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Dati, AI, comunità: tutti i trend per il giornalismo del 2018

Trend per il giornalismo del 2018: tutto quello che c'è da sapere

I principali trend per il giornalismo del 2018? Dal NiemanLab al Future Today Institute, diversi soggetti hanno provato a evidenziarli.

La perdita di fiducia nei confronti dei media tradizionali, l’importanza che le newsroom dovrebbero dare all’intelligenza artificiale, il consumo di contenuti da mobile, l’ormai immancabile questione fake news , le strategie video e quelle dell’informazione iperlocale: sono i temi principali che chi ha provato a tracciare dei trend per il giornalismo del 2018 ha visto emergere con prepotenza. Ci sono, però, tendenze nel settore dell’informazione da non trascurare in alcun modo nei mesi a venire? Soggetti come NiemanLab e il Future Today Institute ne hanno individuate almeno dieci.

Dati e algoritmi: sarà l’anno del giornalismo di precisione

Ci sono corsi che insegnano ai giornalisti e a chi si occupa di informazione come maneggiare i dati, realtà che provano a fare esclusivamente data journalism (letteralmente, un giornalismo dei dati), eppure stando ai tech trend per i media del Future Today Institute solo quest’anno le redazioni acquisiranno davvero familiarità coi dati o, meglio, saranno costrette a farlo. È ormai comunemente noto, del resto, che gli oggetti connessi da cui siamo circondati, i sistemi di intelligenza artificiale che rendono smart le nostre città, le informazioni che volontariamente o meno disseminiamo in Rete creano una mole di grandi e piccoli dati, strategici in molti sensi.

Padroneggiarli, capire gli algoritmi da cui sono prodotti, saperli interpretare e raccontare, cioè dare loro una forma fruibile anche dall’utente che abbia meno familiarità con numeri e statistiche è la sfida di quest’anno per chi fa informazione.

L’intelligenza artificiale aiuterà davvero il giornalismo?

Tra i trend per il giornalismo del 2018 non poteva mancare, poi, l’intelligenza artificiale. Serve, innanzitutto, come sottolinea ancora il FTI, che redazioni e giornalisti capiscano davvero cosa si intende quando si parla di AI, a cosa serve e come possa essere efficacemente sfruttata per le routine di redazione. Come fanno eco gli esperti del NiemanLab, l’intelligenza artificiale si dimostra al servizio delle redazioni per esempio quando speciali algoritmi vengono utilizzati per filtrare le notizie o bot vengono utilizzati per scrivere pezzo con un linguaggio quanto più umano possibile o per le traduzioni. In altre parole? L’AI è ormai «capace di assolvere compiti che normalmente richiedono un’intelligenza umana». Per questa stessa ragione, il risvolto della medaglia è una malcelata preoccupazione rispetto alla disruption che i sistemi d’intelligenza artificiale potrebbero portare all’interno delle newsroom. Chiunque pensi, però, che questi possano rubare posti di lavoro ai giornalisti tradizionali, in carne e ossa, è in parte fuori strada: realtà come Reuters, Associated Press che già da tempo hanno integrato l’AI nei loro processi di newsmaking dimostrano come si può guadagnare fino al 20% di tempo in più per lavorare a storie più complesse o rilevanti, lasciando che siano bot e algoritmi a occuparsi delle minori.

È davvero finita l’era del giornalismo mobile first?

Quelli appena trascorsi sono stati anni in cui chiunque si occupasse, a livello professionale, di informazione ha guardato soprattutto a una strategia mobile. Il numero di connessioni dati che aumentavano, il tempo trascorso connessi da smartphone e co. sempre più alto hanno convinto molti, infatti, che il mobile stesse cambiando addirittura il modo di approcciarsi ai contenuti e di consumarli.

