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Twitter: la crisi endemica, il taglio di caratteri, le strategie di sopravvivenza

Twitter: la crisi endemica, il taglio di caratteri, le strategie di sopravvivenza

La crisi di Twitter sembra ormai definitiva: lo dicono i numeri e gli svariati tentativi di tenere in vita la piattaforma. Ecco i principali

«Le persone sono sempre state preziose per noi, per capire cosa Twitter avrebbe potuto essere e come avrebbe potuto evolversi»: così uno sviluppatore senior aveva commentato, qualche tempo fa, la possibilità, poi mai trasformatasi in realtà, che venisse abolito l’iconico limite dei 140 caratteri. Tra le piattaforme social, del resto, quella di Dorsey&co. è una di quelle che hanno subito più cambiamenti strutturali nel tentativo di andare incontro alle esigenze degli utenti.

Tutte le volte in cui i 140 caratteri hanno rischiato di non essere più tali

Gli iscritti della prima ora ricorderanno sicuramente il tempo in cui sulla conta dei caratteri disponibili incidevano anche i link e gli oggetti multimediali condivisi. Nel tentativo di dare più spazio d’espressione ai suoi iscritti, però, la piattaforma ha sostituito il semplice retweet con “Cita il tweet”, un’opzione che permette ancora ora di aggiungere del proprio al contenuto che si è appena condiviso. I famosi 140 caratteri, poi, sono stati già aboliti da tempo nei messaggi privati. E qualcosa di diverso è arrivato anche nei botta e risposta a suon di cinguettii: per evitare di sprecare caratteri nelle menzioni e per una questione di maggiore leggibilità – sottolineano dalla piattaforma – e cioè perché l’argomento centrale della discussione non si perda in una selva di @tag e cancelletti, il @nomeutente delle persone coinvolte compare sopra il testo del tweet vero e proprio.

Twitter sta morendo davvero?

Piccoli cambiamenti, insomma, che a guardarli bene sembrano riflettere un problema ben più grosso. Mentre eravamo impegnati a chiederci cosa fosse diventata davvero la piattaforma e se non fosse il caso di considerare Twitter una media company, il social dei cinguettii continuava a perdere popolarità. Il momento peggiore? Il secondo trimestre del 2015, quando Twitter contava appena 304 milioni di utenti attivi mensili, poco più del 10% di quelli dell’anno precedente. Tanto che, da allora, è inevitabile che qualcuno ciclicamente si chieda se per caso #TwitterStaMorendo (proprio questo hashtag è stato per qualche tempo tra i trending topic della stessa piattaforma a inizio settembre 2015, ndr). Né rassicuranti sembrano, in questo senso, dati più recenti come quelli riportati da Agi secondo cui i nuovi iscritti a Twitter a dicembre 2016 erano appena 319 milioni, solo 2 milioni in più rispetto al trimestre precedente.

E se lo si trasformasse in una cooperativa?

Un altro segnale inconfutabile di crisi sembra arrivare da un’importante votazione degli azionisti della piattaforma (quotata in borsa dal 2013, ha chiuso il 2016 con almeno 2 miliardi di perdite, ndr): trasformare Twitter in una cooperativa di proprietà dei suoi utenti. La proposta? Parte da una petizione firmata da oltre tremila azionisti preoccupati dall’assetto finanziario della compagnia e consisterebbe di fatto nel vendere la piattaforma ai suoi utenti per essere in grado «senza le pressioni a breve termine da parte dei mercati azionari – così si legge nel documento ufficiale stesso – di realizzare il valore potenziale di Twitter», anche quando questo significhi per esempio «impostare regole più trasparenti per la gestione degli abusi e delle violazioni» o rendere di nuovo disponibili in opensource i dati della piattaforma «per stimolare l’innovazione», continuano. Non sarebbe la prima volta del resto, nemmeno nel macrosettore dell’ICT, che si fa ricorso a una soluzione simile. L’ipotesi di una cooperativa, però, non sembra per niente gradita all’attuale proprietà di Twitter: distrarrebbe risorse, tempi e attenzioni dal raggiungere i veri obiettivi della piattaforma, scrivono in una nota ufficiale.

