- Comunicazione
- 4' di lettura
Twitter banna la pubblicità politica in vista delle prossime presidenziali americane

Twitter banna la pubblicità politica e a twittarlo è direttamente il CEO della piattaforma: cosa c'è, però, dietro a una decisione simile?
Twitter banna la pubblicità politica. A darne notizia è il CEO della piattaforma dei cinguettii, Jack Dorsey, spiegando le ragioni che hanno portato lui e il suo team a implementare una nuova policy in vista delle presidenziali americane del 2020.
Perché Twitter dice di no ai tweet politici sponsorizzati
«Crediamo che la visibilità di un messaggio politico dovrebbe essere guadagnata e non comprata» si legge, infatti, nel primo di una serie di tweet che provano a spiegare perché Twitter banna la pubblicità politica e come ha intenzione di farlo.
We’ve made the decision to stop all political advertising on Twitter globally. We believe political message reach should be earned, not bought. Why? A few reasons…🧵
— jack 🌍🌏🌎 (@jack) October 30, 2019
Chi frequenta da professionista il mondo dei media, del resto, conosce bene la differenza tra messaggi che circolano sui cosiddetti media earned e contenuti pensati appositamente, invece, per i media paid: se i primi sono in genere percepiti come più spontanei e credibili, i secondi sono strategicamente progettati perché risultino su misura per l’utente che si intende raggiungere e proprio per questo hanno più possibilità di farlo. Quando il messaggio in questione è un messaggio di natura politica i rischi si fanno «significativi» dal momento che, diversamente da quanto accade per i messaggi di natura semplicemente commerciale per esempio, in gioco c’è la possibilità di «influenzare il voto», cosa che incide a valle «sulla vita di milioni di persone», continua Dorsey.
While internet advertising is incredibly powerful and very effective for commercial advertisers, that power brings significant risks to politics, where it can be used to influence votes to affect the lives of millions.
— jack 🌍🌏🌎 (@jack) October 30, 2019
I precedenti storici, insomma, non possono che aver orientato la decisione di Twitter di non accettare più annunci politici in tutto il mondo per prepararsi alle prossime tornate elettorali (la nuova policy di Twitter dovrebbe essere in vigore infatti già dal 22 novembre 2019 e dopo aver dato un tempo ragionevole a marketer e staff politici che attualmente investono in pubblicità su Twitter per rivedere la propria strategia). Dallo scandalo Cambridge Analytica in poi, infatti, questioni come quelle del micro-targeting o delle dark ads sono diventate di dominio diffuso, costringendo le piattaforme digitali a mostrarsi responsabili rispetto all’impatto e alle sfide che le frontiere più nuove della digital advertising possono porre al discorso pubblico e al suo stato di salute: machine learning, programmatic advertising , deep fake creano inevitabilmente «sofisticazioni» del discorso politico, twitta ancora Jack Dorsey.
Internet political ads present entirely new challenges to civic discourse: machine learning-based optimization of messaging and micro-targeting, unchecked misleading information, and deep fakes. All at increasing velocity, sophistication, and overwhelming scale.
— jack 🌍🌏🌎 (@jack) October 30, 2019
Dunque, Twitter banna la pubblicità politica, da solo, e questo non può certo bastare. Il CEO della piattaforma ne è tanto convinto che nell’annunciare la nuova policy della sua piattaforma invoca anche una nuova «lungimirante regolamentazione per gli ad politici», in cui la parola d’ordine sia trasparenza. Non c’entra «tanto la libertà d’espressione […]: pagare per aumentare la reach di un messaggio politico ha ramificazioni significative che l’infrastruttura democratica odierna non è ancora pronta a tenere sotto controllo».
A final note. This isn’t about free expression. This is about paying for reach. And paying to increase the reach of political speech has significant ramifications that today’s democratic infrastructure may not be prepared to handle. It’s worth stepping back in order to address.
