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Streaming televisivo: tra abitudini degli utenti e strategie di piattaforma, un quadro completo

Streaming televisivo: tra abitudini degli utenti e strategie di piattaforma

Lo streaming televisivo è un fenomeno che presto riguarderà almeno un miliardo di utenti. Sta già cambiando, però, le modalità di fruizione?

Quando arrivò in Italia, nell’ottobre 2015, Netflix aveva già superato a livello globale i 42,5 miliardi di ore di streaming televisivo e coperto, solo in Nord America, almeno il 37% del traffico Internet.

Fonte: Sandvine

Fin da subito alla creatura di Hastings (nata nel 1997 in realtà come semplice servizio per il noleggio in Rete di DVD e videogiochi, ndr) furono attribuiti tra l’altro una serie di meriti, primo tra tutti quello di proporsi come alternativa credibile alla pirateria che rappresentava una minaccia sempre più forte per l’industria cinematografica: pagare una fee, in genere minima, per avere a disposizione un intero catalogo di film e serie TV sembrò essere considerato infatti dagli utenti più accettabile – e senza dubbio più conveniente – di pagare il singolo prezzo del biglietto al cinema. Il vero vantaggio, però, restò per molto tempo l’occupare una posizione di mercato dominante: secondo delle stime di Bloomberg sulle performance di Netflix nell’autunno 2016, la piattaforma aveva un totale di 83 milioni di abbonati in tutto il mondo, mentre servizi simili come Hulu erano fermi ad appena 11-12 milioni di sottoscrizioni; in un solo trimestre i suoi ricavi superarono largamente i 2 miliardi di dollari, crescendo di almeno un terzo rispetto alla rilevazione precedente e, soprattutto, gli utenti di Netflix guardavano già serie TV, film, documentari in streaming per almeno 117 minuti al giorno, contro una media di 60 minuti sulle altre piattaforme. Il panorama dello streaming televisivo è ancora così concentrato?

Com’è cambiato negli anni il panorama dello streaming televisivo

Non ci sono dati precisi su cui dare una risposta a questa domanda. Ci sono indizi, però, che se messi insieme potrebbero rappresentare una prova del fatto che, anche per quanto riguarda la streaming televisivo, si è assistito negli ultimi tempi a una moltiplicazione dei servizi e dei soggetti operanti nel campo. Bloomberg ha sottolineato come già nel 2016, per esempio, fosse rallentato il ritmo della crescita degli abbonamenti a Netflix: nel secondo trimestre di quell’anno la piattaforma aveva guadagnato 1.68 milioni di abbonati, contro i 2.5 milioni previsti e i 3.3 milioni registrati nello stesso periodo dell’anno precedente. Difficile dire, però, se i clienti “persi” fossero clienti approdati realmente verso altre piattaforme. Piattaforme che, dal canto loro, sembrano avere messo in pratica comunque numerose strategie per non restare solo e semplicemente i “ competitor di Netflix”. Si è trattato soprattutto strategie di contenuto, mirate a costituire un catalogo forte, che risultasse d’appeal per gli utenti e che rappresentasse contemporaneamente un vantaggio competitivo per i singoli soggetti. È quello che ha fatto Hulu, producendo e distribuendo serie TV di grande qualità come “The Handmaid’s Tale” (tratta dall’omonimo racconto di Margaret Atwood e vincitrice, tra l’altro, di un Emmy Award come miglior serie, ndr). Anche Amazon, già da tempo, prova comunque a smantellare la posizione dominante di Netflix: lo fa con strategie di tying come quelle che permettono a ciascun utente Prime di accedere a un catalogo molto vasto di film, serie TV, eventi sportivi in esclusiva; più di recente però Bezos avrebbe chiuso delle partnership con studi cinematografici e outlet media per poter realizzare una versione completamente free della piattaforma, che sia sostenibile solo grazie alla pubblicità. Il tutto senza contare gli svariati tentativi di Facebook di penetrare nel mondo dello streaming televisivo: dal lancio di Watch, la piattaforma per gli show online, alla pervasività delle Storie che si sono sostituite per certi versi alla fruizione televisiva vera e propria.

Lo streaming online ucciderà la “vecchia” televisione?