È ancora così? Non sembrerebbe: l’FTI prevede per il 2018 addirittura l’inizio della fine dell’era smartphone, almeno nei paesi più sviluppati. Presto potranno essere accessibili a tutti, infatti, interfacce zero UI – e, cioè, esperienze conversazionali che non hanno bisogno di schermi – che renderanno obsolete le strategie pensate ad hoc per il mobile. Per essere in linea con i trend del giornalismo 2018, in altre parole, non basterà più avere una linea editoriale mobile-first: in troppi condividono già il tempo e l’attenzione, limitati, dell’utente smartphone e la vera chiave vincente diventerà allora saper creare storie di valore e coinvolgenti, oltre che sfruttare i sistemi e i tool più hi-tech.

Gli assistenti vocali saranno, in questo, un campo strategico da esplorare: grazie a sistemi come Alexa, HomePod, ecc. le ricerche vocali diventeranno infatti molto frequenti. Pragmaticamente? Restando nel campo dell’informazione ciò significa, per esempio, che perderanno progressivamente importanza parole chiave, topic, macroaree di ricerca e ne assumeranno gli snippet, che più si avvicinano alla naturale formulazione di una frase — è proprio in questa direzione che Google ha recentemente ampliato la lunghezza delle sue anteprime snippet, per esempio.

Secondo il FIT, comunque, il 2018 sarà anche l’anno dell’offline. La sfida per le redazioni sarà, in altre parole, fare in modo che il proprio contenuto sia disponibile e usufruibile anche offline: anche nei Paesi a banda larga, infatti, a qualsiasi utente capita di essere temporaneamente in condizioni di scarsa o assente connettività, ma ciò non deve in alcun modo interrompere la news experience.

E quella del giornalismo video?

Il 2017 era stato, da più voci, identificato poi come l’anno del video e anche l’industria dell’informazione si era mossa in questa direzione. Quest’anno, però, come sottolinea il NiemanLab sarà l’anno in cui la maggior parte delle redazioni si renderà conto che il video non è – e, forse, non è mai stato – il tipo di contenuto davvero preferito dagli utenti.

Libere dalla tirannia di una strategia video-first, così, le newsroom sperimenteranno linguaggi creativi, originali, con cui spesso gli utenti hanno già una maggiore familiarità, come emoji e meme . Sopravviveranno bene solo short-form video come quelli delle Storie di Instagram o degli snap e sarà, soprattutto, il tempo del video messaging, che potrà essere sfruttato pienamente dalle redazioni anche grazie al contributo di chatbot e simili.

Ancora fake news, ma fuori dal laboratorio

Nei due anni appena trascorsi non si è fatto altro che parlare di fake news, bufale, post-verità con una grande mole di soggetti diversi (istituzionali, mediatici, politici, aziendali) che si sono sentiti in dovere di fare qualcosa contro l’avanzata della cattiva informazione. Tra i trend per il giornalismo del 2018, così, compare ancora la parola fake news, ma in un’accezione in parte diversa. Che effetti hanno le bufale sulla vita quotidiana delle persone? Ancora secondo il NiemanLab è questo che chi si occupa per professione d’informazione dovrebbe chiedersi veramente. I tanti studi e le tante ricerche che esistono in materia falliscono, infatti, nell’identificare come le persone consumino davvero notizie false o come provino, nella loro vita quotidiana, a verificarle prima di crederle vere o a fare debunking. Una letteratura sulle fake news che esca dai laboratori e che si cali tra la gente è, in altre parole, quello di cui l’ecosistema dell’informazione ha bisogno.

