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Fake news e sistema dell'informazione in Italia: arriva la prima indagine conoscitiva

Sistema dell'informazione in Italia e fake news: dati 2018

Quella dell'AGCOM è la prima indagine conoscitiva sul sistema dell'informazione in Italia: osservate speciali fake news e disinformazione.

Non sono gli ennesimi dati su bufale e disinformazione, ma neppure con ogni probabilità riusciranno davvero a fare finalmente chiarezza sull’impatto di fake news e disinformazione sul sistema giornalistico italiano: gli insight di “News vs. fake nel sistema dell’informazione” sono interessanti soprattutto perché si tratta della prima vera indagine sistemica sul fenomeno targata AGCOM (l’autorità garante in Italia per le comunicazioni, ndr).

Basata su un corpus di dati molto ampio – oltre 1800 fonti informative, 700 notizie sia vere sia false e decine di milioni di account e post sui social – e con l’intento dichiarato di salvaguardare il pluralismo dell’informazione italiana, il rapporto parte dall’analizzare i principali aspetti che riguardano la produzione e la diffusione di informazioni – nel senso più ampio e meno specifico del termine – in Italia.

Una visione d’insieme del sistema dell’informazione in Italia

Il dato forse più macroscopico, del resto, è il costante aumento della quantità di notizie prodotte e messe in circolazione da soggetti diversi: il 2018 promette, cioè, di essere l’anno in cui è stata confezionata in Italia la maggiore quantità di informazione, con un picco che ha riguardato nello specifico l’appuntamento elettorale delle politiche del marzo 2018.

Ci sono, ovviamente, differenze sostanziali nel ritmo e nella modalità di produzione di notizie e informazioni. Le «fonti informative online» – così AGCOM si riferisce a testate digitali, siti d’informazione generalisti, blog e pagine social – lavorano soprattutto di velocità e di «sovrautilizzo» della forza giornalistica: sia la copertura live e superficiale dei fatti, sia un lavoro di approssimazione e non di approfondimento a cui è chiamato chi opera nel settore però contribuiscono a far sì che soggetti come questi e i loro prodotti siano percepiti complessivamente come poco affidabili. Il contrario avviene invece, almeno con riferimento specifico all’infosfera italiana, con mezzi più tradizionali come TV, radio e quotidiani: non solo il livello di approfondimento atteso è maggiore, com’è maggiore la copertura garantita alla singola informazione, ma ad aumentare rispetto al mondo dell’informazione digitale è soprattutto la qualità e l’affidabilità percepita. Già un primo tassello, insomma, nel discorso su fake news , giornali, ambienti digitali.

Il rapporto, comunque, prova a indagare anche su altri aspetti generici riguardo al sistema dell’informazione: quanto dura in vita una notizia? E quali sono temi e argomenti che ricevono più copertura? Nel primo caso non esistono grandi differenze tra online e offline: quasi sempre c’è un tempo zero, che corrisponde al momento esatto in cui avviene qualcosa, e la copertura massima si raggiunge entro i due giorni successivi. Mentre c’è un surplus di hard news  di cronaca, politica, esteri e di notizie di cultura generale e lifestyle – tanto per usare categorie care alle sezioni di un giornale –, poi, lo stesso non si può dire per l’informazione specializzata, offerta in quantità davvero contenute e da figure che non sempre hanno skill e competenze tecniche specifiche. C’è una fetta di pubblico italiano sempre più interessata, insomma, a temi come la scienza o la tecnica trattati in profondità e con qualità, ma pochi operatori dell’informazione riescono a soddisfarla.

Fake news tra ciclo di vita, diffusione e debunking

Decisamente più vaghi rimangono gli insight rispetto all’impatto di bufale e fake news sul sistema informativo italiano. L’AGCOM sembra limitarsi a osservare, infatti, come il volume di notizie false, non verificate o viziate ad hoc sia aumentato nel tempo, assestandosi a un valore medio più alto del passato e vivendo un picco soprattutto in momenti come le tornate elettorali.

Quello che differenzia una fake news da altri prodotti dell’informazione, comunque, è soprattutto il ciclo di vita e la modalità di viralizzazione. Una bufala o una notizia non verificata ha una durata temporale molto limitata: spesso non ci sono anticipazioni rispetto al tempo zero in cui avviene il fatto, c’è invece un picco sostanziale proprio nel momento in cui questo accade e la copertura comincia a scendere velocemente immediatamente dopo. Un ciclo di vita così breve per le fake news da un lato è giustificato dall’esistenza ormai di sistemi di debunking efficaci e dall’altro non farebbe pensare tanto ad azioni isolate quanto a vere e proprie campagne di disinformazione.

In questo processo, le «fonti di disinformazione» – che siano siti web, pagine Facebook o qualsiasi altro soggetto poco cambia – hanno soprattutto il compito di provvedere alla diffusione veloce e capillare della fake news o notizia manipolata e, se hanno un valido alleato in questo, sono i tantissimi utenti che, come molti studi confermano, condividono le notizie non solo senza verificarle ma senza addirittura aprire il link e a partire dal solo titolo.

Alcune tematiche più di altre, comunque, nel sistema informativo italiano si rivelano a rischio fake news: sono argomenti ad alto impatto emotivo e che creano tanto partecipazione quanto polarizzazione. Almeno il 57% delle fake news in Italia riguarda la politica e una su quattro è invece legata alla cronaca. Tra gli altri topic che più si prestano a manipolazioni e distorsioni ci sono diritto, economia, scienza e immigrazione.

Come anche altra letteratura in merito ha sottolineato, poi, fenomeni tipici degli ambienti digitali come le cosiddette filter bubble o echo chamber rendono più probabile la diffusione di fake news, ossia è più facile dare per vere notizie manipolate o non verificate se queste confermano propri pregiudizi o convinzioni oppure se vengono condivise dalle proprie cerchie.

Dalla fiducia nei media dipende la capacità di distinguere una fake news

Pubblicato nello stesso periodo dell’indagine AGCOM, del resto, uno studio di News Co/Lab avrebbe identificato una stretta correlazione tra la fiducia che si ha nei media, nei soggetti che si occupano di informazione e il rischio di essere vittime di fake news. In altre parole? Chi ha una cattiva opinione del sistema dell’informazione sarebbe meno capace di identificare un titolo o una notizia falsa e avrebbe difficoltà anche a fare una distinzione tra un fatto e un’opinione.

In una prima fase dello studio, infatti, è stato chiesto al campione di associare un aggettivo alla parola “news”: circa il 62% dei rispondenti ne ha usati di negativi come «fake», «bugia», «inaffidabili» e solo la restante parte ha associato all’idea d’informazione aggettivi neutrali come «fattuale». La parte più interessante della ricerca, però, ha visto il primo gruppo ottenere  risultati pessimi quando si è trattato di riconoscere un titolo falso (riesce a farlo il 69% di chi ha una cattiva opinione dei media, contro l’82% di chi invece ha fiducia in questi) e, peggio ancora, di distinguere una fake news da una notizia reale (in questo caso, la percentuale è del 74% contro 80%). L’insight più curioso? È che, nonostante evidenze contrarie come queste, chi ha una cattiva opinione dei media è anche mediamente più convinto di essere in grado di distinguere cosa è una fake news da cosa non lo è.

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