- Macroambiente
- 7' di lettura
Science influencer: così mostrano in Rete il volto seducente (e vero) della scienza

Si chiamano science influencer, sono la versione "social" del divulgatore scientifico e insegnano come comunicare (bene) la scienza in Rete.
Non sono semplici divulgatori scientifici ma veri e propri science influencer . Ossia sono chimici, biotecnologi, fisici, astronomi, esperti di genoma umano che sfruttano le proprie conoscenze – le proprie “hard skill”, verrebbe da dire – per comunicare la scienza in Rete, sui social in particolare, e farlo bene.
Quei meccanismi fiduciari che fanno di un divulgatore scientifico uno science influencer
Che le bufale scientifiche corrano veloci negli ambienti digitali, del resto, non è un mistero e a preoccupare dovrebbero essere soprattutto gli effetti concreti che la misinformazione – o, peggio, la disinformazione – può avere quando un cybercondriaco cerca su Google i sintomi della presunta malattia e i possibili rimedi, per esempio, o quando un utente qualunque vuole farsi un’idea più chiara su grandi temi come il cambiamento climatico o i vaccini. Se le iniziative delle piattaforme per segnalare fonti inattendibili e bloccare o penalizzare i contenuti controversi sono certo indispensabili in questo senso, il più possono farlo proprio quei meccanismi di fiducia che sono alla base dell’ influencer marketing .
Accanto agli science influencer “vip”, ben noti anche al grande pubblico in virtù del proprio ruolo istituzionale o perché anche personaggi televisivi per esempio, che hanno community ampie e da oltre il milione di follower , ci sono infatti micro influencer e nano influencer scientifici che, ogni giorno, spiegano alle proprie piccole community come poter sfruttare la chimica per ottenere il make-up perfetto per il proprio incarnato, cosa c’entra la fisica con gli incidenti che possono accadere quotidianamente in cucina, come evitare le malattie stagionali partendo dalle giuste precauzioni igieniche o perché la malattia mentale uccide come può uccidere qualunque altro tipo di malattia.
Se si potesse guardare più nel dettaglio chi sono follower e contatti di questi piccoli science influencer ci si accorgerebbe che è ormai lontano il tempo in cui la comunità scientifica usava i social network solo per fare networking (è così, se si volesse essere esegeti, che nacque Twitter per esempio, ndr) e che su Instagram o TikTok chi “fa scienza” per professione si ritrova oggi, volente o nolente, a fare anche divulgazione: l’audience della maggior parte degli influencer di scienza è composta infatti, più che da colleghi, dalla cerchia allargata dei propri contatti reali e da chi sa che si tratta di persone che nella vita di tutti i giorni si occupano di medicina, di biologia, di discipline STEM e per questo proietta la loro expertise tecnica anche su quello che fanno online. In altre parole? Chi segue un influencer che parla di fenomeni climatici o di estinzione delle specie lo fa nella maggior parte dei casi perché lo riconosce come un esperto della materia, si fida di lui e tende a considerarne affidabili i contenuti e – cosa ancora più rilevante – a seguirne i consigli.
Se le bufale scientifiche hanno vita corta grazie agli influencer “di scienza”
Per questo sembra anacronistico ormai l’atteggiamento snob di una parte residuale della comunità scientifica nei confronti degli ambienti digitali e dei social soprattutto. E c’è chi come Poynter ritiene che proprio gli science influencer siano ottimi alleati per fare debunking sulle fake news scientifiche certamente, ma anche quando è di interesse pubblico promuovere certi atteggiamenti e certe precauzioni per esempio o fare corretta informazione rispetto a temi caldi di discussione pubblica che, avendo a che vedere con la complessità del mondo scientifico, si prestano facilmente a manipolazioni e storture.
Così gli science influencer italiani hanno fatto buona informazione sui social durante l’emergenza coronavirus
L’emergenza coronavirus in Italia è stata certamente una di queste occasioni. Mentre i media tradizionali contribuivano ad alimentare una infodemia di notizie, in più di un caso di dubbia natura, erano chimici, biologi, medici influencer a fare sui social una comunicazione – se così la si vuole chiamare – davvero di servizio: cosa fare se il proprio comune viene inserito all’interno delle zone rosse o gialle di quarantena? Come preparare in casa il gel igienizzante mani introvabile nei negozi? Quali prescrizioni, tra le tante e confusionarie diffuse anche dai soggetti ufficiali, sono davvero utili? O, ancora, serve davvero fare scorte alimentari svuotando i supermercati?
A queste domande gli influencer di scienza nostrani hanno provato a rispondere mettendo al primo posto il contatto diretto con i propri follower, spesso sfruttando per farlo alcune feature ad hoc offerte dalle piattaforme come le dirette o gli sticker di Instagram per i sondaggi e per le domande e risposte, e senza mai perdere i toni informali, leggeri, a tratti giocosi, ma mai per questo banalizzanti, che sono tipici dello stare online di chi fa divulgazione scientifica.

