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Streaming musicale: dati e curiosità sui servizi per l'ascolto di musica online

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I servizi di streaming musicale hanno cambiato l’esperienza d’ascolto: alcuni dati sugli abbonamenti e delle curiosità sulle piattaforme.

La digital disruption non ha risparmiato certo il mondo della musica. Anzi, c’è chi sostiene che proprio quello musicale fu il primo mercato completamente rivoluzionato dall’avvento delle tecnologie digitali, con programmi come Napster che fecero la storia del file sharing e segnarono una svolta irreparabile nelle modalità di consumo musicale. L’era del download, pirata o meno che fosse, però è ormai lontana e lo streaming musicale è il fenomeno più potente a cui guardare se si vuole capire verso dove si sta muovendo il mercato discografico e, più in generale, quello musicale.

Il mercato della musica, digitale e non: alcuni dati

Il quadro generale è più incoraggiante di quanto si possa immaginare e quella raccontata dal Global Music Report 2017 è «una storia del tutto positiva di musica che viene ascoltata da più gente e in più modi diversi che nel passato», come scrivono dall’IFPI (la Federazione Internazionale dell’Industria Fonografica, ndr). Una storia in cui lo streaming musicale fa da protagonista, appunto, ma senza allarmismi e visioni apocalittiche e, anzi, finalmente visto come lo strumento giusto per rende più «di valore e ricco ogni tipo di musica, disponibile a centinaia di milioni di persone» e per permettere agli artisti di «mettersi in contatto in maniera più diretta e veloce con i loro ascoltatori», come sottolinea, ancora, il chairman dell’IFPI a commento dei dati sul consumo di musica digitale.

Il 2016, del resto, secondo il rapporto in questione è stato l’anno della svolta, quello in cui nonostante o forse grazie allo streaming musicale il mercato ha mostrato chiaramente dei segni di ripresa. I ricavi totali sono cresciuti a livello globale di quasi il 6% arrivando a 15,7 miliardi, di cui almeno la metà riferibile al digitale. Mentre l’analogico perdeva oltre il 7% di ricavi, infatti, il digitale ne guadagnava il 17.7%, arrivando a sfiorare quota 8 miliardi.

La notizia più interessante, però, è che di questa cifra cala quella riferibile al download (-20,5%) e cresce in maniera significativa (di oltre il 60%) quella proveniente dallo streaming musicale.

revenue mercato musicale 2017

Fonte: Global Music Report 2017

Ben oltre i numeri, significa che «lo streaming è ormai diventato uno stato mentale», come ha iconicamente sottolineato al Festival of Media Global 2017 Marco Bertozzi, Head of Sales di Spotify.

Gli utenti, cioè, non solo approfittano della possibilità di ascoltare direttamente e attraverso servizi dedicati la loro musica, i loro artisti, le loro playlist preferite, ma pretendono di poterlo fare in qualsiasi momento e sono disposti a pagare perché ciò sia possibile. Come già altri studi sul consumo di musica digitale, anche il Global Music Report del 2017 conferma, infatti, una crescita nel numero di abbonamenti ai servizi di streaming musicale: almeno 110 milioni sarebbero gli utenti che ne pagano uno (da distinguere da chi, invece, usa servizi simili ma solo nella versione free, ndr). Prevedibilmente il leader di mercato si conferma Spotify con 50 milioni di abbonati, seguono Apple Music (20 milioni), Deezer (7 milioni), Pandora e Napster (entrambi con circa 4,5 milioni di abbonati).

share servizi di streaming musicale

Fonte: Global Music Report 2017 Elaborazione: Vincos

Le sfide future per chi fa streaming musicale

Più che i dati presenti, però, sono le proiezioni future a incoraggiare i giganti dello streaming musicale a proseguire la loro conquista del mercato. Una delle sfide più urgenti da affrontare, però, potrebbe essere per loro quella dell’intelligenza artificiale: già utilizzata in tantissimi ambiti, dalla domotica alle applicazioni mediche, grazie al machine learning e ad algoritmi pensati ad hoc potrebbe aiutare a profilare meglio gli utenti e i loro gusti musicali, offrendo playlist e suggerimenti più personalizzati e migliorando così l’esperienza d’ascolto. Non è un caso, insomma, se Spotify ha acquistato Niland, startup francese specializzata in A.I.

