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Skill mismatch: uno sguardo d’insieme e le soluzioni “all’italiana”

skill mismatch

Le competenze dei lavoratori possono non essere adeguate a quelle richieste dal mercato. È il fenomeno dello skill mismatch: ecco un’analisi

Le trasformazioni nel mercato del lavoro, si sa, sono sempre più veloci e spesso imprevedibili anche per esperti di hiring e risorse umane. C’è una previsione, però, che da qualche tempo desta preoccupazione: entro il 2020 ci saranno in Italia almeno 900mila posti in ambito digital che potranno rimanere scoperti, non per mancanza di candidati ma per mancanza di candidati idonei. È una previsione che dice molto su quanto ancora da fare in merito a professioni digitali ed e-skills.

È anche la metafora perfetta, però, per lo skill mismatch, quella asimmetria di competenze che è, a guardare bene, una delle più importanti priorità da affrontare per il mercato del lavoro, italiano ed europeo nel suo complesso.

Cos’è e quanti tipi di skill mismatch esistono?

Proprio da un organismo comunitario, il Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale – CEDEFOP, viene del resto un interessante studio su skill mismatch e possibili soluzioni per appianare competenze dei lavoratori e richieste del mercato. Come suggerisce la stessa formula, infatti, si tratta di una discrepanza tra le skill di professionisti o potenziali tali — nel senso più ampio del termine, e comprendendo non solo quelle che derivano dall’istruzione e dalla formazione ma anche quelle che derivano direttamente dall’esperienza in campo— e quelle più richieste dal mercato del lavoro. È una discrepanza che può essere di tante nature, tanto che chi ha provato a fornire una sorta di classificazione dello skill mismatch ha identificato:

  • una condizione di skill mismatch in negativo, in cui lavoratori e candidati hanno competenze inferiori rispetto a quelle richieste dal mercato e utili alle aziende;
  • una discrepanza in positivo, quando le competenze professionali o il bagaglio culturale e d’istruzione del candidato/lavoratore sono in eccesso rispetto a quelle richieste dalla sua posizione;
  • uno skill mismatch verticale quando è il grado di competenze, istruzione, esperienze pregresse a risultare non adeguato, in eccesso o in difetto, rispetto all’occupazione in questione (è il classico caso di un laureato che viene impiegato per mansioni che richiedono titoli di studio inferiori);
  • e uno skill mismatch orizzontale che riguarda, infine, il tipo di skill, formazione e referenze non perfettamente in linea con quelle richieste dal lavoro svolto o che si andrà a svolgere.

Skill mismatch: tante cause per un solo fenomeno

Più difficile è rispondere alla domanda: da cosa dipende questo divario, spesso incolmabile, tra skill e portfolio dei lavoratori ed esigenze del mercato? Lo stesso CEDEFOP ci ha provato, riuscendo a identificare una serie di scenari che, con diverse probabilità, possono creare situazioni di skill mismatch. La situazione economica del Paese, innanzitutto, influisce come si sa in maniera non indifferente sul mercato del lavoro. In un Paese con un’economia florida è molto probabile, infatti, che le aziende, soprattutto quelle disposte a investire in ricerca e innovazione , abbiano bisogno di competenze altamente specializzate che non riescono a trovare tra i lavoratori, neanche quelli dai curriculum più eccellenti. Al contrario, invece, nei momenti di crisi economica è più facile che si verifichi uno skill mismatch del tipo inverso, con lavoratori eccessivamente qualificati per il ruolo che ricoprono. Anche i cambiamenti tecnologici, però, contribuiscono a definire le dinamiche dello skill mismatch: si pensi a quanto successo prima agli inizi degli anni Novanta e poi all’inizio del Duemila, quando rispettivamente con l’avvento dell’economia del Dot-com e della sharing economy le aziende si ritrovarono prive di professionisti con le necessarie competenze informatiche e digitali. L’invecchiamento della popolazione lavorativa, poi, è un problema non trascurabile, specie in Europa, quando si guarda al grande tema delle competenze e della formazione in riferimento al lavoro e alle opportunità occupazionali. L’obsolescenza delle competenze assume un peso non indifferente in un’economia che è sempre più improntata al cambiamento e all’innovazione continua e, nonostante i lavoratori senior possono rappresentare in qualche caso una sfida win-to-win per l’azienda, la discriminante dell’età è strategica quando si tratta di un avere a disposizione un baglio di saperi quanto più possibile orientato al e strategico per il mercato, tanto più che diversi studi dimostrano come si sia praticamente dimezzato, fino ad arrivare a 10-15 anni, l’arco di tempo in cui le competenze di un lavoratore, soprattutto delle conoscenza, sono da considerare obsolete.

