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Lavorare con i social: quali le possibili professioni?

Lavorare con i social: quali le possibili professioni?

Dal social media strategist al web content specialist, passando per gestione di community e attività da tutor: vari modi per lavorare con i social.

Con la diffusione crescente dei social network  si moltiplicano continuamente le opportunità di comunicazione per le aziende e di conseguenza anche le professioni legate all’ambito e le relative terminologie utilizzate per definirle. Sarà che quello dei social è un mondo in costante evoluzione del quale bisogna cogliere le diverse sfaccettature e che bisogna osservare bene per restare al passo con i rapidi aggiornamenti che giorno dopo giorno vengono introdotti, ma si cerca sempre più di creare dei ruoli professionali molto specializzati. Si spazia così dal social media manager al social media specialist, passando per social media strategist, web content specialist e web community manager, solo per citarne alcuni tra i principali, e si prosegue poi in un elenco indefinito. Esiste, però, una concreta differenziazione in questi modi di lavorare con i social o tutto è limitato alla definizione teorica? E se una differenziazione esiste, è riscontrabile solo nelle multinazionali e aziende di grandi dimensioni o anche nelle PMI, specie in ambito italiano?

Social media marketing come necessità per le aziende

Quel che è certo è che avere delle persone dedicate al lavorare con i social non è più una scelta per le organizzazioni e le imprese ma una necessità, perché, come dichiarava Andrea Albanese – web marketer advisor e organizzatore del Social Media Marketing Day Italia (SMMDayIt) – in una intervista via hangout al nostro giornale nel 2015, «le aziende e le persone hanno bisogno di essere social e digital per poter sostanzialmente competere a livello internazionale, perché i competitor ormai stanno arrivando da qualsiasi parte del mondo, in quanto i confini nazionali e quelli reali esistono ancora, però, in realtà, i confini digitali e dei social media non esistono». Si tratta di un’affermazione che mostra ancora tutta la sua attualità, perché l’attività di social media marketing è spesso sottovalutata dalle aziende, che non considerano con la dovuta attenzione le opportunità di contatto e di fidelizzazione che si possono generare, né considerano una strategia integrata ai fini della seo e tantomeno guardano ai trend nell’ambito da poter sfruttare a proprio vantaggio, perdendo così importanti occasioni in termini economici.

Ritardo culturale? Sempre Andrea Albanese ci rispondeva così: «Si parla molto di digital divide, come a indicare la separazione tra chi conosce un certo tipo di tecnologia e chi invece non la conosce. In realtà penso che siamo ormai nell’era del cultural divide, un aspetto culturale che riguarda persone che sono più digital e persone che lo sono meno: infatti la tecnologia ormai è a portata di ogni persona e di ogni azienda, quindi è più che altro una questione culturale». In questo scenario quel che veramente conta è imparare, formarsi e sperimentare. È quel che serve agli imprenditori e, ancora di più, alle persone alle quali essi si affidano.

Chi si occupa di social media marketing, infatti, deve studiare a fondo le caratteristiche di ogni diversa piattaforma social, avendo come parole chiave: «proattività, innovazione e adattamento ai cambiamenti del mercato», come affermato dal social media strategist Giovanni Carzana in un’intervista al nostro giornale nel 2015.

«Il successo sui social delle aziende risiede nel capire che questi media hanno caratteristiche differenti da quelli che li hanno preceduti e nello sfruttare le stesse caratteristiche – ha aggiunto Giovanni Carzana –. Un esempio classico è quello che riguarda l’aspetto editoriale. Utilizzare la pagina Facebook semplicemente pubblicando i link ai contenuti, magari anche in modo automatico con un’app che pubblica i feed RSS, equivale a perdere tempo (e soldi). Al contrario gestire al meglio il crm , puntare su contenuti multimediali, coinvolgere il maggior numero di fan possibile (il cosiddetto engagement della pagina) sono alcuni elementi alla base di una social media strategy efficace.»

Un percorso formativo per lavorare con i social?