Cosa c’è di certo insomma? Che il mercato dello streaming televisivo, e più nello specifico quello dei servizi in sottoscrizione, dovrebbe raggiungere entro il 2030 circa un miliardo di utenti. A danno della “vecchia” televisione? Nonostante la sempre minor fiducia nei media tradizionali, è difficile dirlo. Secondo uno studio della CutCableToday del 2016, infatti, gli abbonamenti Netflix starebbero facendo diminuire gli abbonamenti via cavo: almeno l’11% di chi ne ha uno avrebbe detto che potrebbe cancellarlo entro l’anno e il 15% è indeciso se farlo.

I risultati di The Changing TV Experience 2017 di IAB e Maru/Matchbox sembrano in parte contrastanti: nonostante avere a casa un apparecchio in grado di supportare lo streaming televisivo sia diventato sempre più mainstream (oggi ne possiede uno il 56% degli americani adulti, ndr), la visione della “vecchiatelevisione via cavo rimane ancora il comportamento più comune tra i telespettatori, con il 77% di chi possiede un apparecchio televisivo che lo usa ogni giorno in questo modo.

Perché sempre più americani preferiscono lo streaming televisivo alla TV tradizionale.

Chiedersi come lo streaming televisivo stia cambiando l’esperienza stessa del guardare la TV significa, in altre parole, considerare fattori più soft e meno macroscopici. Lo stesso studio, per esempio, sottolinea come guardare la televisione in streaming e guardare la TV tradizionale siano percepite, ormai, come esperienze molto simili, quanto a qualità soprattutto. Cambia invece, e in maniera notevole, il coinvolgimento. Perché chi guarda programmi in streaming televisivo è contemporaneamente impegnato in altre attività meno di quanto non lo sia, invece, chi guarda la televisione tradizionale (solo il 72% di chi fa uso di queste piattaforme, infatti, sembra utilizzi un secondo device mentre sta guardando un contenuto contro l’81% degli spettatori della TV tradizionale)? E, soprattutto, perché anche quando sta facendo dell’altro le attività di questo “nuovo” spettatore televisivo sono comunque legate (in almeno il 34% dei casi) a ciò che sta guardando?

C’entra con ogni probabilità la perfetta verticalità dei palinsesti di simili piattaforme, ammesso certo che abbia ancora senso parlare di palinsesto. La transizione verso il tanto decantato prosumer, insomma, grazie a Netflix e co. è completa: ogni utente si costruisce, da solo, il suo personalissimo palinsesto fatto di prodotti che ne rispecchino quanto più possibile gusti, abitudini di consumo, appartenenze socio-ideologiche.

Quando ci si prova a spiegare le ragioni del successo delle piattaforme di streaming televisivo, del resto, non si può trascurare il potere dei dati: intervistati sui meccanismi di profilazione e targeting utilizzati da Netflix, due esperti della Carnegie Mellon University hanno sottolineato infatti che il vero vantaggio competitivo di servizi come questi è avere a disposizione dati sull’utente che non verranno mai condivisi con altri giganti dell’entertainment. È una sorta di circolo vizioso: gli utenti che si registrano alle piattaforme per lo streaming televisivo sono contenti di regalare loro piccoli e grandi dati personali in modo da rendere quanto più customizzata possibile la propria esperienza e, allo stesso tempo, questi dati servono alla piattaforma per proporre contenuti in linea con le scelte originarie e i gusti dell’utente per aumentarne, a un livello zero, la permanenza sul servizio. Dal momento che questo processo è dispendioso almeno come lo sono le produzioni sempre più cinematografiche dei contenuti proprietari di Netflix e co., è facile immaginare lo scenario dello streaming televisivo dei prossimi anni come un mercato winner take all, in cui un solo vincitore o pochi vincitori “prendono tutto”, e cioè come un mercato estremamente concentrato.

Guardare la TV on the go? Grazie allo streaming è possibile

Tornando alle abitudini di consumo, lo streaming televisivo ha già cambiato le occasioni d’uso: non si guarda più la TV spiaggiati sul divano di casa, ma con l’aumento delle connessioni mobili e la crescente penetrazione di device come smartphone e tablet anche la televisione è sempre più una mobile TV.

