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Startup e imprese alla giornata 4T - Tech Transfer Think Tank 2016: come incentivare la crescita

Startup e imprese alla giornata 4T - Tech Transfer Think Tank 2016: come incentivare la crescita

La 4T – Tech Transfer Think Tank 2016 è stata un'occasione di confronto sull’importanza di creatività e innovazione per startup e imprese.

C’è un dato che ritorna sempre quando si parla di innovazione in Italia: il nostro Paese spende in ricerca e sviluppo largamente meno della media europea (1.3% del PIL, contro il 2%). Eppure, se si sposta lo sguardo al mondo delle imprese si nota che esso è in realtà popolato da piccole realtà che costituiscono il grosso del tessuto produttivo italiano e che incarnano la filosofia della ricerca e dell’innovazione continua e di una “intelligenza artigiana” che fa di creatività e cura per i dettagli i suoi tratti distintivi – come ha spiegato l’imprenditore Cristiano Seganfreddo alla 4T – Tech Transfer Think Tank 2016, organizzata dalla Jacobacci & Partners e dalla Sapienza – Università di Roma il 14 ottobre 2016 e seguita dalla nostra Redazione.

Lo sforzo da fare è, allora, analizzare con sguardo critico gli strumenti che il governo italiano mette a disposizione di startup, PMI, microimprese, altre forme nuove di imprenditorialità. Per quanto esistano e anche quando non mostrano spontaneamente segni di debolezza, infatti, questi strumenti sono spesso ignorati anche dagli addetti al settore. A questo è servita, così, la giornata romana di confronto tra operatori del settore, mondo accademico, aziende, startupper e rappresentanti delle istituzioni.

Osservati speciali della Tech Transfer Think Tank 2016?

Ovviamente startup e imprese innovative, quelle che investono su know-how tecnologici e ne fanno un tratto distintivo. Da qualche anno, infatti, esiste anche in Italia una specifica regolamentazione in materia (quella prevista dal d.l. 179/2012, anche detto Decreto Crescita 2.0) che, a partire da parametri legati all’assetto e al bilancio societario e al tipo di attività e all’oggetto sociale della startup, riconosce come “innovative” le attività imprenditoriali che producono servizi o prodotti dall’alto valore tecnologico o investono parte consistente delle loro entrate in ricerca e sviluppo oppure hanno forza lavoro altamente qualificata.

I numeri ufficiali parlano di circa 5000 imprese innovative distribuite sul territorio italiano, con però profonde differenze geografiche, com’è facile immaginare: il primato, quanto a concentrazione di startup e imprese innovative, va infatti alla Lombardia (con oltre 1100), seguono l’Emilia Romagna (oltre 570) e il Lazio (500), ma non mancano casi d’eccellenza anche più a Sud.

Il loro impatto sul sistema italiano? Assolutamente concreto. Non solo genererebbero un exit di circa 15 miliardi di euro, come ha ricordato alla Tech Transfer Think Tank 2016 Teodoro Valente, Pro Rettore alla Ricerca, Innovazione e Trasferimento Tecnologico della Sapienza – Università di Roma; ma – gli fa eco Matteo Corbetta, membro della Direzione Generale per la Politica Industriale, la Competitività e le PMI – hanno già creato oltre 35mila unità di lavoro, numero destinato a crescere negli anni a venire, oltre ad aver riqualificato aree urbane strategiche, quali le stazioni o le prime periferie, se si allarga lo sguardo da un prospettiva esclusivamente tecnica a una più sociologica.

E dove si inseriscono innovazione e creatività?