Per imparare la teoria relativa all’ambito comunicativo e alcune basi anche sui canali e sugli strumenti digitali esistono corsi di laurea triennale e specialistici, master, seminari, convegni, ecc. Bastano questi per lavorare con i social? Sono certamente un buon punto di partenza ma non sufficienti. Albanese sottolineava, sempre nell’intervista rilasciata nel 2015, quanto sia importante, infatti, anche usare le diverse piattaforme, studiarle, mettersi alla prova, fare tanta pratica e aggiornarsi, senza affidarsi unicamente alle certificazioni, di qualunque genere esse siano.

In alcuni casi, però, forse le certificazioni potrebbero aiutare nel presentarsi alle aziende dimostrando di conoscere bene strumenti, tool e strategie utili. È questo che ritiene ad esempio il Gruppo Web Skills Profiles che ha definito dei profili di competenza professionale riferiti al digitale riconosciuti a livello europeo e diventati, nel gennaio del 2016, oggetto di una norma UNI multiparte, la 11621 1-4, «per renderli – come ha detto in una intervista ai nostri microfoni Pasquale Popolizio, vicepresidente di IWA Italy – sempre più aderenti alla realtà del web che, per definizione, è volatile, sempre attiva». Popolizio – che, tra l’altro, è proprio coordinatore del gruppo di lavoro Web Skills Profiles – sottolinea anche come «le aziende in Italia fanno fatica da un lato a pensare di investire sul nuovo e dall’altro a trovare figure professionali adatte al mondo del web». Un gap fondamentale quindi, perché «dal lato dell’offerta o ci sono ottime competenze latenti o non sono espresse oppure non ci sono affatto; e se non ci sono è perché c’è stata scarsa formazione in precedenza: alcune delle principali università e alcuni importanti enti formativi non hanno considerato che era arrivato il tempo di formare figure professionali in ambito ICT con competenze più sviluppate sul web, sull’eCommerce, sui social, etc.».

Un dato significativo quest’ultimo, perché se alcune professioni digitali spesso non vengono accreditate come veri e propri lavori la principale causa è, come spiega Popolizio, quella della riconoscibilità. Con le certificazioni delle professioni digitali si potrebbe allora risolvere in qualche modo questo problema.

Se a livello formale sono stati riconosciuti e definiti alcuni profili, nella pratica quotidiana la situazione resta ancora alquanto complessa. «Consideriamo che il social network marketing o social media marketing è una delle 30 discipline del web marketing o del digital marketing e all’interno di questa disciplina ci sono una ventina di social network occidentali da conoscere, oltre a una ventina di social network russi, asiatici o comunque utilizzati al di fuori dell’Italia», ci diceva ancora Andre Albanese. Di conseguenza, quando si prova a individuare una terminologia adatta alle competenze acquisite e al proprio ruolo professionale si devono analizzare e comprendere le caratteristiche specifiche associate a ciascuna di esse.

Quali sono le principali professioni legate ai social media e quali le caratteristiche?

Non è semplice definire quante e quali sono le professioni legate ai social media, perché da un lato si rischia di dimenticarne alcune, dall’altro su profili LinkedIn e siti di aziende, per esempio, se ne trovano sempre di nuove e di diverse.

Proviamo di seguito a comprendere quali sono le principali peculiarità di alcune professioni, scegliendo tra le terminologie utilizzate più di frequente.

Social media manager

Tra le terminologie più diffuse e utilizzate – spesso impropriamente – da chi si approccia lavorativamente ai social c’è proprio social media manager. Alcuni pensano che soltanto avere un profilo sui social e utilizzare chat e strumenti per postare possa bastare a comprenderne dinamiche di engagement, gestione di pagine aziendali, etc., così inseriscono nel proprio profilo professionale questa dicitura o si candidano per posizioni aperte in questo campo. Per essere un bravo social media manager occorre ovviamente molto di più. Per semplificare si potrebbe considerare una lista di compiti per la professione di social media manager che include il contribuire a pianificare un calendario editoriale per comunicare un brand , pubblicare contenuti testuali ma anche in formato immagine, audio o video, monitorare le interazioni e rispondere a commenti e messaggi, conoscere le possibilità di advertising, analizzare i risultati raggiunti e il sentiment generato e redigere dei report.

Social media specialist

Per definire questa figura professionale ci vengono in soccorso le parole di Andrea Albanese:

La persona che si occupa di social media viene identificata come social media manager, ma se vogliamo essere più specifici bisognerebbe definirsi come social media specialist, perché un social media manager è una persona che ha a disposizione delle risorse – se stesso, delle persone che lavorano per lui e delle risorse economiche –  ed è anche capace di fare management di tutti i social media che gestisce. Un social media specialist invece utilizza uno solo dei social media.

