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Minacce alla posizione di dominanza di Barbie nel mercato dei giocattoli per bambine

Barbie nel mercato delle bambole: minacce e competitor

Come, dal 2000 a oggi, i competitor sono riusciti a erodere il vantaggio competitivo di Barbie nel mercato dei giocattoli e delle bambole.

Dalla sua nascita fino ai primi anni 2000 il successo di Barbie è stato assoluto: nessun competitor è riuscito nemmeno lontanamente a scalfire il dominio, a livello di vendite, della bambola statunitense. Qualcuno ci ha provato timidamente, ma la reputazione e la radicazione di Barbie nell’immaginario comune (grazie a notevoli e continui investimenti in pubblicità e marketing) le hanno garantito una solida base di acquirenti che non la tradirebbe per nulla al mondo. All’improvviso, però, Mattel ha iniziato ad affrontare varie minacce che hanno messo (e mettono) a rischio la posizione di supremazia di Barbie nel mercato delle bambole.

I primi anni 2000: le Bratz MINACCIANO LA SUPREMAZIA DI BARBIE NEL MERCATO DELLE BAMBOLE

La prima vera minaccia alla supremazia di Barbie nel mercato dei giocattoli per bambini – che fino a quel momento vantava quasi il totale monopolio – è arrivata tra il 2001 e il 2002 (per una spiacevole coincidenza anno della morte di Ruth Handler, la creatrice di Barbie, ndr), quando la MGA (Micro-Games-America) ha messo in commercio una nuova serie di bambole chiamate Bratz. Tali bambole hanno dimensioni simili a quelle Mattel in termini di altezza sicuramente, mentre sono diverse sotto molti punti di vista: sono truccate in maniera molto vistosa, non hanno delle proporzioni realistiche (la testa è molto più grande del corpo) e indossano vestiti molto più “da teenager ribelle” e in un certo senso più alla moda.

Fonte: Wikipedia

In tutto il mondo le bambine hanno iniziato a impazzire per le Bratz e per la prima volta hanno chiesto ai loro genitori una bambola che non fosse Barbie. Esse, però, non sono soltanto la moda di un momento: sono il nuovo concorrente, il competitor, che ha sottratto a Barbie il suo mercato e che riesce persino a superarla nelle vendite. Fa sorridere il fatto che il creatore delle Bratz, Carter Bryant, fosse, al momento dell’invenzione di tali bambole, un dipendente di Mattel, incaricato di disegnare vestiti nuovi per Barbie. Invece che cedere la sua idea a Mattel, Bryant si recò dall’azienda rivale di giocattoli, la MGA, a cui affidò la sua idea, dando vita a un’aspra e interminabile serie di dispute legali tra Mattel e MGA sui diritti di proprietà intellettuale delle Bratz.

È proprio in quel momento che Barbie ha iniziato a mostrare per la prima volta una debolezza, permettendo in qualche modo che il suo pubblico venisse catturato da un’altra bambola e che la sua posizione fosse messa in discussione. In realtà, però, Mattel inizialmente non sembrò prendere sul serio la Bratz, nonostante i risultati del competitor che metteva sempre di più a rischio la supremazia di Barbie nel mercato delle bambole, grazie alle vendite che andavano aumentando. Probabilmente questo veniva identificato come un fenomeno passeggero e quindi Mattel non ritenne necessario intervenire per contrastarle, ad esempio modificando il look di Barbie. Nel 2002, però, mise in produzione una linea di bambole chiamata My Scene, una via di mezzo tra Barbie e Bratz, definibili meglio come una versione “più raffinata” delle Bratz. Similmente a queste ultime, infatti, avevano un trucco molto vistoso, ma avevano proporzioni che le rendevano più simili alle tipiche bambole di Mattel.

Fonte: Wikipedia

La scelta di Mattel fu dunque quella di non toccare la linea delle Barbie, cercando piuttosto di fare concorrenza alle Bratz con una linea del tutto nuova, ma in ogni caso simile a quello che era e rappresentava Barbie, legittimando in un certo senso queste nuove bambole.

