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Sono sempre di più anche in Italia le startup CBD: i numeri e qualche prospettiva per il mercato

Greenyleaf mercato CBD

Sempre più startup, come Greenyleaf, decidono di investire anche in Italia nella cannabis light e nei suoi derivati, alimentando un mercato fiorente e che potrebbe continuare a crescere in futuro ma con qualche difficoltà.

Anche in Italia sembra essere un periodo particolarmente florido per le startup CBD, ossia per le startup che producono, lavorano, distribuiscono, commercializzano prodotti a base di cannabis light (una versione a ridotto tenore di THC della più comune cannabis).

C’è chi ha chiuso l’ultimo anno fiscale con un round di decine di milioni di euro, tanto da poter essere considerata a tutti gli effetti un unicorno; chi ha organizzato campagne di equity crowdfunding; chi ha portato i derivati dalla cannabis a bassa concentrazione di THC e alta concentrazione di cannabidiolo anche sui principali store online; chi ha provato a esplorare il terreno della agritech, applicando alla coltivazione della cannabis le più innovative tecnologie per l’agricoltura; e chi, come la torinese Greenyleaf, ha puntato tutto sulla qualità del made in Italy e di una coltivazione completamente organica.

Qualche numero sul mercato della canapa in Italia e nel mondo

A convincere gli startupper a investire in startup CBD non possono che aver contribuito i numeri del mercato della cannabis: che si consideri una prospettiva internazionale o sia che si tenga conto della sola dimensione domestica, e nonostante la difficoltà a orientarsi tra dati qualche volta contrastanti, si tratta in ogni caso di numeri rosei.

A livello mondiale il mercato della canapa industriale aveva superato nel 2021 i 5.5 miliardi1 di dollari e, grazie a un tasso di crescita annuo di almeno il +25%, si stima che si arrivi a superare i 27.7 miliardi entro il 2028.

In Italia, invece, il fatturato CBD si attesterebbe al momento intorno ai 200 milioni di euro2 – con un’ampia fetta, di almeno 150 milioni, proveniente dalle infiorescenze – ma secondo le previsioni potrebbe raggiungere nel giro di qualche anno i 400 o 500 milioni.

Nuove abitudini di consumo dei derivati della cannabis light, da un lato, e come i decisori politici interverranno a regolamentare il settore, dall’altro, avranno un ruolo critico in questo senso.

I derivati dalla cannabis sono sempre più popolari tra gli italiani e cresce, così, anche il numero di startup CBD

L’exploit di startup CBD non può aver seguito, del resto, la crescita nel numero di persone che in questi anni si sono avvicinate al consumo di cannabis e di suoi derivati.

Secondo i numeri ufficiali –  che non fanno distinzione, però, tra cannabis light e cannabis con concentrazione di THC superiore allo 0.6% – il consumo di marijuana in Italia3 è diffuso tra le diverse generazioni: più di un consumatore su quattro tra chi fa uso abituale di cannabis ha meno di 24 anni, ma quasi un consumatore su cinque è invece over 40.

La cannabis, insomma, non sembra convincere più soltanto i giovanissimi e chi ne fa un uso ricreativo, ma ha oggi numerosi impieghi anche in virtù delle proprietà curative e degli effetti benefici che le sono riconosciute: il CBD presente in alte concentrazioni nella cannabis light è un metabolita capace, tra gli altri, di effetti ansiolitici, antinfiammatori, antidolorifici, antiemetici.

Non si può non considerare in questo senso anche l’“effetto pandemia” e, cioè, il gran numero di italiani che si sono avvicinati alla cannabis legale durante lockdown e quarantene, provando a sfruttare soprattutto le proprietà calmanti del CBD contro lo stress da isolamento, la paura del contagio, l’ansia legata all’incertezza economica e sociale del periodo.

Situare al tempo del COVID-19 l’esplosione nell’uso di derivati della canapa e di startup CBD permette di comprendere meglio, tra l’altro, anche un’altra delle dinamiche caratteristiche del settore: l’alta vocazione digitale.

Chi compra cannabis legale, anche in Italia, lo fa soprattutto in Rete: secondo delle stime almeno il 40% degli acquisti avverrebbe sugli shop online che vendono prodotti CBD e spesso garantiscono condizioni vantaggiose per la spedizione (gratuita, anonima, espressa, eccetera) oltre che un’ottima qualità dei prodotti e un maggiore assortimento rispetto ai canapa shop fisici.

Quando si parla di “effetto pandemia” sul mercato del CBD si dovrebbero considerare, certo, anche implicazioni decisamente più negative. Il carovita e l’inflazione, tra le conseguenze più ad ampio spettro degli eventi degli ultimi due anni, stanno riducendo la capacità di spesa degli italiani e non è improbabile che, costretti a tagliare alcune voci di spesa, rinuncino o ridimensionino almeno proprio il consumo di cannabis e derivati.

A preoccupare le startup CBD, più che l’eventualità di un futuro prossimo in cui gli italiani riducano il consumo di cannabis light, sembra comunque quella che i decisori politici intervengano a regolamentare il settore, intervenendo su una normativa4 che in effetti ha creato fin qui non poche aree grigie di vuoto legale. Tra le maggiori paure degli addetti ai lavori c’è che lo facciano in direzione contraria a quella in cui si muove l’Europa e nel senso di una restrizione all’uso di cannabis e suoi derivati: la bocciatura5 dell’ultimo referendum in materia è tutt’altro che un buon segnale.

Note
  1. Verified Market Research
  2. CES/ Università di Parma
  3. Ministero dell’Interno
  4. Legge n. 242/2016
  5. Il Post

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