Si tratta, quindi, di un lavorare con i social che punta tutto sulla specializzazione, sul conoscerne al meglio soprattutto uno di essi. Una professione che si rivela sicuramente utile nell’attuale scenario in cui le dinamiche dei social divengono sempre più complesse, con aggiornamenti che da un lato offrono ottime opportunità di promozione, visibilità e contatto diretto con utenti e consumatori, dall’altro richiedono ottime capacità di adattamento e flessibilità per stare al passo con i cambiamenti e non perdere i vantaggi raggiunti o possibili. Un esempio è, a tal proposito, Facebook che sta invadendo il mercato del social media advertising ponendo non pochi ostacoli a pagine aziendali e utenti con aggiornamenti dell’algoritmo e nuove introduzioni, dimostrando così l’utilità di una figura professionale quale quella di “Facebook specialist”.

Social media strategist

«Molti si definiscono social media strategist, che è ancora di più rispetto a social media manager o social media specialist, perché si riferisce a tutto quel che si può fare da un punto di vista strategico: lo strategist dovrebbe disegnare linee guida e fare in modo che poi vengano implementate da altri; un ruolo più semplice, da un certo punto di vista, quello di essere uno strategist che non quello di essere uno specialist perché tutti siamo bravi a ‘chiacchierare’.»

Albanese spiegava così questa figura professionale, ma occorre prestare attenzione e non ridurre a una visione semplicistica il social media strategist. Come l’esperto precisa nella parte iniziale di questa dichiarazione, infatti, è cruciale il punto di vista strategico. Con Carlos Bellini, che ricopre (tra le altre cose) il ruolo di social media strategist presso WeSocial, allora, abbiamo approfondito questo aspetto, partendo da «un’importante distinzione da fare, quella tra strategia e tattica: la prima deve adattarsi a un orizzonte e a un arco temporale più ampio, avere una visione ampia di quella che è l’attività nel presente e quella che potrebbe essere fra qualche mese». Ed è proprio con questa che ha a che fare quotidianamente un social media strategist, che deve però essere pronto anche a reagire velocemente agli stimoli esterni:

«Spesso è chiamato a prendere delle decisioni in breve tempo e con delle informazioni che possono essere, per motivi diversi, parziali. Pertanto se nel suo lavoro c’è una parte per certi versi meno operativa rispetto a quanto fanno un social media manager o un social media specialist, dall’altra c’è il peso della responsabilità della scelte di quelle che poi sono tutte le fasi operative e il controllo di come la pianificazione strategica è resa nella pratica». 

Importanti, poi, alcune conoscenze, ad esempio in ambito marketing, perché – come afferma Bellini – «non bisogna dimenticare che quando si parla di qualsiasi professione legata al social media marketing c’è sempre la parola ‘marketing’, quindi è importante che si abbiano anche conoscenze e competenze a livello di marketing tradizionale». Propensione all’aggiornamento e al miglioramento continuo sono due soft skill da non sottovalutare per essere capaci di rispondere sempre alle novità delle piattaforme e, di conseguenza, poter plasmare al meglio la strategia.

Web content specialist

«Figura professionale che si colloca tra il settore della comunicazione digitale e il marketing. Gestisce i contenuti di un sito web». È questa la definizione data dal Gruppo Web Skills Profiles di “web content specialist nella quale si legge che «il web content specialist si occupa di produrre contenuti, sia testuali che multimediali dei quali è direttamente responsabile, che siano efficaci per una risorsa web. Cura il contenuto anche in base della piattaforma che lo dovrà ospitare (sito web, social network, blog, interfaccia) e del target (utenza). Monitora l’usabilità del sito con gli strumenti della customer satisfaction. Può essere free-lance o parte di una organizzazione, pubblica o privata».

Una figura che quindi per certi versi – nello specifico quando lavora con e sui social network – potrebbe anche ricoprire i ruoli di social media manager e/o social media specialist?

