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Restyling di Barbie: come sopravvivere alla morte del mercato dei giocattoli "per bambine"

Restyling di Barbie e la fine dei giocattoli

Il restyling di Barbie è la strategia adottata per provare a sopravvivere alla sparizione dei sessi e alla morte del mercato dei giocattoli "per bambine".

Nel 1997 il gruppo danese Aqua cantava, nella celebre canzone “Barbie girl“, «life in plastic, it’s fantastic». La vita di Barbie è però ancora così fantastica? Il forte calo nelle vendite per il prodotto di punta di Mattel, avuto dall’inizio degli anni 2000, ha spinto l’azienda, seppure con una certa lentezza, a cercare di comprendere perché i consumatori si stessero orientando verso altri prodotti e a reinventare la propria bambola pur di arrestare tale fenomeno. Una reazione, questa, forse tardiva e ancora troppo timida per rispondere alle esigenze di un mercato che, dalla messa in produzione di Barbie nel 1959 a oggi, ha subito profondi cambiamenti che richiedono un massiccio intervento di restyling di Barbie.

Erroneamente e per certi versi inspiegabilmente, Barbie è probabilmente una delle icone pop più fraintese del secolo. Spesso accusata di essere un simbolo sessista, ha invece rappresentato un evidente e marcato esempio femminista, sia come prodotto che ha reinventato il mondo dei giocattoli per bambine che per la storia che Mattel ha costruito attorno al suo personaggio.

LA RESPONSABILITÀ DI PRODOTTO E GLI ATTACCHI ALL’ASPETTO FISICO DI BARBIE

Gli anni successivi alla commercializzazione delle Bratz, la prima linea di bambole in grado di erodere la fetta di mercato che Barbie si era duramente conquistata negli anni, hanno accentuato il trend negativo nelle vendite della bambola di Mattel, culminato, nel 2012, con un drastico calo del 20%.

Mattel, così, è stata costretta ad affrontare un’altra questione spinosa e cioè uno dei reiterati attacchi mediatici da tempo rivolti all’immagine della bambola, che fino a quel momento l’azienda aveva deciso parzialmente di ignorare oppure di prendere in considerazione, ma soltanto attraverso timide azioni. Da sempre sotto attacco per l’aspetto fisico di Barbie, considerato esempio di un traguardo irraggiungibile per qualunque donna in carne e ossa, Mattel ha però dovuto necessariamente affrontare il problema in via definitiva, stabilendo se continuare a proporre il suo prodotto inalterato (che in quel momento sembrava non attirare più il pubblico) oppure correre ai ripari. La questione dell’aspetto fisico di Barbie, come si può ben comprendere, è un tema che ha portato a infinite discussioni, sul piano sociale e psico-pedagogico, ma quello che interessa evidenziare in questa sede è solamente la primaria importanza che tale questione riveste per le sorti di Mattel.

L’azienda di El Segundo è stata ritenuta per anni moralmente responsabile di aver instillato nella mente delle bambine americane un modello di esasperata magrezza e forma fisica difficilmente raggiungibili nella realtà. E sebbene potrebbe sembrare quasi triviale aspettarsi che sia il produttore stesso a premurarsi del messaggio che le fattezze di una bambola potrebbero eventualmente suscitare nella mente di alcuni acquirenti – senza considerare che sarebbe implicito aspettarsi che un genitore sia in grado di spiegare ai propri figli che la bambola riproduce le fattezze umane, ma un essere umano non può ovviamente riprodurre le fattezze di una bambola –, è opportuno tuttavia sottolineare che il mercato principale in cui l’azienda si trova a operare è quello americano. E proprio negli Stati Uniti i consumatori intentano spesso cause per responsabilità di prodotto (“product liability”).

Per comprendere l’importanza che la responsabilità di prodotto riveste per qualunque azienda si trovi a operare sul mercato americano è sufficiente citare il caso Morgan vs Fabergé Inc. del 1975, in cui l’azienda produttrice della colonia venne ritenuta colpevole di non aver informato adeguatamente i consumatori quando un’acquirente si procurò delle ustioni spruzzando il prodotto su di una candela accesa, nel tentativo di ottenere una candela profumata. Un altro esempio potrebbe essere rappresentato dal caso Shuput vs Heublein Inc., in cui il produttore di champagne venne condannato per non aver informato adeguatamente il consumatore dei danni eventuali che il tappo di bottiglia al momento dell’apertura avrebbe potuto causare.
Anche se nel caso specifico della Barbie ci si riferisce non a danni che il prodotto potrebbe cagionare a terzi bensì solamente a interpretazioni che potrebbero scaturire dal solo aspetto esteriore del giocattolo, questo va senza dubbio tenuto in considerazione. L’aspettativa del pubblico americano era che Mattel fornisse un prodotto che fosse moralmente inattaccabile rispetto a qualunque interpretazione possibile.

