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Così i resi “seriali” mettono alla prova l’eCommerce

Così i resi e recessi “seriali” mettono alla prova l’eCommerce

Ogni eCommerce ha la propria policy per quanto riguarda resi e recessi. L’aumento sconsiderato nel tempo, però, sembra minacciare i retailer.

Le statistiche sugli acquisti online hanno sempre un’aura incoraggiante: gli utenti amano fare shopping digitale perché permette loro di accedere a un catalogo pressoché infinito, anche di venditori internazionali per esempio, di usufruire di sconti e coupon o di approfittare di promozioni speciali come quelle di Black Friday e cyber monday – per cui gli italiani avrebbero speso nel 2016 in media 112€ a persona contro i 79 del 2015 –. Quello che non si dice altrettanto spesso è che l’ ecommerce non rappresenta sempre una soluzione vantaggiosa, quando non addirittura sostenibile, per i venditori. La colpa? È dei costi che alcune pratiche connesse alla vendita online impongono al retailer, soprattutto se piccolo e non in grado di trarre vantaggio dalle economie di scala. Prima fra tutti, a sentire almeno i risultati di uno studio condotto da Barclaycard, la questione dei resi.

Resi e recessi: cosa dice la disciplina europea

Ogni venditore digitale, infatti, può avere una propria policy per quanto riguarda restituzioni e recessi. Policy che, a livello europeo almeno, deve essere in linea però con la disciplina comunitaria (la direttiva UE 2011/83/CE, ndr) che prevede, semplificando,

  • un tempo di 14 giorni dopo aver ricevuto la merce per dare comunicazione al venditore della volontà di restituirla;
  • ulteriori 14 giorni dopo la comunicazione per spedire al negoziante la merce indesiderata e perché questo provveda al rimborso di denaro;
  • un obbligo d’informativa in capo al venditore nell’ipotesi in cui i costi di recesso debbano essere sostenuti dal cliente, violato il quale viene prolungato a 12 mesi il limite per il consumatore di esercitare il diritto di recesso.

Secondo lo studio di Barclaycard, così, sarebbero proprio policy sui recessi particolarmente garantiste sul fronte dei clienti a danneggiare, almeno in parte, gli online retailer. La crescita dei resi nel 2016, in particolare, avrebbe intaccato i margini di profitto di oltre il 30% degli eCommerce.

Perché chi compra online sta attento alle policy sui resi

La questione resi è, insomma, un’arma a doppio taglio. Da un lato, infatti, sarebbe proprio la possibilità di restituire gli acquisti indesiderati che convincerebbe una fetta consistente di utenti a comprare online; dall’altro, il rischio “serial returner” (così si sono espressi dalla Barclaycard per indicare chi fa dell’esercizio del diritto di recesso un’abitudine, ndr) è dietro l’angolo.

La ricerca in questione ha dimostrato, del resto, come tre acquirenti su dieci comprino volontariamente più di quanto abbiano bisogno, contando sulla possibilità di restituire successivamente la merce indesiderata ed essere rimborsati. Uno su cinque comprerebbe, addirittura, più versioni dello stesso prodotto – in colori o taglie diverse, se si pensa per esempio all’abbigliamento – per avere la possibilità, una volta ricevutolo, di scegliere quello che fa più al caso proprio e restituire gli altri. Il 58% degli intervistati ha ammesso, poi, che una buona policy di recesso è uno dei motivi per cui sceglie di acquistare online e da quale retailer farlo, anche se il 47% non sarebbe disposto a pagare per lo stesso tipo di servizio. La facilità con cui si riesce a esercitare oggi il diritto di recesso, insomma, sembra essere alla base di quella che qualcuno ha già indicato come l’esplosione della bolla dei resi: nella maggior parte dei casi basta, infatti, rispedire indietro la merce tramite posta o corriere o recarsi presso alcuni esercizi commerciali pensati ad hoc.

Perché i resi non convengono ai retailer

Dal lato del retailer ciò si traduce in difficoltà non indifferenti a gestire la propria attività e in un impatto chiaramente negativo sulle performance quotidiane – ipotesi vera per il 57% del campione –. Nella maggior parte dei casi, ciò costringe i venditori a recuperare i costi in qualche modo. La soluzione più praticata, in questo senso, consiste nell’offrire la possibilità di reso gratuito, ma anche nel compensare con costi di spedizione maggiore, soluzione praticata da circa il 33% dei retailer. L’alternativa, a cui ricorrerebbe almeno il 20% di chi ha un eCommerce, è aumentare il prezzo del prodotto. La scelta più drastica, che ha riguardato quest’anno secondo lo studio in questione più di un venditore su cinque, è quella di rinunciare all’online e focalizzarsi sul canale fisico.

Le soluzioni possibili contro la bolla dei resi che minaccia l’eCommerce

Dati come questi mostrano chiaramente che «la spesa online continuerà a crescere e, con essa, la necessità per i rivenditori di rispondere alle domande dei clienti pur proteggendo la propria bottom line», come ha sottolineato Sharon Manikon, Director of Customer Solutions di Barclaycard.

Gli stessi “serial returner”, del resto, sembrano aver individuato delle buone pratiche che potrebbero calmare la situazione resi. A partire, per esempio, dalla necessità – se di abbigliamento e accessori si tratta – di adottare delle taglie standard e facili da riconoscere: è il desiderio del 38% degli e-shopper davanti a un sistema che, allo stato attuale, cambia non solo di rivenditore in rivenditore ma, a volte, anche all’interno dello stesso. Il 18% di chi compra online, invece, dichiara che una migliore esperienza in store (meno tempo di attesa alla casse, ai camerini, ecc.) potrebbe essere una soluzione contro i resi seriali. E, con una non inedita fiducia nell’hi-tech, c’è chi sostiene che anche soluzioni come camerini virtuali – in grado di far visualizzare come calza l’indumento che si sta comprando – o soluzioni che permettano di accertarsi delle caratteristiche specifiche di un oggetto o dell’elettronica di consumo potrebbero dissuadere, per esempio, da acquisti e recessi in serie.

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