Abbiamo chiesto, allora, ad Alfonso Biondi, web content specialist per Gruppo Mondadori, di aiutarci a definire ulteriormente questa professione: «il web content specialist lavora a strettissimo contatto con chi si occupa dei social, tanto che spesso tali figure vengono a coincidere non solo nelle aziende di piccole dimensioni ma anche in realtà più grandi e strutturate», le parole dell’esperto. Nel concordare poi con la definizione data dal Gruppo Web Skills Profiles, che ne coglie gli aspetti più importanti, ha precisato che ne aggiungerebbe un altro: «il lavoro sui dati, perché quando si ha a che fare con dei contenuti, i numeri possono essere molto utili per capire cosa va bene e cosa si può migliorare».

«È importante sottolineare che quello del web content specialist è un mestiere che ha tantissime sfaccettature e che può cambiare molto non solo da azienda ad azienda ma anche da progetto a progetto. Esistono tuttavia delle conoscenze e delle competenze per così dire “standard” che si devono avere se si fa questo tipo di lavoro: a monte, buona sensibilità editoriale, facilità di scrittura, conoscenza dei principi fondamentali del copywriting e del web-writing; a valle, invece, la padronanza dei ferri del mestiere, come ad esempio CMS, programmi di fotoritocco, tool di analisi dati, basi di html, SEO».

Naturale chiedersi – come nel caso delle figure professionali riferite ai social – se ci sono delle differenze anche tra web content specialist e web content manager. Ci risponde in questo caso Alfonso Biondi: «Tra le due figure ci sono sicuramente delle differenze. Il web content manager è il responsabile della content strategy e si occupa di coordinare l’attività di diversi web content specialist; questi ultimi, poi, declinano la strategia secondo le linee guida concordate».

Web community manager o community manager

Anche questa professione è stata inserita tra i profili professionali individuati dal Gruppo Web Skills Profiles, che ha definito il web community manager come «figura professionale del settore marketing & comunicazione digitale che si occupa di gestire comunità virtuali presenti sul web», con riferimento anche ai social network ovviamente. «Abbiamo utilizzato il concetto di “community” e non quello di “social” – ci ha spiegato Pasquale Popolizio – perché lo riteniamo più comprensivo e più vicino alla realtà. Gestire la community online, in una organizzazione più o meno complessa, significa gestire anche gli ambientisocial”».

«Il web community manager è il profilo di competenza professionale che un professionista che vuole agire con competenza sulle community online deve possedere. Ci sono alcuni aspetti principali del profilo da considerare. Tra i compiti (tesi a conseguire con efficacia alcuni KPI, ad esempio in riferimento a audience engagement o satisfaction score):
– controllare, valutare e gestire le conversazioni online, intervenendo sempre con linguaggio appropriato e adeguato al media utilizzato;
– promuovere nuovi argomenti di conversazione/relazione;
– stimolare il produttivo coinvolgimento di utenti e stakeholder;
– assumere un ruolo di rappresentanza istituzionale all’interno della community;
valutare il sentiment online;
– realizzare report periodici.
Sono poi richieste abilità e conoscenze tecniche riferite sia al marketing non convenzionale che al settore informatico. Quindi, come si evince, non abbiamo utilizzato la parola “social” per vezzo o esclusione, ma solo per rendere più comprensivo, inclusivo e completo il profilo. Il professionista che intende “lavorare su e con i social” deve essere un bravo “web community manager”.»

Ci siamo voluti confrontare anche con chi si occupa di community management nella pratica, incontrando Annette Palmieri, entrata nel 2015 nel team di Community Manager Freelance (oggi Liqueedo Digital Contents). La prima cosa che ha tenuto a sottolineare che è una soft skill assolutamente necessaria per fare questo lavoro è la pazienza. «Spesso ci si trova di fronte a situazioni apparentemente catastrofiche, quindi bisogna imparare a mantenere la calma e capire il da farsi. Nella pratica il community manager è colui che si trova a stretto contatto con l’utente e rappresenta l’azienda online: da un lato dunque deve conoscere a pieno la filosofia aziendale per poterla rappresentare e dall’altro deve conoscere quali sono i messaggi e i contenuti da veicolare agli utenti in ascolto».

Succede spesso che la figura del web community manager venga confusa con quella di social media manager oppure che le due terminologie vengano pensate come sinonimo l’una dell’altra. Come mai? Ce lo spiega ancora Annette Palmieri.