A questo proposito, e per comprendere la profondità della questione, è sufficiente citare un episodio in particolare, ovvero quando nel 2003 Mattel, per portare avanti un restyling di Barbie, provò a introdurre nel mercato americano quella che può essere considerata una delle bambole che destò maggiore malcontento di sempre. Rimaneva soltanto un aspetto della vita femminile che Barbie non aveva esplorato, dopotutto aveva diverse carriere avviate, un fidanzato e vari possedimenti materiali, ma mancava la maternità. Mattel provò quindi a introdurre timidamente il tema, producendo nel 2003 Midge, l’amica dai capelli rossi di Barbie, con un pancione di plastica tenuto al corpo da un magnete e che poteva essere rimosso, rivelando un piccolo neonato.

Restyling di Barbie e la fine dei giocattoli

Fonte: amazon.com

Le reazioni dei consumatori furono disastrose: la bambola fu ritenuta non solo inappropriata come giocattolo ma addirittura promotrice delle gravidanze adolescenziali, in quanto Midge aveva delle sembianze fin troppo giovani. Inutile dire che il fatto che la bambola non avesse la fede al dito alimentò ulteriormente le polemiche. Mattel fu costretta a ritirare la bambola, ma di lì a poco provò nuovamente a promuovere il restyling di Barbie, dando a questa nuova bambola, Midge, delle fattezze più adulte, mettendole un anello al dito che rappresentava la fede e, forse un po’ ironicamente, un cartonato di suo marito Alan nella scatola, a testimoniare che la bambola rappresentava una donna adulta e sposata. Questo però non bastò a calmare gli animi dei consumatori adirati e Mattel non ci riprovò mai più, almeno fino ai nostri giorni.

cambiano i tempi e anche i consumatori: IL RESTYLING DI BARBIE CHE MIRA ALL’INCLUSIONE

I questionari che Mattel si premura di raccogliere periodicamente hanno un obiettivo ben preciso: gli acquirenti finali delle bambole sono i genitori e bisogna considerare che i genitori millennials sono ben diversi da quelli della generazione precedente. Essi, infatti, sembrano essere molto interessati alle tematiche sociali, al rispetto di tutte le forme di diversità e trovano fortemente discriminatorio l’aspetto di Barbie o quantomeno non più un modello che vogliono entri nella mente delle loro figlie. Per tale ragione, nel 2016 coraggiosamente Mattel ha deciso di intraprendere una mossa decisiva, presentando Project Dawn, ovvero una nuova linea di Barbie con tre nuovi modelli di corpo: “curvy” (dalle forme più morbide), “petite” (più bassa delle Barbie tradizionali) e “tall” (più alta delle Barbie tradizionali).

Qualcuno, però, ha puntato il dito contro questa decisione di Mattel ritenendola come un’ammissione di responsabilità, un taglio netto con il passato, ma il risultato dal punto di vista delle vendite è stato invece più che incoraggiante. Mattel, così, sembrava aver capito che l’unico modo che aveva Barbie di sopravvivere al cambiamento dei tempi, e quindi a quello dei consumatori, era adattarsi: se i genitori Millennials chiedono una maggiore attenzione alla diversità fisica, è necessario che l’azienda si prenda carico di rappresentarli adeguatamente.

Insomma, Barbie deve in qualche modo essere rappresentativa della società attuale, del mercato e dei consumatori a cui si riferisce se vuole continuare a esistere. A inizio 2019 Mattel ha annunciato una nuova linea di Barbie ancora più “inclusive” e, per tale ragione, nel restyling di Barbie sono rientrate la Barbie con una protesi a una gamba e una Barbie su sedia a rotelle.

Restyling di Barbie e la fine dei giocattoli

Fonte: wired.it

In realtà Mattel aveva già proposto nel 1996 una Barbie sulla sedia a rotelle, “Share a smile Becky”, che tuttavia aveva sollevato numerose polemiche perché la sua sedia non entrava nell’ascensore della DreamHouse di Barbie e piuttosto che riadattare l’intera casa di Barbie l’azienda aveva preferito, nonostante un ottimo riscontro nelle vendite di tale bambola, non riproporla successivamente. Adesso sembra che assieme alla sedia a rotelle nella confezione della bambola sarà venduta anche una rampa che le consentirà di accedere alla DreamHouse di Barbie. «Come brand, possiamo elevare la conversazione intorno alle disabilità fisiche includendole nella nostra linea di bambole, per portare avanti una visione ancora più multidimensionale della bellezza e della moda», si legge in una nota ufficiale del 2019 dell’azienda.

una meno marcata distinzione di generi e LA MORTE DEL CONCETTO DI “GIOCATTOLI PER BAMBINA”

Come sottolineato in precedenza, i genitori Millennials sono particolarmente attenti alle tematiche sociali e all’inclusione nei giochi dei loro figli, così come nell’educazione, ma questo non basta. Un’altra tematica che sta particolarmente a cuore ai genitori Millennials è quella che si potrebbe quasi definire come un’abolizione del concetto di sesso per come era inteso fino a pochi anni fa.