Nel 2005, però, MGA denunciò Mattel con l’accusa di aver copiato le Bratz (O. Lobel, “You don’t own me: how Mattel v. MGA entertainment exposed Barbie’s dark side”, in Employee Rights & Employment Policy Journal, 2018, Vol. 22 Issue 1, pp. 159-174).

la crisi dell’industria dei giocattoli E i PROBLEMI DI MATTEL

Negli anni successivi, tra il 2016 e il 2019, Mattel ha deciso di cambiare strategia, di cercare per la prima volta di venire incontro ai nuovi bisogni manifestati dai genitori Millennials, i veri acquirenti di Barbie. Per far ciò ha deciso di mettere in produzione una serie di Barbie più “inclusive” (bambole con diversi tipi di corpo), ma anche più alte, più basse oppure bambole con protesi agli arti. Nonostante i più che incoraggianti risultati nelle vendite, secondo qualcuno in realtà si è trattato di un’ammissione di responsabilità rispetto all’ideale di bellezza irraggiungibile imposto da Barbie negli anni precedenti al suo restyling. Ammissione di responsabilità o meno, l’inclusione, come spesso viene definita, di diverse tipologie di “fisico” che rappresentava diverse categorie di donne si è rivelata, in termini di vendite, la mossa giusta, la reinvenzione necessaria di cui il brand aveva bisogno.

Tuttavia, il territorio in cui Mattel si trovava a operare in quegli anni era comunque molto più ostile rispetto a quello florido e amichevole degli anni ’90 (nel 1997, per esempio, si registrò il più alto numero di vendite di tutti i tempi, anno in cui il marchio Barbie da solo ha portato 40% del fatturato di Mattel, sancendo di fatto il dominio di Barbie nel mercato delle bambole, ndr) e il fallimento della mastodontica catena di negozi di giocattoli Toys “R” Us dà un’idea della gravità della situazione. A prescindere dalla gestione più o meno oculata della suddetta catena di negozi, la crisi dei negozi di giocattoli è un dato incontrovertibile: da un lato la crisi economica mondiale ha fatto sì che i prodotti non di prima necessità – come appunto i giocattoli – da sempre considerati un bene “superfluo” venissero colpiti duramente; dall’altro c’è anche una diversa scelta del consumatore alla base di questo fenomeno, non dettata da ragioni economiche. I bambini delle nuove generazioni, infatti, hanno iniziato a decidere di orientarsi sempre più su dispositivi elettronici (tablet e smarthpone), piuttosto che sui giocattoli tradizionali.

Probabilmente la capacità di astrazione nei più giovani ha iniziato a venire sempre meno e questo ha rappresentato un dato ineluttabile di cui il marchio Barbie non ha potuto non tenere conto. In realtà, fin dagli anni ’90 Mattel si è data da fare per produrre film, videogiochi e siti Internet che in qualche modo digitalizzassero e espandessero la penetrazione della presenza della bambola tra i suoi piccoli consumatori. Tuttavia, in ogni caso si trattava di prodotti che nascevano con la finalità di pubblicizzare le bambole che sarebbero state prodotte sulla loro base e non viceversa, motivo per il quale un’ulteriore espansione di Barbie verso il digitale non avrebbe avuto effetti benefici sul lungo termine.

La perdita del contratto con Disney e del business delle Principesse

Un altro grave colpo per Mattel è arrivato nel 2015, questa volta per mano di Disney. Mattel è stata storicamente partner dell’azienda e si è occupata della produzione delle bambole delle sue Principesse, tratte appunto dai classici Disney. Nel 2015, tuttavia, Mattel ha perso questo contratto vitale (sembra che il business delle Principesse Disney si aggiri attorno ai 500 milioni di dollari annui) in favore di Hasbro, che è riuscita ad accaparrarselo, facendo perdere la supremazia a Barbie nel mercato delle bambole.

La natura del problema è complessa. Disney sembrava voler dare nuova vita al giro delle sue Principesse che si trovava in una fase di ristagno da un po’ di tempo, soprattutto perché Mattel aveva sempre dichiarato – e continuava a farlo – che la priorità del brand era, fondamentalmente, Barbie e così la Disney ha preferito qualcuno che potesse “dedicare la giusta attenzione” alle sue Principesse. Probabilmente, però, la questione è ben più grave: se dagli anni ’90 fino al 2015 il marchio Barbie ha dimostrato di avere la forza e la reputazione necessaria per rappresentare Disney, in quegli anni la forza di quel marchio è stata messa in serio dubbio da parte di Disney, al punto da fargli preferire un cambio di partner. In effetti, in passato si aveva più l’impressione che in ogni caso si trattasse di “Barbie nel ruolo della Principessa Disney”, piuttosto che di un prodotto completamente dipendente; insomma, era sempre l’anima Mattel del prodotto a essere messa in risalto e non la marca Disney.

Senza contare che, fin dai primi anni 2000, Mattel ha prodotto, parallelamente, una linea di proprie principesse tratte dalle favole classiche, ma con dei look completamente inediti e incentrati su Barbie: capitava, quindi, di trovare sullo stesso scaffale di un negozio due bambole di Biancaneve, entrambe prodotte da Mattel, una per Disney, che riproduceva le fattezze del personaggio del cartone animato, e una identificabile come “Barbie nei panni di Biancaneve” con un look e un vestito disegnati interamente da Mattel.

