Home / Macroambiente / Selfie generation: un ritratto tra abitudini e caratteristiche

Selfie generation: un ritratto tra abitudini e caratteristiche

Selfie generation: un ritratto tra abitudini e caratteristiche

La cosiddetta selfie generation rappresenta un target appetibile per i marketer: ecco principali caratteristiche e modi per coinvolgerla.

C’era una volta la MTV Generation, fatta di giovanissimi cresciuti tra gli anni ‘80 e i primi anni ‘90 e a suon di musica commerciale trasmessa da quella prima TV privata e tematica. Fu, forse, la prima generazione a essere trasformata in un vero e proprio target ambito da marketer e pubblicitari: ci si rivolgeva a loro prima di tutto in veste di ascoltatori di MTV, indovinando l’intero mondo di valori, immaginari, simboli e rituali di appartenenza che si nascondevano dietro un semplice gusto musicale e ipotizzando che potesse diventare la discriminante per acquisti che avevano anch’essi un valore sempre più simbolico.

Oggi la MTV Generation è cresciuta e rappresenta una fascia di persone a cavallo tra quelle che i demografi indicano come Gen X e Millennial. A prendere il suo posto è arrivata la selfie generation, fatta di nativi digitali cresciuti in un mondo popolato da nuove tecnologie, abituati a costruirsi le proprie identità anche e soprattutto negli ambienti digitali e – cosa a cui allude il nome stesso – che hanno fatto degli iconici autoscatti una metafora dell’essere sempre connessi o, guardando il rovescio della medaglia, immersi in quella che qualcuno ha identificato come una bolla autoconfermativa e autoreferenziale.

Messi da parte gli eccessivi timori riguardo a pratiche come i selfie estremi in luoghi pericolosi e potenzialmente mortali, c’è chi ha letto in questa vera e propria dipendenza dagli autoscatti della selfie generation una forma di espressione narcisistica, di quel particolare narcisismo che rappresenta, forse, la vera ragione perché postiamo continuamente sui social network o non riusciamo a chiudere i nostri account social nonostante qualche volta ne sentiamo il bisogno.

Selfie generation: qualche insight

Per comprendere meglio i contorni di ciò di cui si sta parlando è sufficiente considerare un numero: 296.472.120 (e oltre) sono gli scatti caricati solo su Instagram con l’ hashtag #selfie (ad aprile 2017, ndr), a cui andrebbero aggiunti gli svariati milioni con tag affini. Certo, non sono tutti di giovanissimi; con buona probabilità, però, si può scommettere però che la maggior parte di questi siano riferibili agli under 30, quelli che già qualche anno fa uno studio internazionale condotto da Havas Worldwide e Market Probe International indicava, appunto, come selfie generation. Sono giovani che, secondo lo stesso studio, affermano che la cultura pop ha contribuito a formare la loro personalità (44,4%) e i loro atteggiamenti (46,6%) e che hanno trasformato brand iconici della sharing economy come Google, Facebook in love mark di cui sono pronti a trasformarsi in qualsiasi momento in ambassador.

Come (e perché) compra la selfie generation?

Per la selfie generation più che per qualsiasi altra generazione di consumatori, infatti, la fiducia in un brand e la capacità di sentirsi rappresentati da esso sono driver importantissimi per gli acquisti. Dati interessanti sono, in questo senso, quelli venuti fuori da una ricerca condotta dal sito Campaign: i giovanissimi di oggi comprano soprattutto sulla base di fattori culturali e, tra questi, uno dei più importanti è la possibilità di scambiarsi suggestioni e influenze reciproche con i coetanei. Non a caso la selfie generation è a più voci acclamata come il target perfetto per qualunque operazione di influencer marketing e marketing collaborativo. Secondo lo stesso studio, in più, nessuno di loro fa mai (o quasi) acquisti d’impulso. La ragione? È da ricercare in una maggiore consapevolezza e attenzione al risparmio – in barba a chi li vuole più spendaccioni della generazione precedente – che li tiene lontani dall’acquistare oggetti che non utilizzerebbero o non li soddisfarebbero in toto. Conta anche, però, la consuetudine a condividere con i propri follower ogni aspetto della vita quotidiana, shopping e consumi inclusi: ogni acquisto, perciò, deve essere valutato nella maniera più attenta e essere funzionale alla propria strategia di personal branding. Non stupisce, insomma, che la selfie generation sia una generazione di consumatori consapevoli e informata che, dal viaggio al lusso, passa molto tempo a valutare le alternative prima di acquistare e lo fa sfruttando tutti i canali disponibili.

Il corollario di insight come questi? È che i giovanissimi sono i più sensibili a tool come i bottoni “Buy Now” di Instagram o Pinterest, per esempio. E, anzi, sono proprio social visuali come questi che rappresentano gli habitat ideali da frequentare alla ricerca di ispirazione. Un’azienda che abbia come target privilegiato la selfie generation non può ignorarlo e, nel pensare la sua presenza digitale insomma, dovrebbe indirizzare i suoi sforzi verso le piattaforme più adeguate a loro.

Com’è facile da immaginare, comunque, come per i Millennial, i falsi miti sulla generazione del selfie circolano con grande facilità tra marketer e pubblicitari. Anche in questo caso non esistono regole d’oro per vendere, esistono però principi generali che chi vuole parlare alla selfie generation dovrebbe tenere in considerazione.

1. Coinvolgere

Come già si accennava, ai giovanissimi non interessa solo acquistare un prodotto: hanno bisogno di brand da amare, con cui identificarsi e da cui sentirsi amati e tenuti in considerazione a propria volta. Per coinvolgere i propri consumatori, allora, le strategie sono tante: si può chiedere loro di diventare veri e propri ambasciatori del brand o di partecipare attivamente a costruire la propria strategia di contenuti (è il caso degli UGC, sempre più sfruttati per la brand strategy, ndr), si possono moltiplicare i touchpoint o si può assumere un atteggiamento proattivo e pensare a una serie di prodotti aggiuntivi di cui possono aver bisogno. Tutti questi sforzi sarebbero inutili però senza un buon community mangement.

2. Ispirare

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, la selfie generation non è concentrata solo su se stessa. Spesso ha a cuore cause sociali delle più disparate e, nella scelta di un brand, tiene molto in considerazione il suo impegno per il sociale o lo sviluppo di progetti di corporate social responsibility, dimostrandosi più propensa ad acquistare prodotti di aziende che sente vicine anche in termini di cause sostenute. Coinvolgerli direttamente nei propri progetti umanitari o di beneficenza, insomma, potrebbe essere una chiave vincente.

3. Ricompensarli

Come qualsiasi altro consumatore, per finire, i giovanissimi amano le ricompense per i loro sforzi, specie se questi sforzi sono di qualche utilità al brand o alla sua immagine. Per questo i contest sui social per esempio, se ben organizzati, possono essere uno strumento molto efficace per coinvolgere la selfie generation. In questo caso, tra l’altro, potrebbe non servire prevedere beni materiali o coupon e codici sconto: promettete a un selfie addicted di repostare la sua foto o di offrire visibilità ai suoi contenuti, basterà per farlo felice.

Altre notizie su:

© RIPRODUZIONE RISERVATA È vietata la ripubblicazione integrale dei contenuti

Resta aggiornato!

Iscriviti gratuitamente per essere informato su notizie e offerte esclusive su corsi, eventi, libri e strumenti di marketing.

loading
MOSTRA ALTRI