Questo lede pesantemente l’identità di Barbie sotto due punti di vista: uno “microscopico” e uno “macroscopico”.
Il problema “delle dimensioni di Barbie” è che, sebbene ella rappresenti una donna estremamente emancipata, Barbie è appunto la rappresentazione di una donna: la sua identità di genere è un aspetto fondante e imprescindibile e non un elemento di caratterizzazione secondario. Inoltre, tutto l’immaginario di Barbie – declinato attraverso sostanziose e insistenti campagne di marketing – trova le sue fondamenta in un amore spiccatamente eterosessuale. Sebbene Ken sia relegato a una dimensione di “super accessorio” di Barbie (citando il film Pixar Toy Story 3) è indubbio che il suo cuore di plastica batta solo per lei e soprattutto è innegabile che egli stesso rappresenti il perno di molti momenti fondamentali della vita di Barbie.

Se però oggi l’amore eterosessuale non fa più parte dell’educazione che i genitori Millennials vogliono impartire attraverso il gioco ai propri figli, la sconfinata serie di “Ken Great Date” (i Ken vestiti col tuxedo, che vanno a prendere Barbie per – come si legge su alcune scatole – «un appuntamento da sogno») e le corrispondenti Barbie in ghingheri che attendono (o forse vanno a prendere loro stesse in auto) il loro amato, si disintegrano, perdendo tutto il loro significato. Stessa cosa per le innumerevoli versioni di Barbie e Ken sposi (ufficialmente, comunque, Barbie e Ken non si sposano mai, ma curiosamente periodicamente appaiono nuove versioni in abiti da matrimonio, ndr).

Restyling di Barbie e la fine dei giocattoli

Fonte: amazon.it

L’altro fronte è quello macroscopico, cioè quello che riguarda il mondo reale.
Il mercato di giocattoli da bambina probabilmente non esiste più. Da anni, lentamente, si è fatta spazio l’idea che i bambini, indipendentemente dal loro sesso, possano e debbano giocare con qualunque tipo di gioco. Chiaramente non è mai esistita una legge scritta che proibisse ai bambini maschi di giocare con le Barbie e similmente non era proibito alle bambine di giocare con Lego o altri giochi simili, ma questo incontrava una persistente e innegabile resistenza sociale. Oggi, invece, agli occhi della società sembra essere meno marcata la distinzione sessuale, il che erode il terreno sotto ai tacchi di plastica di una bambola che, nel bene o nel male, viene vista come stendardo – femminista o sessista – del genere femminile. È ormai il mercato in cui opera Barbie, quello dei giocattoli da bambina, a essere messo in discussione e Barbie e il suo immaginario devono necessariamente adattarsi ai cambiamenti.

Per anni Mattel si è mostrata restia a qualunque pesante cambiamento di immagine della sua bambola, non volendo perdere o mettere in discussione la reputazione che il marchio si era faticosamente – e costosamente – costruito ma, per la prima volta dal 1959, non ha potuto più ignorare il problema, agendo e modificando radicalmente la propria bambola.

Project Dawn è un primo passo, un tentativo che ha mostrato un buon riscontro nelle vendite, indicando una strada che potrebbe garantire la sopravvivenza del brand . Le minacce che Mattel si trova e si troverà a fronteggiare nel presente e nell’immediato futuro, però, rendono la situazione difficile, ma con un po’ di audacia e le scelte giuste (come appunto quella dei nuovi tipi di corpo per la bambola, che stanno riscuotendo il favore del pubblico) potrebbero preservare il mercato di Barbie da ulteriori erosioni e andare a ricatturare il pubblico perso.

Un’altra decisione chiave è quella di proseguire su più segmenti (per esempio esistono le “pink label”, Barbie rivolte a un pubblico di giovani bambine, oppure “black label”, la linea per collezionisti adulti, con bambole più costose e ricercate nel trucco e nell’abbigliamento) oppure abbandonandone qualcuno, cercando di individuare il segmento più redditizio; Mattel dovrà trovare una risposta soddisfacente anche al venir meno dei canali di vendita usati fino a questo momento (i negozi di giocattoli) e dovrà farlo con la stessa audacia e lungimiranza che ebbe Ruth Handler nel trasformare una bambola per adulti nel giocattolo per bambine di maggior successo della storia.

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