Tra net neutrality e Splitinternets

Il 2018, comunque, rischia già di essere ricordato come l’anno in cui si dirà addio alla net neutrality. Il riferimento è al recente voto con cui la FCC, l’autorithy americana per le telecomunicazioni, nell’era Trump si è detta contraria alla regolamentazione dei servizi e delle offerte delle diverse compagnie nel mercato delle telecomunicazioni. Per semplificare? L’accesso a Internet potrà farsi, già nel medio periodo, sempre meno paritario e sempre meno democratico. Non solo: il fatto che manchi un diritto universale in riferimento a Internet fa sì che la Rete a cui gli utenti accedono non sia mai uguale in tutte parti del mondo. Ci sono paesi che hanno sistemi di censura, altri che filtrano i risultati disponibili sui motori di ricerca e altri ancora che hanno preso provvedimenti come il cosiddetto diritto all’oblio che di fatto alterano la composizione della Rete e ne creano, soprattutto, versioni diverse. Senza contare, poi, che anche le local search per esempio mostrano all’utente una versione personale e parziale dei contenuti del web. È quella che dal FTI chiamano «Splitinternets» (letteralmente, Internet divise) e di cui le newsroom dovrebbero essere consapevoli per meglio organizzare la propria linea editoriale.

Community e watchdog: se il giornalismo si fa locale

Durante l’anno appena iniziato, comunque, il giornalismo dovrà riscoprire anche la sua vocazione locale. Da tempo, del resto, c’è chi sostiene che la dimensione addirittura iperlocale dell’informazione sia il solo antidoto alla sua tanto profetizzata morte.

Non stupisce, allora, che una parole chiave quanto ai trend per il giornalismo del 2018 sia comunità, intesa anche e soprattutto come comunità locale. Specie quando si fa investigativo (sul modello di ProPubblico, per esempio) il giornalismo ha bisogno come suoi alleati di local watchdog – sostiene Mira Lowe, interpellata dal NiemanLab – e cioè di referenti locali che aiutino il reporter, chi fa informazione, il desk di una redazione dislocata a interpretare al meglio le storie con una forte caratterizzazione territoriale.

Perché serve un giornalismo revenue first…

Anche problema della profittabilità dell’attività giornalistica continuerà a essere un tema caldo nei mesi a venire. Tutte le sue declinazioni (mobile first, video first, social first, ecc.), infatti, vengono dopo un giornalismo revenue first: qualunque impresa editoriale, del resto, appunto perché impresa ha una componente di sostenibilità che difficilmente può essere ignorata. Utilizzando le parole del NiemanLab, «nessuna newsroom lancerà una nuova iniziativa senza prima avere un piano chiaro quanto alla sua fattibilità economica». Le formule adottate fin qui, comunque, non sembrano discostarsi poi tanto dai classici modelli del paywall e dell’abbonamento, a cui si aggiungono formazione, eventi, sponsorship.

… e un riassetto delle newsroom: tra decentralizzazione, concentrazione e brand extension

È dall’interno, però, che una riorganizzazione del modello giornalistico dovrebbe avvenire per essere veramente efficace. Per il FTI il 2018 sarà l’anno della decentralizzazione: sempre più comuni saranno, in altre parole, i gruppi di lavoro peer-to-peer che condivideranno fonti, risorse, tool tecnici. Con ogni probabilità, vista la necessaria sostenibilità del business cui si accennava, l’anno appena iniziato sarà anche l’anno della convergenza tra progetti, startup, realtà business di recente formazione, non ancora completamente avviate e soprattutto poco solide da un punto di vista economico. Sarà, però, anche l’anno della brand extension: già da anni realtà in molti settori diversi, anche gli outlet media potranno nel 2018 aprirsi verso fette di mercato parzialmente affini, che siano la produzione di contenuti brandend, per esempio, o il merchandising .

L’anno del giornalismo delle donne

Tra i trend per il giornalismo del 2018 c’è, infine, l’empowerment delle giornaliste donne, anche in posizioni strategiche come quella dell’inviato dall’estero, del repoter, ecc. È probabilmente una conseguenza dei recenti scandali sessuali che hanno investito personaggi pubblici, del mondo dello spettacolo, della politica, infatti, se si è cominciata ad avvertire l’esigenza di un sguardo più femminile su questioni delicate e di una nuova narrativa di genere.

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