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Strategia di posizionamento: l'analisi del not provided di Google Analytics

Strategia di posizionamento: l'analisi del not provided di Google Analytics

I dati non monitorabili di Google Analytics come punto di partenza per la creazione di una strategia di posizionamento aziendale e per studiare i competitor.

Per poter costruire o ottimizzare una strategia di posizionamento serve necessariamente avere una base dati da analizzare. Fra i dati a disposizione dei web marketer all’interno di Google Analytics, un dato da tenere in considerazione è il “not provided” che negli ultimi tempi ha riscosso un particolare interesse poiché riguarda il reindirizzamento automatico alla versione in https per tutti gli utenti loggati ai servizi Google. Il not provided è l’insieme delle frasi chiave non monitorabili e si può considerare una sorta di etichetta che raccoglie le ricerche SSL rese anonime per garantire agli utenti Google una ricerca organica in un contesto sicuro.

Questo dato, il cui valore è sempre più in crescita su Google Analytics, può essere utilizzato all’interno di una consulenza in ambito web marketing e, in un’intervista ai nostri microfoni, il co-founder di Report Not Provided Daniele Vinci ci ha illustrato come grazie ad un algoritmo e ad alcune anomalie sui bot, le imprese possono preventivamente sapere se conviene lavorare a una determinata strategia di posizionamento.

Un’azienda che decide di investire online necessita di informazioni come quante difficoltà ci saranno nell’ottenere risultati di posizionamento, quanto sarà necessario investire per superare i concorrenti e soprattutto se sarà possibile decidere preventivamente, senza investire un solo centesimo ulteriore, se conviene o meno lavorare su un determinato progetto o puntare a una determinata strategia di posizionamento. In altre parole, è importante per le aziende sapere esattamente dove stanno i propri competitor e sapere in anticipo la strategia che stanno adottando per posizionarsi online, conoscere tempi, costi e obiettivi per competere prima ancora di iniziare a farlo e costruire o ottimizzare una strategia partendo da una base dati da analizzare.

L’idea di Report Not Provided nasce da un’intuizione che ha come protagonisti il concetto di “rete complessa”, il funzionamento di una rete a livello informatico e il comportamento dei contenuti all’interno di una rete semantica. Attraverso l’applicazione di modelli matematici all’analisi di un contenuto online è possibile dimostrare matematicamente ciò che accade sulla serp e studiare come  i concorrenti stanno cercando di scalare i motori di ricerca, quanto stanno investendo per farlo su rispettive ricerche, come lo stanno facendo e se stanno lasciando scoperte delle strade.

«Il valore di un contenuto online rispetto alla SERP – afferma Daniele Vinci nell’intervista ai nostri microfoni – è determinato dalla struttura semantica in cui è inserito e dalla struttura del singolo contenuto rispetto ai contenuti concorrenti. L’importanza di conoscere più “not provided” permette di avere la dimensione e la migliore definizione della search intent. In questo modo è possibile studiare il piano editoriale dei concorrenti, comprendere se ci sono spazi di inserimento in SERP o se servono maggiori risorse.»

Facendo un paragone con il mondo del giornalismo, il valore commerciale di un contenuto dipende dalle ricerche effettuate dalle persone per trovare quel contenuto. Il confronto può essere esteso, poi, per quanto riguarda il funzionamento, all’agenda setting: i contenuti più “importanti” sono quelli che la maggioranza delle persone sta cercando e per cui ha bisogno di approfondimento

«Il valore dell’oggetto del contenuto, quasi sempre, è proporzionale al volume delle ricerche che le persone fanno sui motori di ricerca per cercare quel prodotto, servizio o informazione. Il web – afferma Daniele Vinci – a differenza della tv, ha un numero immenso di fornitori di contenuti. I motori di ricerca sono il  telecomando digitale con cui le persone cambiano canale. Una singola SERP determinata da una chiave di ricerca, volendo azzardare una metafora, è come un una schermata che mostra più canali tv ovvero i fornitori di un’informazione impacchettata. Le differenti query di ricerca che le persone fanno per cercare informazione rappresentano i tasti del telecomando per fare lo zapping e cercare differenti fonti di informazione. Se cambiando la ricerca (quindi cambiando termine di ricerca) tra i risultati della SERP individuo più volte la stessa fonte di informazioni (quindi un particolare sito web) questo lo riterrò più autorevole e rilevante rispetto agli altri.»

Facendo di necessità virtù, ad alcune informazioni sul not provided si può anche risalire attraverso gli strumenti che lo stesso Google Analytics offre, ad esempio isolando queste keyword nel rapporto ricerca organica e individuandone le relative pagine di accesso grazie all’aggiunta delle dimensioni secondarie. Le dimensioni secondarie su Google Analytics sono quegli elementi su cui vengono misurate delle quantità numeriche e che vengono analizzate sulla base dell’interazione tra più elementi del sito stesso. In un secondo momento, attraverso strumenti di keyword analysis come SEMrush o SEOzoom è possibile individuare le principali keyword per cui il singolo url è posizionato in SERP. SEMrush, per esempio, mette a disposizione “Organic Traffic Insight”, strumento che attraverso il report “Landing Pages/Keywords” (pagine di destinazione/keyword) permette di scoprire una buona percentuale di not provided e di vedere la quantità effettiva di traffico organico fatto confluire al sito per ciascuna di esse.

«Con lo strumento “analizza pagina web” – dichiara ai nostri microfoni Elisa Contessotto, formatrice SEOzoom – oppure nella sezione “pagine” dell’area progetti si possono studiare in profondità le singole pagine di un sito. Vengono identificate le “pagine migliori”, quelle con più potenziale, quelle con più keyword posizionate e così via. Se ci poniamo delle buone domande, un tool come SEOzoom è un grande alleato per analizzare le SERP poiché permette di ottenere informazioni da aggiungere e integrare a Google Analytics e Google Search Console».

Utilizzare dei tool specifici può essere determinante per le aziende: «questo può darci molto più di un’idea delle query attraverso le quali gli utenti sono arrivati sul sito da motori di ricerca. Molto spesso – afferma Francesco Setaro, Digital Strategist & Analyst – la pagina di destinazione con maggior numero di accessi risulta la homepage: questo perché gli utenti digitano chiavi di brand nella barra di navigazione. Queste visite, pur essendo implicitamente “dirette”, finiscono inevitabilmente all’interno del traffico da motori di ricerca».

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