Il danno che Mattel ha subito dalla perdita del contratto con Disney, oltre a quello in assoluto subito da Barbie nel mercato dei giocatori, si è aggravato ulteriormente se si considera che in esso erano inclusi i personaggi del film d’animazione Disney Frozen e in particolar modo i diritti della bambola di Elsa, una dei protagonisti del film.

Fonte: Target.com

Il personaggio di Elsa gode di un’enorme popolarità tra i consumatori, grandi e piccoli, in quanto è stata, nel corso degli ultimi anni, elevata a simbolo del femminismo e dell’indipendenza.

Questo aspetto solleva una questione ancora più spinosa. Nel corso degli anni Mattel ha costruito una storia attorno al personaggio di Barbie che potesse contribuire a rendere la bambola attraente agli occhi delle bambine. La storia di Barbie viene declinata da Mattel attraverso molteplici media come riviste, film in 3D, videogiochi e così via; facendo riferimento però soltanto a quello che avviene sugli scaffali e quindi alla presenza di Barbie nel mercato dei giocattoli, il brand ha mantenuto essenzialmente due modalità comunicative, rappresentate dalla vendita diretta dei modelli di Barbie che vengono commercializzati e immessi sul mercato e attraverso i brevi canovacci che proponeva – fino a qualche anno fa – sul retro delle confezioni, ovvero brevi incipit narrativi che potessero aiutare le bambine a iniziare a concepire una storia di cui la bambola potesse essere protagonista. Nel linguaggio comune, però, “essere come una Barbie” ha iniziato a significare una mancanza di intelligenza per le ragazze, quasi come se fossero fatte di plastica, senza caratteristiche particolari o elevate capacità nei più svariati ambiti.

Anche se è vero che Barbie è fatta di plastica, certamente non le si può imputare la mancanza di creatività o di ingegno: Barbie svolge infinite professioni, senza alcun limite dettato dal suo essere donna, anzi, può svolgere qualunque mestiere e niente la tratterrà dal farlo indossando un completino chic e tendenzialmente vistoso. Nel corso degli anni Barbie ha ricoperto le più disparate professioni: medico, medico veterinario, vigile del fuoco, astronauta, hostess, pilota di aerei di linea, pattinatrice sul ghiaccio, campionessa olimpionica, e così via. E i soldi ricavati dai suoi molteplici lavori devono averle reso bene, perché grazie a essi possiede innumerevoli case, automobili di ogni tipo, camper e persino aerei di linea. Oltre al successo professionale, Barbie ha anche un fidanzato, Ken, che più che essere una bambola indipendente è sempre stato soggetto a strategie di marketing che lo inquadrano come un ulteriore “possedimento” di Barbie (come veniva fatto notare ironicamente in Toy Story 3 – tra l’altro prodotto da Pixar e distribuito da Walt Disney Studios –, dove sulla scatola di Ken è scritto con caratteri più grandi “Barbie”, piuttosto che il suo stesso nome, ndr). Ken esiste come appendice di Barbie, quasi come se fosse un suo accessorio, come i vestiti venduti separatamente.

Oltre a fornire queste indicazioni sulla storia del personaggio di Barbie, comunque, Mattel ha sempre chiarito di non voler dare nulla di più che un semplice canovaccio narrativo alle piccole acquirenti, in modo tale che poi potessero sviluppare da sole la storia, nel gioco, secondo le loro preferenze. Se sulla bambola Barbie iniziano a proiettarsi sentimenti negativi da parte dei consumatori, se viene additata come una bambola sessista, la mancanza di un vero e proprio background solido e soprattutto noto al grande pubblico (come può essere la storia di un film Disney invece) alle spalle del suo personaggio non le ha reso vita facile, soprattutto nel trovarsi sullo scaffale accanto alla Elsa di Hasbro, che invece viene identificata dalla madre millennial come rappresentativa di una donna forte e indipendente. Chi sceglierebbe mai un giocattolo identificato come sessista rispetto a uno identificato come femminista?

La supremazia di Barbie nel mercato delle bambole, allora, sembra ormai definitivamente distrutta, non potendo contestualizzarsi ulteriormente, senza andare a snaturare la sua concezione di giocattolo volto all’immaginazione e alla creazione di storie inedite. Forse allo sforzo che Mattel sta facendo per cambiare l’aspetto fisico di Barbie deve corrispondere anche un tentativo solido di cercare di cementare in qualche modo un background attorno al suo personaggio, che possa fornirle le armi sufficienti per contrastare personaggi con una reputazione più solida che di fatto le stanno sottraendo pubblico e acquirenti.

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