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Video advertising: una panoramica tra online e analogico

Video advertising: tra online e analogico, i dati al 2017

Gli investimenti in video advertising rimangono cospicui, con marketer e advertiser che si destreggiano tra investimenti “olistici” e crossmediali.

Oltre la metà dei budget digitali (il 56%, ndr) è ormai investita in video. Tradotto in cifre, riferite al mercato americano e come riportate dallo “IAB Video Ad Spend Study 2017”, significa che nel 2017 sono stati spesi in video advertising circa 9,6 miliardi di dollari, il 67% in più di quanto avveniva solo due anni prima.

Per i marketer, insomma, il formato video ha ormai assunto una rilevanza fondamentale nella pianificazione e scelta del media mix. Le ragioni sono tante e diverse: non si tratta soltanto di uno dei formati più mobile friendly, fattore tutt’altro che irrilevante se si considera l’aumento inarrestabile delle connessioni mobile; è anche quello che meglio racconta un brand , un prodotto obbedendo alle necessità di storytelling aziendale e, non ultimo, a logiche e linguaggi che lo rendono perfettamente integrabile con i contenuti televisivi.

Video advertising in contesti premium e strategie integrate: le ragioni dei marketer

Proprio quest’ultimo dato è confermato da uno studio come il “Video Monetisation Report” di FreeWheel. Nell’ultimo trimestre 2017 le Ad Views sono aumentate in Europa del 20%, confermando un trend che si era dimostrato valido per l’intero corso dell’anno. Le ragioni sono da cercare anche e soprattutto nella migrazione in TV di contenuti originariamente pensati per l’IP ed erogati attraverso esso. Al centro dell’attenzione del report c’è soprattutto il premium video: se si considerano fattori come l’aumento dei servizi di video on demand da set-top box (STB VoD) e della pubblicità over the top ( ott ) o il sempre maggiore investimento in programmatic advertising (che, ancora nel 2017, avrebbe fatto registrare un aumento del 24%, ndr), è facile intuire perché la televisione assuma un ruolo sempre più centrale quando si parla di video premium. I marketer sembrano averlo capito ed è per questo che investono in strategie crossmediali e collaborazioni continuative tra realtà che uniscono i due diversi mondi. Quello che oggi è desiderabile, del resto, è un perfetto equilibrio tra la monetizzazione e un’esperienza utente ottimale, quella che si ottiene differenziando i contenuti, abbassando al minimo i tassi di ripetizione pubblicitaria, ecc.

Cosa pensano gli utenti della video advertising?

È un gioco win to win: mentre alcuni studi sottolineano come la video advertising sia più efficace se collocata in contesti premium, ce ne sono altri – come “The Ad-Verse Consumer: European Video Advertising Tolerances in a Digital Age”  di Brightcove – che provano a misurare la soddisfazione nei confronti della pubblicità video, soprattutto online, degli utenti. Gli insight sono tutt’altro che positivi: il 92% degli europei risultava (i dati sono riferiti al 2015, ndr) insoddisfatto delle pubblicità video, accusate di interrompere troppo spesso la navigazione online, contro un appena 11% che si dichiarava soddisfatto della fruizione online di video advertising. Fra le principali cause del malcontento? C’erano

  • l’irrilevanza dei contenuti: il 36% degli utenti avrebbe visto solo raramente o mai una pubblicità vicina ai propri interessi;
  • la lunghezza eccessiva dei video e le difficoltà nella riproduzione: il 73% avrebbe riscontrato problemi con errori di caricamento e buffering continui che, nel 67% dei casi, avrebbero portato tra l’altro gli utenti a interrompere la riproduzione dei video pubblicitari, quando non addirittura ad abbandonare la pagina web.

In uno scenario di questo tipo non sorprende il massiccio ricorso all’ad blocker: almeno il 30% di utenti ne userebbe uno, soprattutto da mobile.

Per aiutare editori e marketer a non perdere pubblico e ricavi connessi, i consigli di Brigthcove spaziavano allora dal realizzare pubblicità più brevi – il 57% degli intervistati aveva dichiarato, del resto, di desiderare video pubblicitari dalla minor durata – all’implementare una funzione di scorrimento veloce che permettesse agli utenti di decidere se saltare la visualizzazione di un sito oppure no, passando per la sperimentazione di pubblicità interattive o la personalizzazione di contenuti video-pubblicitari.

La TV tradizionale e la sfida della video advertising

A distanza da due anni dallo studio in questione, e mentre anche le analisi sulla dieta mediatica degli utenti confermano la buona salute di media tradizionali come la televisione, come si accennava, gli advertiser sembrano puntare soprattutto su strategie olistiche e crossmediali di video advertising.

Con una particolarità: come rivelerebbe uno studio di Videology, quando si tratta della TV tradizionale gli acquirenti accettano più facilmente sfide rispetto a un targeting di clienti specifici perché, dopo anni di esperienza e di studi nel settore, sentono di avere una sicurezza in più nello scendere in campo. Grazie alle nuove tecnologie, però, potrebbe diventare più facile individuare i contenuti appropriati, legando video tradizionali e digitali. Le frodi e la visibilità restano, comunque, le grandi preoccupazioni per agenzie e inserzionisti. Del campione di Videology almeno la metà ha mostrato infatti preoccupazioni rispetto alle frodi o ai bot che influenzano negativamente la loro spesa pubblicitaria, contro un appena 47% che ha mostrato preoccupazioni circa la visibilità dei propri annunci. Anche la poca chiarezza circa i dati di insight che vengono forniti dalle varie piattaforme non ha sembrato tranquillizzare, fin qua, marketer e advertiser: si temono soprattutto dati falsati rispetto alla propria audience per ciò che concerne la composizione e le viewability fornite.

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