«Il social media manager è il responsabile dei contenuti, colui che confrontandosi quotidianamente con il community manager sa qual è la strategia migliore per portare il brand al successo. Monitorare l’andamento dei diversi canali, scegliere quali messaggi lanciare sui social e realizzare un piano editoriale non è semplice senza stare a stretto contatto con la community che compone la fanbase del brand di riferimento. Questa è la ragione per cui spesso le due figure coincidono.»

Tante terminologie: necessità o troppa confusione?

Dopo aver analizzato almeno i tratti peculiari di alcune tra le principali figure professionali legate ai social, è inevitabile chiedersi perché non ci sia uniformità nelle scelte terminologiche di chi deve definire il proprio lavoro e come queste vengano poi percepite dalle aziende. Quanta confusione viene generata? Ci sembra esaustiva, a tal proposito, la risposta che ci è stata fornita da Annette Palmieri.

«Da un lato abbiamo aziende che troppo spesso non sanno quello di cui hanno bisogno e di conseguenza danno un nome a un determinato ruolo senza rispettarne poi, di fatto, i confini. Ogni professionalità infatti inizia e finisce ed è ben definita ma ci si trova a dover combattere con imprenditori ed agenzie che vogliono andare oltre. Dall’altra parte non possiamo incolpare solo coloro che ricercano: il problema parte proprio da chi si attribuisce determinati nomi. Ci si attribuiscono sempre nomi più lunghi soltanto per sembrare i più bravi su LinkedIn, ma nella pratica è difficile trovare un reale riscontro.»

I diversi ruoli sono tutti ben definiti e nelle grandi imprese è probabile che ci siano diverse persone (o diversi team) a ricoprirli. Alcune delle figure professionali elencate sopra però sono per certi versi interscambiabili – ad esempio uno specialist non è detto che non sia anche uno strategist che, a sua volta, potrebbe essere un social media manager – o sono comunque complementari ed è forse questo che genera confusione in chi deve trovare un’appropriata esplicitazione della propria professione (o di quella che si aspira a ricoprire). Complice poi anche il fatto che ci siano alcune abilità e alcuni saperi necessari per lavorare in generale con i social. Marta Pellizzi, in un’intervista rilasciata al nostro giornale, ha sottolineato ad esempio che si «devono avere conoscenze nell’ambito specifico, avere buone doti comunicative e molta pazienza, sapere con chiarezza usare gli strumenti, saper identificare strategie, definire piani (il piano editoriale ad esempio è fondamentale) e rapportarsi con serietà con il cliente».

Proprio Marta Pellizzi, d’altra parte, è l’esempio di come si possano scegliere delle espressioni specifiche per definire il proprio lavoro non generando troppa confusione: l’esperta si definisce infatti social media tutor, un tutor dei social, «cioè una professionista che ha conoscenze e competenze estese in tal senso e che può affiancare il cliente nelle sue attività» perché «il cliente nella maggior parte dei casi deve essere accompagnato, preso per mano e diretto verso la meta». Un ruolo di formazione? Non solo. «Si tratta di un ruolo dinamico, di affiancamento alla persona o azienda» che – precisa – non è adatto a tutti, perché necessita della creazione di un rapporto di empatia con il cliente, un concetto quindi più profondo della formazione, che ha «alla base la comprensione e il reciproco rispetto».

Altri invece si lanciano in invenzioni creative che lasciano, già alla sola lettura, qualche perplessità (cosa fa ad esempio un social media tools specialist?) ed è anche così che si rendono scettiche le imprese che vedono poca chiarezza in chi si propone.

In conclusione, le parole di Carlos Bellini sono quelle che meglio sintetizzano lo scenario al quale dovremmo prepararci:

«Il mondo digitale non arresta la propria evoluzione, piattaforme e strumenti diventeranno via via più specifici e complessi, per cui nel futuro è necessario andare sempre più verso la specializzazione: la stessa persona non può svolgere in maniera eccellente ruoli diversi. Con il cliente però la parola chiave deve essere sempre una: semplicità. La scelta migliore quindi è di lasciare che a interfacciarsi con il cliente sia una sola persona che lavora con i social; questa poi può avere alle spalle un intero team composto da figure professionali (e relative terminologie) diverse».

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