Una versione lite: così Twitter punta ai mercati emergenti

Obiettivi tra cui non potrebbe non esserci il puntare ai mercati emergenti. Non a caso, sembra possa essere a breve disponibile una versione lite di Twitter: si dovrebbe poter accedere direttamente dall’applicazione principale, senza bisogno di passare dall’app store e di riloggarsi e si dovrebbe poter navigare anche in cattive condizioni di connessione. La versione leggera di Twitter, infatti, pare riesca a ridurre fino del 70% il consumo di dati (visualizzando solo anteprime delle immagini, ecc.) e ad assicurare una certa continuità nella navigazione anche quando la connessione è del tutto assente. L’idea? Nasce da un dato come quello di GSMA secondo cui, nonostante l’aumento delle connessioni mobile e le politiche di banda larga, almeno il 45% di chi è connesso da mobile lo è attraverso reti 2G.

connessioni mobili insight

Alcuni insight sulle connessioni mobili nel mondo. Fonte: GSMA

Twitter diventa a pagamento? Sì, ma solo per professionisti

Per rimpinguare le casse, comunque, da Twitter sembrano aver pensato anche a un servizio premium a prova di social media manager e professionisti del digitale. Se per gestire la propria presenza sui social, infatti, la cosa più importante è avere a disposizione i tool giusti che facilitino l’inserirsi nel flusso delle conversazioni, le funzionalità già offerte da Tweetdeck (un’interfaccia terza, ma già acquisita da Twitter nel 2011, ndr) appaiono fin troppo semplici rispetto a quelle fornite da altre piattaforme simili. Per questo, un portavoce di Dorsey avrebbe dichiarato che Twitter è già a lavoro a una versione «più avanzata» e in grado di soddisfare le nuove esigenze di chi sta sui social per professione.

Fare di Twitter un posto più vivibile…

Come dimostra la continua querelle tra Facebook e Snapchat, poi, negli ambienti social copiare gli altri non è sempre un gioco sleale o inconcludente: dopo le voci, mai avveratesi, che anche Twitter stesse testando le Reactions, ora è Forbes a ipotizzare l’arrivo sulla piattaforma dei cinguettii di un tasto “non mi piace”. Sia gli utenti Android sia quelli iOS avrebbero potuto selezionare per qualche tempo l’opzione I don’t like this tweet” per i contenuti che disapprovavano o ritenevano offensivi e fare in modo che l’algoritmo di Twitter li filtrasse o li presentasse loro con meno frequenza. Molti hanno ipotizzato di trattasse di un pre-roll, ma non si sa ancora se e quando la piattaforma rilascerà per tutti la funzione. Chiaro sembra invece l’obiettivo: rendere più vivibile l’ambiente. A questo del resto servono strumenti già molto usati dai twitterer di lungo corso come l’opzione “Mute” che permette di non ricevere più nel proprio flusso tweet di account selezionati o relativi a determinati hashtag , utilissima, per esempio, per evitare spoiler di serie tv o l’ennesima polemica politica. L’hate speech è, infatti, uno dei problemi più rilevanti con cui le piattaforme social devono fare oggi i conti: da un lato c’è ancora chi al sicuro dietro uno schermo ne approfitta per fomentare con i suoi messaggi l’odio, la violenza, le posizioni incivili, dall’altro utenti sempre più consapevoli chiedono ai big del social networking e ai gestori delle pagine più responsabilità rispetto a quello che avviene nelle piazze 2.0.

icona profilo twitter evoluzione

L’evoluzione dell’icona di profilo su Twitter. Fonte: Twitter

In questa direzione sembra muoversi una decisione solo apparentemente banale di Twitter: cambiare l’icona visualizzata nel caso in cui l’utente non scelga un’immagine di profilo personale. Fino al marzo 2016 si trattava di un ovetto stilizzato, ora è stata trasformata in una figura antropomorfa ma asessuata e su uno sfondo grigio. Come spiegano da The Verge, non si tratta solo di un simbolo più «serioso e adatto a tutti», tanto anonimo quanto in grado di spingere i nuovi iscritti a personalizzare il loro profilo. È soprattutto un invito, più forte di quanto non lo fosse l’uovo, a restare umani anche quando si è al protetto di un alter ego e di evitare comportamenti lesivi per sé e per gli altri.