Tanto che già nell’aprile del 2016, una ricerca della Rovi Corporation su pay tv e contenuti ott , invitava a dire addio al couch potato (espressione con cui, nel mondo anglofono, ci si rivolge appunto ai telespettatori forti e da divano, ndr). A livello globale, infatti, almeno due terzi degli spettatori fruiva spesso dei contenuti sui mezzi pubblici, il 29% guardava la televisione a lavoro e il 24% sulla propria automobile.

se la tv è mobile e si guarda sul bus infografiche

Risultati simili avrebbe avuto uno studio più recente riportato da Quartz: il 67% degli abbonati Netflix non userebbe il suo account a casa ma in pubblico. I luoghi prediletti sarebbero mezzi di trasporto come aerei, autobus, metro, eccetera. Anche le code però sarebbero un’ottima occasione per recuperare una puntata della propria serie preferita o guardare qualche minuto di un documentario. Soprattutto negli Stati Uniti, gli abbonati utilizzerebbero Netflix anche a lavoro. E c’è persino un 7% di utenti che ricorrerebbe allo streaming televisivo nei bagni pubblici.

Due conseguenze fondamentali ci sono, comunque, in questa fruizione sempre più in mobilità della televisione. Cambiano per esempio, e in maniera considerevole, le modalità di selezione dei contenuti. Gli spettatori hanno bisogno di impiegare sempre meno tempo nella ricerca dei programmi da vedere e, soprattutto se sono a lavoro o per strada, vogliono una guida immediata e chiara su cosa li intratterrà. Così, ancora secondo la Rovi Corporation, il 51% di chi ricorre allo streaming televisivo vorrebbe che i provider migliorassero e rendessero più efficaci le modalità di ricerca dei contenuti; il 30% vorrebbe invece che si concentrassero sulle sezioni e i prodotti raccomandati e oltre il 58% sarebbe disposto a condividere in forma anonima informazioni su ciò che preferisce guardare. Tanto più che, contro ogni previsione, nella maggior parte dei  casi (oltre il 70%) gli utenti si fiderebbero più dei programmi consigliati dalle piattaforme a partire dalle abitudini di consumo proprie e di utenti simili, piuttosto che dei consigli di amici e familiari. Guardare la TV on the go però, secondo Netflix, significa anche rendere più condivise persino emozioni e reazioni che accompagnano la visione di show e programmi: almeno la metà del utenti, infatti, avrebbe ammesso di aver pianto almeno una volta in pubblico mentre stava vedendo qualcosa. Tra gli altri effetti collaterali dello streaming televisivo, quando fatto in pubblico? Avere spoilerata, dallo smartphone o dal tablet di qualcun altro, la trama di un film o di una serie che si sta seguendo (cosa avvenuta all’11% degli utenti), perdere il proprio turno quando si è in coda o si sta aspettando qualcosa (17%) e persino ritrovarsi con qualcuno che spii il proprio schermo (45%).

Lo streaming televisivo sta già cambiando il linguaggio di TV  e audiovisivi?

Sempre in tema di abitudini di consumo, Netflix, Hulu, più di recente Amazon Prime e Facebook Watch hanno reso anche i telespettatori più insospettabili dei binge watcher: semplificando, non ci si accontenta più di guardare un episodio per volta; la disponibilità di contenuti premia una loro fruizione sequenziale e quasi ininterrotta che potrebbe presto avere effetti non indifferenti persino su aspetti produttivi e di scrittura dei prodotti televisivi. Si pensi, in questo senso, a un’evoluzione addirittura del fenomeno del binge watching : il binge racing. È quello che hanno fatto milioni di fan all’uscita della seconda stagione di “Stranger Things”: resa immediatamente disponibile e per intero su Netflix, la classica maratona per guardare quanti più episodi possibili si è trasformata presto in una maratona per guardare in una sola “sessione” l’intera stagione. Ciò è possibile, ovviamente, solo in virtù delle nuove logiche di distribuzione di contenuti di questo tipo, ma è certo facile capire come i meccanismi stessi e le grammatiche della serialità ne risultino profondamente modificati: gli universi narrativi si espandono e si popolano di personaggi diversi di cui seguire le sorti è più facile proprio grazie alla componente tempo; i cliffhanger che facevano da raccordo tra un episodio e l’altro scompaiono o quasi e non sono più indispensabili; le storyline orizzontali, quelle che attraversano per intero una stagione o l’intera serie, si infittiscono e così via. Tutto ciò fa sembrare spontaneo chiedersi se, invece di distruggerlo, lo streaming televisivo stia cambiando il linguaggio della TV e come. La risposta sta, secondo alcuni, nella constatazione che la televisione si stia progressivamente “netflixizzando”: se anche così fosse non sarebbe niente di nuovo veramente, anzi sarebbe l’ennesima strategia di sopravvivenza alle profezie sulla sua morte messa in atto dalla TV.

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