@simonascarioni, studentessa di medicina, ha dedicato molte storie su Instagram a come affrontare la quarantena per il coronavirus in una città come Milano, spesso usando lo sticker per le domande disponibile sulla piattaforma per soddisfare curiosità e dubbi della propria community.
Influencer scientifici: chi sono e come comunicano temi complessi e iperspecialistici
Se comunicare la scienza non è mai semplice, infatti, in virtù della complessità dei temi e della loro iperspecializzazione, di certo non lo è in Rete dove la velocità è l’imperativo, i rumori e le distrazioni sono numerosi e non c’è (troppo) spazio per l’approfondimento. Se di mestiere fai il fotografo per National Geographic e vuoi raccontare cambiamento climatico e scioglimento dei ghiacciai certo hai dalla tua parte la potenza delle immagini: è questo, per esempio, che ha reso una piccola celebrità del web @daviddoubilet e i suoi scatti.
Anche se, come Alex Bellini, si viaggia per mostrare a più persone possibile di cosa si parla davvero quando si parla di inquinamento da plastica, è probabile che la propria attività di divulgazione sia resa più facile dall’alto impatto delle immagini che si hanno a disposizione, insieme alla curiosità che genera naturalmente il viaggio. Persino se si è un food influencer scientifico come Marco Bianchi e si vuole raccontare come la scienza dell’alimentazione aiuti a restare in salute si ha dalla propria parte l’interesse di instagramer e co. verso tutto ciò che ha a che vedere con la cucina.
Qualche science influencer, soprattutto tra i grandi, gioca sul proprio brand personale per rendere più d’appeal i proprio messaggi divulgativi: la community di @doctor_karl, per esempio, ricorda i suoi outfit estrosi almeno quanto le sue campagne contro il fumo o a favore della preservazione della biodiversità.
Qualche volta chi si occupa di scienza (anche) sui social è un volto ben noto in una nicchia di riferimento, come l’ingegnere aerospaziale @nmpanek lo è quando si tratta di colmare il gender gap nelle professioni scientifiche.
Chi lo ha detto, però, che non si possa parlare di chimica svelando i trucchi che questa mette a disposizione a chiunque voglia ottenere delle ottime ricette in cucina, come fa in Italia @dario.bressanini?
Anche @divagatrice usa la chimica, ma per raccontare come essere sicuri che il make-up non faccia male alla salute.
Quello di @deceptionisland, invece, è il profilo più adatto agli appassionati di astronomia e di sue applicazioni alla vita quotidiana.
Ci sono, però, anche account come @lamedicinageniale che raccontano aspetti meno noti ai più della medicina, come quelli legati all’ampio campo della medicina legale per esempio, e lo fanno con precisione ma senza rinunciare a linguaggio semplice, toni leggeri, esempi ispirati alla vita quotidiana, un hashtag da utilizzare per creare buzz e favorire il coinvolgimento della community.
Disintermediazione sembra essere, insomma, il primo vantaggio quando sono gli influencer a parlare di scienza sul Web: se i (complessi) temi scientifici sono raccontati dai diretti protagonisti, e non per esempio dai media anche di settore, c’è minore probabilità di errori, banalizzazioni, manipolazioni. Per chi ci lavora ogni giorno, del resto, raccontare il genoma umano o come funziona l’entomologia forense (gli appassionati, a proposito, potrebbero seguire @docmagni, ndr) è come per uno chef raccontare cosa succede in cucina o per l’utente comune degli ambienti digitali raccontare la propria giornata lavorativa: se ne guadagna in semplicità e genuinità del contenuto scientifico, che lo rendono alla portata di tutti, credibile e in grado al bisogno di “influenzare” il comportamento dei destinatari. Spesso, tra l’altro, gli science influencer hanno comunità di appassionati longeve e sono per queste un vero e proprio un punto di riferimento, una fonte di fiducia in un clima che è, al contrario, di sfiducia diffusa nei confronti di autorità e istituzioni. Per questo non dovrebbe stupire neanche – e sarebbe anzi opportuno, sottolinea ancora Poynter – che ci si affidi a loro, come ad altre tipologie di influencer, per la comunicazione d’emergenza, quando l’emergenza riguarda la salute pubblica o richiede di sensibilizzare il pubblico rispetto a grandi temi scientifici. Quelli di un influencer di scienza come quelli di un health influencer sono, del resto, messaggi che funzionano più e meglio di un messaggio “spersonalizzato” di un’autorità, di un’istituzione o di qualsiasi altro soggetto pubblico: sia perché lo science influencer ha un volto umano e spesso, si è visto, familiare per la propria community, sia perché sa di dover parlare a quest’ultima e non a un pubblico indefinito, meglio se con messaggi – e linguaggi – mirati e cuciti su misura.
- Se l’health influencer è il miglior paladino di salute, prevenzione, corretta informazione medica
- Il ruolo degli influencer nella promozione di iniziative no profit: non solo raccolta fondi
- Comunicazione d’emergenza: 5 regole perché sia efficace, anche sui social
- Coronavirus: ricerche e query su Google dicono che siamo disinformati, forse più di quanto abbiamo paura
Notizie correlate

Il case study di LEGO: cosa ci insegna sul bisogno delle aziende di sperimentare, di adattarsi e di reinventarsi

Come puntare (e bene) sugli influencer per la crisis communication

Crisis management sui social tra best practice e case study

Brand e reputazione: perché il “rumore” conta più della propria voce

Azienda ed emergenze sociali: come gestire la comunicazione