… E NON SOLO PER I BOT

Di umanità, nel senso più letterale della parola, sulla piattaforma del resto sembrerebbe essercene poca. Un recente studio del Pew Research Center ha provato a stimare, infatti, quanti bot ci sono su Twitter. Si tratta di account gestiti in maniera automatica e che, altrettanto automaticamente, sono capaci di condividere contenuti o interagire con altri utenti. Nella maggior parte dei casi sono utilizzati dalle aziende, per esempio, quando si tratta di fornire una social customer care moderna e al passo con i tempi ai propri clienti. A seconda dell’uso che ne viene fatto, però, questi account “automatici” potrebbero finire per creare, volutamente, un clima di disinformazione o distorcere il dibattito politico. Per tornare ai numeri, comunque, almeno il 66% dei link ai siti più popolari sarebbe stato condiviso da account Twitter con caratteristiche che li rendono identificabili come bot.

quanti sono i bot su Twitter

Non stupisce in questa prospettiva che, come avrebbe annunciato direttamente Dorsey in un live su Periscope, uno dei goal futuri potrebbe essere verificare gli account di tutti gli utenti Twitter, tramite l’apposita spunta blu, e non più solo quelli di celebrità e personaggi pubblici in modo da limitare l’impatto – e i danni – provocati dagli iscritti non umani.

Questioni di genere e disabilità osservate speciali su Twitter

L’idea di fondo? È quella di creare un ambiente piacevole da abitare e che invogli l’utente a passarci più tempo possibile. Con un’attenzione particolare per alcune categorie di utenti. Secondo un report di Amnesty International, per esempio, nonostante gli sforzi e le iniziative messe in atto da team e sviluppatori, Twitter è ancora un ambiente tossico per le donne. Proprio le iscritte sarebbero, infatti, le principali destinatarie di commenti offensivi e sessisti che, in più di un caso, si trasformano in vere e proprie forme di abusi o minacce. Tanto che il 78% delle intervistate non reputa il social dei cinguettii “un posto dove poter esprimere le proprie opinioni senza ricevere critiche al vetriolo”. La situazione peggiora se si guarda a donne appartenenti a minoranze etnico-religiose o alla comunità LGTBQ  o, ancora, affette da disabilità più o meno gravi. Proprio la disabilità, del resto, sembra essere un altro terreno di rivendicazioni nei confronti della piattaforma. Un passo avanti è stato fatto quando (nel marzo 2018, ndr), aggiornando policy e linee guida per la segnalazione di contenuti offensivi o illeciti, proprio la disabilità su Twitter è stata inclusa tra quelle ragioni che potrebbero portare alla rimozione di un contenuto perché foriero di odio verso una categoria “protetta”.

Fare shopping su Twitter? Sperimentazioni e prospettive future

Le persone – per tornare alla citazione iniziale – e, ancora meglio, l’esperienza che le persone vivono al suo interno sarebbero insomma il vero punto di interesse di Twitter. Tanto più se si considera che i social sono oggi, sempre di più, tramite d’accesso a non poche attività quotidiane come lo shopping. Sarà per questo che, dopo una feature simile al bottone “Compra Ora” degli altri social, Twitter pare stia testando altre funzionalità a prova di ecommerce , come per esempio la possibilità di condividere con i profili aziendali e via messaggio diretto la propria posizione per ricevere sconti e promozioni, informazioni o assistenza. Tra i primi a provarci? Alcuni brand del settore alimentare, come TGI Fridays che a chiunque condivideva in direct message la propria posizione esatta offriva la possibilità di prenotare il ristorante più vicino, sfogliare i menù, ecc. Il campo è quello dei servizi di geo-helping e prossimity marketing e la nuova feature di Twitter sembra improntata sulla crescente popolarità anche sulla piattaforma dei chatbot.

L’intelligenza artificiale combatte la fuga di utenti da Twitter

Proprio a proposito di chatbot e intelligenza artificiale, c’è una curiosità che se davvero foste intenzionati a lasciare il social dei cinguettii potrebbe tenervi lontano dal farlo. State cercando la ricetta per un tweet perfetto e coinvolgente, insomma? Non esiste. Esiste però il primo «assistente multimediale per i social media», cosi lo hanno chiamato gli inventori. Si chiama Post Intelligence e si tratta di un sistema basato sull’AI appunto che, come spiega ancora Forbes, aiuta a consolidare la propria presenza sui social e a creare contenuti forti e a prova d’interazione. Lo fa imparando grazie al machine learning come scrive il singolo utente, gli argomenti di suo interesse, il modo in cui si esprime e permettendo di settare tempi e contenuti di ogni tweet, visualizzando per questi su un’intuitiva scala cromatica le probabilità di successo. Uno strumento adatto, insomma, tanto ai neofiti che hanno bisogno di imparare a stare su Twitter, quanto agli utenti di lungo corso che vogliono ottimizzare la loro presenza.

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