Uno degli altri temi prioritari per il settore potrebbe essere, poi, la programmatic advertising . Secondo delle stime, infatti, almeno nel mercato statunitense negli ultimi due anni sono molto aumentati gli investimenti in digital audio (dal 5,5% del 2015 all’11,6% del 2017). Non c’è da stupirsi, allora, se presto il trend diventerà globale e se sempre più marketer (almeno un terzo, secondo le stesse stime) decideranno di investire in programmatic audio sui servizi di streaming musicale. Ancora una volta, in questo senso, Daniel Ek e co. si sono mostrati lungimiranti puntando ad aumentare le inventory a disposizione su Spotify, cosa che è stata possibile grazie anche all’inedito interesse di settori come quelli del retail , della finanza, delle auto, delle telecomunicazioni, dell’intrattenimento, ecc.

Alcune curiosità dal mondo dello streaming musicale

Non va dimenticato, però, che quella dei servizi di streaming musicale ha rappresentato, innanzitutto, almeno dal lato degli utenti, una profonda rivoluzione culturale e nell’approccio alla musica. Quello che (ormai ex) startup come quella di Daniel Ek hanno fatto è stato, insomma, intercettare bisogni e desideri degli internauti appassionati di musica e trasformarli in un universo a loro uso e consumo. Non c’è da stupirsi, così, se dentro servizi come Spotify si può fare oggi molto di più che semplicemente ascoltare musica.

Innanzitutto, si può scegliere per esempio la playlist giusta per ogni occasione, dalle festività agli appuntamenti imperdibili, passando per momenti intimi e familiari (ce n’è una addirittura per il parto). Ce ne sono di adatte ai fan sfegatati di ciascuno dei 1369 generi musicali individuati dagli esperti della piattaforma: dalla Aussietronica, musica elettronica proveniente rigorosamente dall’Australia, al drone folk, un folk fatto di banjo che suonano su droni, passando per il Mallet, la musica fatta interamente con martelli di legno simili a quelli che si usano in tribunale. Ed esistono anche playlist tematiche, da quelle riferite a “Star Wars”, proposte da Spotify in occasione dell’uscita del settimo capitolo della saga, a quelle che sembrano create dai personaggi di “Game of Thrones”, a quelle che, invece, dovevano piacere così tanto a sua santità Lenny Belardo di “The Young Pope”.

spotify annuncio Obama

Il tweet con cui Daniel Ek invitava l’ex presidente Obama a unirsi al team di Spotify.

A proposito di playlist, chi ha più familiarità con l’ambiente ricorderà certo il bizzarro annuncio di lavoro per cui Spotify scelse una playlist di brani i cui titoli, letti in sequenza, formavano la frase “Hello, are you looking for how to fly or maybe get a job? We want awesome people like you!”.

L’ennesima dimostrazione che servizi di streaming musicale come questi sono soprattutto organismi vivi e aperti al mondo circostante è arrivata, però, nel giorno delle consegne presidenziali dopo l’elezione di Donald Trump: se Obama, così affezionato (e così seguito) alle playlist di Spotify, si stesse guardando attorno alla ricerca di un nuovo lavoro dopo la Casa Bianca, poteva certo considerarsi il candidato migliore per un posto nella sezione apposita.

Anche l’immensa varietà di servizi accessori disponibili – come quelli che raccontano curiosità, storia, significato del brano o che permettono di scoprire centinaia di tracce ancora inascoltate e, perché no, di trovare l’anima gemella con gli stessi gusti musicali – ha di certo contribuito, nel tempo, al successo di piattaforme come queste. Piattaforme verso cui, finalmente, anche la parte più conservatrice del mercato discografico sembra guardare con maggiore fiducia: dal 2016, per esempio, Spotify è stata chiamata a compilare con Billboard una classifica annuale delle canzoni più condivise e che più hanno generato buzz, un passo avanti non indifferente se si considera che la rivista è considerata tra le più rilevanti per il settore.

Rimane, certo, l’antica querelle con gli artisti che da sempre si dicono mal compensati dai servizi di streaming musicale. Tra i casi che più hanno fatto discutere? Quello di Prince che per l’ultimo album rifiutò qualsiasi accordo con Spotify e simili, proprio lui che nell’eccitazione da musica gratis nel 2004 aveva regalato una copia di “Musicology” a chiunque andasse a vederlo in concerto.

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