, January 19, 2018

Chiedersi, insomma, se il Red Button contro le fake news della Polizia di Stato funzionerà significa prendere in considerazione numerosi aspetti diversi, di cui alcuni hanno a che vedere persino con l’esperienza utente. Al di là dei primi errori tecnici che pare lo strumento abbia manifestato a poche ore dal suo lancio e nonostante un’interfaccia intuitiva, infatti, non si può non considerare lo sforzo, anche di motivazione, consistente che richiede all’utente. Non si tratta, infatti, di segnalare come fake una notizia là dove la si legge, ma è uno strumento che implica l’uscita da luoghi delle Rete noti per la loro vischiosità, come i social network appunto. Con buona probabilità, insomma, solo un utente realmente motivato (o, in maniera non più desiderabile, chi abbia la querela facile) si farà carico di un simile sforzo. Non sorprenderebbe, allora, se i numeri sull’utilizzo del bottone rosso dovessero risultare estremamente bassi. Le ragioni di un suo eventuale insuccesso sarebbero in tutto e per tutto uguali a quelle che hanno decretato la sfortuna di altre iniziative simili: la lotta alle fake news dovrebbe essere, infatti, innanzitutto una battaglia culturale. Sempre che abbia senso di esistere, s’intende: i rischi di una verità di Stato paventati da una misura poliziesca contro le fake news come questo ricordano, infatti, che se si impara a maneggiarle con cura – come sottolinea Andrea Fontana in “#iocredoallesirene” – esse possono rivelarsi addirittura utili contro la tirannia di un pensiero unico, calato dall’alto.

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