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Con "Stop alle offese!" la tutela legale delle vittime di insulti, offese e odio online è gratuita

Stop alle offese: tutela legale gratuita per vittime di hate speech

Non è la prima iniziativa di questo genere, ma con "Stop alle offese!" Reputation Manager dà tutela legale gratuite alle vittime di offese e odio online.

hate speech , online shaming, online harassment: sono espressioni con cui chi frequenta gli ambienti digitali ha ormai imparato a familiarizzare e il cui significato è chiaro a molti per esperienza personale. Essere stati vittima di offese, insulti, linguaggio volgare o essersi visti attribuire fatti lesivi della propria reputazione è cioè condizione ormai diffusa tra chi usa i social e gli altri servizi online. Per fortuna, però, altrettanto comuni sono iniziative come “Stop alle offese!” che provano a difendere e risarcire chi è stato vittima di abusi online e a diffondere una cultura del rispetto negli ambienti digitali.

Come funziona “Stop alle offese!”, la tutela legale gratuita per chi ha subito hate speech

Da qualche giorno, infatti, collegandosi al sito ufficiale di “Stop alle offese!” chiunque può segnalare post sui social o pagine web che contengono insulti, offese, minacce di cui è stato vittima e chiedere di essere difeso in giudizio o nell’ambito di un accordo stragiudiziale in maniera totalmente gratuita. Basta compilare un form, descrivere brevemente il proprio caso e linkare direttamente il contenuto controverso per essere ricontattati dal team di Reputation Manager che fa capo all’iniziativa. All’interno ci sono data scientist, esperti di web intelligence e di tutela della reputazione online e, ovviamente, legali che assisteranno le vittime durante tutto l’iter burocratico e legale e fino a che non ottengano il dovuto risarcimento. Spesso, infatti, chi è stato vittima di offese o minacce sui social, ha subito abusi online oppure è stato vittima di cyberstalking o revenge porn , per quanto intenzionato a procedere legalmente, può non avere idea degli step indispensabili o non essere in grado di prendere da solo semplici accortezze utili per arrivare a un giudizio o a un accordo con i soggetti responsabili. Tra queste, per esempio, il non cancellare il post o il contenuto in questione per esempio, considerato che per quanto la sua persistenza sul web possa amplificare o far perdurare nel tempo il danno reputazionale solo il link originale e non un suo screenshot è ammesso e può essere acquisito come fonte di prova.

stop alle offese iniziativa reputation manager contro odio online

Il logo di “Stop alle offese!”, l’iniziativa di Reputation Manager che offre tutela legale gratuita alle vittime di odio online. Fonte: stopalleoffese.it

Stop alle offese!” non è sicuramente né la prima né l’unica iniziativa nel suo genere. Già “Odiare ti costa”, per esempio, prometteva a suo tempo di seguire le vittime di linguaggio dell’odio e abusi online per tutto l’iter burocratico-legislativo necessario a ottenere un giusto risarcimento per i danni subiti. Ora come allora, però, è lecito chiedersi se davvero quello economico sia un deterrente valido e cioè, semplificando, se il rischio di dover ripagare alla vittima i danni provocati dall’aver pubblicato un commento, un post, un contenuto offensivo in Rete sia davvero percepito come tale e risulti efficace nel frenare hater e troll dai loro intenti.

Se l’odio online mette a rischio dignità e reputazione dei singoli ma anche qualità del tempo TRASCORSO connessi

In entrambi i casi la promessa che le vittime saranno assistite gratuitamente e indipendentemente da quale sia l’esito dell’iter in questione è un chiaro segno della volontà di «punire le parole offensive che ledono la reputazione e la dignità di una persona», si legge nel comunicato stampa ufficiale di “Stop alle offese!”, indipendentemente dal fatto che vittime di hate speech e online harassment siano vip e personaggi famosi o comuni cittadini. L’odio online è, del resto, un fenomeno ormai davvero trasversale e che non risparmia nessuno.

Per una Chiara Ferragni vittima di body shaming o fatta bersaglio di offese gratuite per aver condiviso una riflessione sulla morte di Willy Duarte o per una Kardashian che decide di congelare i propri account social per chiedere a Facebook & co. più impegno contro il dilagare di hate speech e comportamenti abusanti, ci sono infatti centinaia di utenti, spesso anche minori, quotidianamente vittime degli hater o, loro malgrado, protagonisti di episodi di stalking, di bullismo o di innumerevoli forme di violenza online. Ossia – per citare le parole che Andrea Barchiesi, CEO di Reputation Manager, ha dedicato alla presentazione di “Stop alle offese!” – «l’odio è estemporaneo, pervade qualsiasi tipo di scambio sui social, dalla banale discussione calcistica che degenera in insulti personali, agli scontri sulla pandemia dove si addita l’altro come untore o gli si augura addirittura la morte per un commento». È stato The Guardian a usare l’espressione “pandemic shaming” per riferirsi proprio all’aumento dell’online shaming durante questi mesi di emergenza sanitaria: con più tempo libero da trascorrere online, spaventati dal contagio o risentiti dal dover rinunciare a parte delle proprie libertà, non sono mancati gli utenti che hanno usato gli ambienti digitali come sfogatoio personale, aumentando la tossicità degli stessi e abbassando drasticamente la qualità del tempo passato al loro interno.

Il risultato, per tornare ai numeri, anche se solo parziali come quelli raccolti dall’osservatorio permanente che dovrebbe accompagnare in fieri le attività di “Stop alle offese!”, è che in una settimana e solo su Twitter sono state monitorate oltre 52mila occorrenze di insulti e termini offensivi. Non è difficile capire, insomma, che muoversi legalmente sarà solo uno dei fronti di azione anche di questa iniziativa contro l’odio online: da Reputation Manager fanno sapere, infatti, di aver già iniziato percorsi dedicati alle scuole, agli studenti, ai genitori dei bambini sul web e, come per molte altre iniziative simili, il grosso dello sforzo sarà concentrato nel creare una migliore, più diffusa cultura digitale, partendo dall’investire sull’educazione civica digitale.

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