Anche la fase della carriera in cui si trova il singolo lavoratore, comunque, può incidere sullo skill mismatch. Un giovane a inizio carriera è probabile che abbia un fisiologico difetto di competenze, soprattutto tecniche e specifiche, rispetto a quelle richieste dall’azienda. Non è il solo a dover fronteggiare, però, le aspettative pretenziose del mercato: anche un lavoratore a fine carriera può essere affetto da questa discrepanza di competenze, sia all’interno della sua stessa azienda e specie rispetto alle task e agli obiettivi più innovativi, sia nel caso in cui si ritrovi a dover cambiare lavoro e ad avere in questo caso un eccesso di competenze rispetto alla nuova posizione occupata. Non ci sono evidenze certe in materia, ma anche il gender gap e una serie di questioni salariali, di opportunità di carriera, previdenziali a esso legate potrebbero influire, infine, non indifferentemente sulla questione del mancato equilibrio tra domanda e offerta di skill professionali. Si pensi a due fenomeni inversi: da un lato le quote rosa che potrebbero costringere l’azienda ad assumere un dipendente underskilled, purché donna; dall’altro invece top manager o professioniste nel campo scientifico con ottime capacità, concorrenziali e richieste dal mercato, che stentano a trovare occupazione per mancanza di posizioni e condizioni economiche soddisfacenti.

Dati e prospettive dall’Italia dello skill mismatch

La situazione per i lavoratori italiani? È complicata. Secondo uno studio dell’Ocse riportato da Il Sole 24 Ore sullo skill mismatch nei paesi europei, l’Italia è uno dei paesi che peggio riesce nel far incontrare domanda e risposta quanto a competenze professionali. Più nello specifico, quella di discrepanza tra le proprie competenze e le competenze richieste dal mercato è una condizione che riguarda almeno un lavoratore italiano su cinque. Siamo terzi (su un totale di ventidue Paesi considerati nello studio, ndr) quanto a dipendenti underskilled, cioè con competenze inferiori rispetto a quelle specifiche richieste per la posizione occupata, e settimi per numero di lavoratori che hanno competenze e qualifiche superiori al dovuto. L’“University Graduate Employment Study 2017”, realizzato da Accenture per la prima volta anche in Italia, dal canto suo ha dimostrato come, su un campione di poco più di mille laureati per l’anno accademico 2015/2016, quasi la metà ha avuto difficoltà a trovare occupazione — nonostante reputassero che il proprio percorso di studi li avesse preparati bene al mondo del lavoro— o ha trovato un lavoro non in linea con la propria carriera universitaria o per cui non serviva addirittura una laurea o un master. Il 62% dei neolaureati, in altre parole, si definisce “underemployed”.

skill mismatch neolaureati

In entrambi i casi a farne le spese sono, innanzitutto, i diretti interessati: aziende e lavoratori. Le prime — soprattutto nel caso in cui siano costrette a ripiegare su lavoratori con competenze inferiori a quelle cercate — devono investire spesso in maniera consistente in formazione che dia ai dipendenti un giusto know how. Nel secondo caso, invece, può apparire vantaggioso per l’azienda assumere lavoratori overskilled: anche ammesso che le competenze in questione siano quelle specifiche del settore, però, molti studi hanno dimostrato una maggiore insoddisfazione da parte dei professionisti impiegati in mansioni non all’altezza delle loro capacità che si può ripercuotere in maniera negativa sulla salute dell’ambiente di lavoro e sulle prestazioni aziendali. In tutti i casi, comunque, lo skill mismatch è responsabile di una mancata giusta allocazione delle risorse lavorative, deleteria soprattutto se il sistema produttivo è già indebolito da una crisi e che può finire per essere una delle cause della disoccupazione giovanile e di quella di lungo termine, oltre che rallentare sempre la crescita di produttività. Un solo esempio serve a dare senso a quello che si sta dicendo: il sistema imprenditoriale italiano ha da anni bisogno vitale di laureati in area scientifica, ma non è mai riuscito a offrire loro condizioni stipendiali in grado di valorizzare l’investimento degli anni di studio.

Qualche soluzione contro lo skill mismatch, da università e privati

Le soluzioni contro lo skill mismatch, allora? Richiedono un impegno sinergico di istituzioni e soggetti privati. Con un ruolo di tutto riguardo che dovrebbe toccare al sistema scuola. Tante indagini confermano, infatti, una certa lontananza tra programmi formativi, obiettivi di lungo termine di scuole e università e le effettive necessità del mercato del lavoro. I due mondi spesso non si parlano e ciò fa sì che le prime sfornino un’offerta pure eccellente di futuri professionisti, o potenziali tali, che però mancano delle competenze di base, minime, richieste dal mercato del lavoro. È un equilibrio complesso, che richiederebbe di rivedere in ottica più market-oriented il sistema formativo e di meglio bilanciare, per esempio, la capacità di fornire agli studenti competenze generiche, che li preparino a diversi possibili futuri occupazionali, lasciando che siano poi le aziende a fornire loro le eventuali competenze tecniche e specifiche. A questo servono iniziative come “New Skills at work in Italy”, un programma di ricerca triennale avviato da JPMorgan Chase Foundation e Università Bocconi che vedrà impresa e università collaborare per dar vita a un sistema integrato di domanda-offerta di competenze. L’obiettivo finale? Sviluppare best practice, fornire indicazioni pratiche, arginare lo skill mismatch e, in questo modo, accrescere i livelli di competenza e le opportunità di crescita economica. Libera da questo divario di skill, infatti, l’Italia potrebbe ottenere — si stima—  un guadagno del 10% nell’efficienza delle allocazioni e un altrettanto netto miglioramento in termini di produttività.

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