La questione dell’innovazione e della creatività imprenditoriale, del resto, richiede anche un approccio soft. La percezione stessa che si ha di startup e imprese innovative, infatti, incide sul ruolo che queste riescono ad avere nella crescita di un paese. C’è chi va oltre la capacità concreta di generare utili, posti di lavoro e la probabilità che diventino, un giorno, le “grandi” aziende del Paese: cos’era del resto la Fiat degli albori se non una “startup” torinese di automobili? E chi sottolinea che «le startup stanno all’economia come i bambini stanno alla demografia», come Marco Cantamessa, docente di Gestione dell’Innovazione e Sviluppo Prodotto al Politecnico di Torino alla Tech Transfer Think Tank 2016. Intendendo con questo che, come l’incremento delle nascite è l’unica cosa che può scongiurare la crisi demografica, la fondazione di startup innovative potrebbe essere la soluzione giusta per superare l’impasse economico-imprenditoriale italiana.

Come trasformare un’idea in business?

Numerosi sono gli strumenti istituzionali (e paraistituzionali) messi a disposizione di chi ha un’idea di business e vuole trasformarla in qualcosa di più che una semplice idea.

Ci sono gli incubatori universitari, per esempio, luoghi in cui si prova ad accorciare la distanza tra mondo accademico e mercato del lavoro, facendo scouting delle idee imprenditoriali più interessanti, lavorando di squadra per migliorarle e renderle sostenibili, offrendo tutorato agli studenti che provano a iniziare un percorso d’imprenditoria ma anche guidandoli nella ricerca di investitori, contatti professionali, fondi. Le realtà di questo tipo sono tante ormai anche in Italia e, nonostante scontino ritardi, mancanza di fondi e di personale specializzato, hanno performance del tutto paragonabili a quelle degli altri Paesi europei. Certo, tutto sarebbe più semplice se gli studenti universitari, di qualsiasi facoltà, ricevessero maggiore formazione all’imprenditorialità oppure se questi stessi incubatori universitari, e gli spin-off che nascono da essi, imparassero a “comunicarsi” meglio, come fanno notare gli esperti alla 4T, non senza sottolineare il ruolo della componente femminile nella buona riuscita di progetti simili. Avversione al rischio, migliori capacità relazionali, un certo pragmatismo e spiccato multitasking, infatti, garantiscono il successo delle startupper donne o dei progetti imprenditoriali in cui sono in larga maggioranza.

Tra gli strumenti a prova di imprenditori “innovativi” ci sono, però, anche le soluzioni previste nel Piano Industria 4.0, per esempio o anche quella proposta da #ItalyFrontiers: un’idea di MiSE, Giovani Confindustria e InfoCamere che dovrebbe portare alla costruzione di un database delle imprese innovative italiane e favorirne l’internazionalizzazione. Né possono essere dimenticati “casi” eccellenti di “acceleratori” dell’imprenditorialità come gli hub regionali di “Spazio Attivo – Lazio” o la piccola Silicon Valley alla periferia romana del PiCampus.

Perché creatività e innovazione possano diventare driver aziendali, però, serve cambiare qualcosa anche all’interno della cultura dell’azienda. Bisognerebbe imparare, per esempio, che un eccessivo protezionismo sulle idee non serve, come sottolineano dalla Jacobacci& Partners alla 4T, e il riferimento non è solo a una gestione “nuova” della proprietà intellettuale. Serve, piuttosto, imparare a proteggere il risultato delle proprie idee.

Anche quando si guarda alla questione dei finanziamenti, poi, la soluzione è ormai a portata di mano: l’ equity crowdfunding è oggi una delle opzioni migliori se l’obiettivo è un mercato di capitali più robusto. Quello che manca in Italia però, è ancora un’alfabetizzazione finanziaria di base che faccia di queste e altre possibilità d’investimento delle alternative concrete. Per questo, quando si parla di creatività e innovazione quello che serve veramente all’imprenditoria italiana sono sinergie tra istituzioni, operatori del settore, mondo accademico, perché solo «una ricerca pubblica che si apre a tessuto imprenditoriale non solo locale ma globale, può portare uno scambio fecondo di opportunità di crescita», sottolinea Enrica Acuto Jacobacci, CEO della Jacobacci& Partners a margine della 4T – Tech Transfer Think Tank 2016.

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