— jack 🌍🌏🌎 (@jack) October 30, 2019
Twitter banna la pubblicità politica per non essere come Facebook?
«Non saremmo credibili se dicessimo “stiamo lavorando duramente perché le persone smettano di prendersi gioco dei nostri sistemi per diffondere informazioni scorrette, ma se qualcuno ci paga per arrivare alle persone e costringerle a vedere i propri messaggi politici e allora… può scrivere quello che vuole”», continua Dorsey.
For instance, it‘s not credible for us to say: “We’re working hard to stop people from gaming our systems to spread misleading info, buuut if someone pays us to target and force people to see their political ad…well…they can say whatever they want! 😉”
— jack 🌍🌏🌎 (@jack) October 30, 2019
La polemica, davvero poco velata, è verso le nuove policy Facebook per le presidenziali 2020 e, in particolare, verso la tanto discussa decisione di non fare fact-checking su post e contenuti pubblicati dai politici. Non a caso c’è chi ha letto la notizia che Twitter banna la pubblicità politica proprio nell’ottica di una netta contrapposizione alle politiche di Zuckerberg, sì, proprio come se si trattasse di una sorta di ritorno alle origini dell’era del social networking quando l’infinita querelle tra Twitter e Facebook si combatteva a suon di funzioni nuove, nuove impostazioni rese disponibili su un social e non su un altro e via di questo passo. Più realistico è che la scelta di Dorsey sia mirata a evitare problemi istituzionali: l’ultima audizione di Zuckerberg davanti al Congresso per il caso Libra mostra infatti chiaramente come lo spirito delle istituzioni nei confronti dei big del digitale non sia più quello di un certo laissez-faire.
Le prime reazioni alla notizia che Twitter banna la pubblicità politica
Contrastanti le prime reazioni del mondo politico, americano soprattutto. La novità che Twitter banna la pubblicità politica è stata accolta con un certo entusiasmo, infatti, soprattutto dall’area democratica; come scrive The Guardian la deputata Ocasio-Cortez, che negli scorsi mesi ha ridotto la sua presenza digitale dopo essere arrivata al Congresso anche grazie a una efficace strategia di comunicazione social e che proprio in questi giorni ha messo alle strette Zuckerberg sulla questione del ruolo pubblico consapevolmente o meno svolto da piattaforme come Facebook, l’avrebbe definita «un’ottima scelta». È stato lo staff elettorale di Trump a rinominarla invece «una scemenza» dal punto di vista economico e da quello politico l’«ennesimo tentativo di mettere a tacere i conservatori». Tiepida, infine, la reazione del mondo accademico e dei professionisti dei media che davanti alla scelta di Twitter di rifiutare political ads hanno rimarcato la necessità, piuttosto, di limitare i dati – specie se personali e sensibili – a disposizione dei marketer e che questi possono usare per le loro campagne, insieme all’impossibilità di distinguere in ogni caso qual è un messaggio politico da quale non lo è (delle indicazioni in proposito vengono, però, dallo stesso Dorsey, che ha specificato che Twitter bannerà la pubblicità dei canditati o che riguardino le loro principali proposte politiche, ma non bannerà, per esempio, annunci di servizio con date e modalità di voto, ecc.).
- Forse le policy Facebook per le presidenziali americane 2020 non proteggeranno il voto e quella con Ocasio-Cortez non è una totale sconfitta per Zuckerberg
- Dark ads: ovvero quando le inserzioni targettizzate orientano il dibattito politico
- Deepfake: i video fasulli sul web tra conseguenze e possibili soluzioni
- Da Facebook e Google le nuove policy per le europee 2019
Notizie correlate

Capi di governo: chi ha più seguito e genera più interazioni sui social

Meta riattiverà gli account Facebook e Instagram di Trump

Trump ha ufficialmente chiesto di poter tornare su Facebook

Come sta andando il Governo Meloni sui social

Cosa è successo sui social durante la campagna elettorale più social di sempre
