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Video contest aziendale: il caso di Banca Intesa Sanpaolo

fact-checking

Il caso del video contest aziendale di Banca Intesa Sanpaolo: un'analisi su viralità, fact-checking e cyberbullismo mediatico.

Tutto è iniziato con la viralità scatenata da un video condiviso in Rete che su piattaforme social e di messaggistica non doveva nemmeno arrivare, perché destinato ad un contest interno alla Banca Intesa Sanpaolo. Il video in questione è stato realizzato dalla filiale di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, e, nello specifico, dalla direttrice insieme a tutti i dipendenti (tranne uno).
Nel breve contenuto inviato come video contest aziendale per aderire all’iniziativa, la direttrice della Bancaintesa si presenta e presenta i dipendenti – inviando un saluto anche all’unico non presente per problemi di salute – e descrive la filiale e l’ambiente lavorativo, portando avanti un discorso motivazionale che si conclude con l’espressione “Io ci sto“, ad indicare una integrazione o vicinanza all’azienda. Lo fa infrangendo tutte le regole di una buona comunicazione (dalla gestualità eccessiva al motivetto canticchiato alla fine), risultando così goffa e in qualche modo inadatta, tutte caratteristiche che hanno portato ad una diffusione virale del video.

Finito in Rete, è stato visto, ricondiviso e commentato con toni forti e offensivi nel giro di pochissime ore, il che da un lato ha portato i media ad interessarsene e a scrivere qualche riga di accompagnamento alla pubblicazione sui diversi portali senza nessuna operazione di fact-checking pur di “stare sulla notizia”, dall’altro ha portato ad una vera e propria attività di cyberbullismo mediatico.
Come è finito in Rete un contenuto – anzi, due contenuti, dal momento che ne è stato diffuso anche un altro identificato col titolo “Occidentali’s Karma”, seppur saranno qui analizzate soltanto le conseguenze legate al primo, ndr – realizzato per il video contest interno di Banca Intesa Sanpaolo e perché ha scatenato un effetto virale?

Il video contest aziendale interno

video contest interno Intesa San Paolo

Immagine condivisa, tra gli altri, da Selvaggia Lucarelli sul proprio profilo Facebook.

Il video contest aziendale è stato lanciato internamente, nell’ambito del progetto “Banca dei Territori” (BdT), per «raccontare il bello» della propria filiale. Tre i punti contenutistici sui quali l’azienda ha chiesto ai dipendenti disposti a partecipare (non obbligatoriamente, quindi) al contest di focalizzare l’attenzione, ovvero comunicare:

  • perché sono speciali per i propri clienti;
  •  cosa li spinge a dare il meglio ogni giorno;
  • qual è il bello del loro lavoro.

Il tutto da raccontare con la realizzazione di un video. Le caratteristiche? Sono espresse mediante una serie di aggettivi generici e con toni informali (forse eccessivamente, ndr): è stato richiesto, infatti, un video «originale, corale», (volendo) «ironico», allegro, aggiungendo «magari un po’ di musica».

La finalità dei video? Per uso interno all’azienda, con la specifica che sarebbero stati scelti «i video più emozionanti e significativi» da proiettare unicamente durante gli incontri BdT.

Perché il video contest di BANCAINTESA è finito in Rete?

Il video contest aziendale della Banca prevedeva che i contenuti fossero inviati tramite WeTransfer ad un indirizzo email specifico, quindi non solo la finalità del video non prevedeva una diffusione in Rete ma l’invio stesso non doveva avvenire tramite una condivisione pubblica. La prima domanda da porsi è, quindi, come sia stato possibile che un contenuto destinato ad un contest interno, organizzato con queste modalità, sia potuto diventare di pubblico dominio.

Sono stati molti gli internauti che si sono espressi contro l’azienda, ritenuta responsabile di una fuga di dati privati di dipendenti che avrebbe invece dovuto tutelare. Potrebbe essere plausibile, infatti, che chi ha visionato il video ricevuto all’indirizzo email aziendale abbia poi inviato il link di WeTransfer o il video stesso a una persona terza, che avrebbe potuto condividerlo a sua volta con altri, e così via. Il dato di fatto però è che «qualcuno decide di prenderlo dal canale privato in cui si trova, scaricarlo e divulgarlo pubblicamente» – come detto da Rudy Bandiera nel suo post “Il caso del video di Castiglione delle Stiviere di Intesa San Paolo” – ma quel ‘qualcuno‘ non è necessariamente interno all’azienda. Non sappiamo, ad esempio, se il video sia stato condiviso in modo privato con qualche amico o parente direttamente da uno dei dipendenti che vi hanno preso parte, dando vita però allo stesso meccanismo di passaparola .

Chi deve risponderne, insomma? Dirlo è alquanto complicato, ma abbiamo provato a chiederlo all’avvocato dello studio KBL LAWRoberto Alma – i cui settori di interesse comprendono anche il diritto della proprietà intellettuale, il diritto delle nuove tecnologie e il diritto del lavoro – che ha così risposto ai nostri microfoni:

«Premesso che occorrerebbe esaminare più nel dettaglio la questione, si tratta, in primo luogo, di esaminare quale sia il contenuto dell’informativa sulla protezione dei dati personali fornita dalla Banca in relazione ai video raccolti nell’ambito di quel “contest”. Occorrerebbe, successivamente, ricostruire l’iter della diffusione non autorizzata del video, per comprendere se suddetta diffusione sia imputabile ai dipendenti della Banca che abbiano avuto accesso ai video. Se così fosse, potrebbe configurarsi una responsabilità della Banca, in qualità di titolare del trattamento, anche per i fatti commessi dai propri dipendenti (che agirebbero quali “incaricati” del trattamento). Poiché il trattamento dei dati personali è equiparato alle “attività pericolose”, spetterebbe alla Banca dimostrare di aver adottato tutte le cautele possibili per evitare il danno».

Media e (mancanza di) fact-checking

Articolo relativo al video contest aziendale pubblicato dalla Gazzetta di Mantova

Il video ha raggiunto, fin da subito, un così alto numero di persone da attirare inevitabilmente anche l’interesse dei media, che hanno mostrato, però, poca attenzione e – lungi dal preoccuparsi di effettuare un fact-checking e valutare quanto fosse opportuno contribuire al meccanismo di diffusione innescato, puntando probabilmente soprattutto sullo “stare sul pezzo” – hanno subito creato articoli, sotto forma di notizie brevi, su diversi portali. E se alcuni di questi articoli sono stati rimossi (ne è esempio quello sul sito repubblica.it, poi cancellato per uscire con un nuovo articolo meno superficiale il giorno seguente, dal titolo “il video virale di Intesa Sanpaolo e la gogna senza senso dei social, ndr), altri invece sono rimasti visibili, come quello sulla Gazzetta di Mantova che ha scelto di mettere in evidenza due immagini estrapolate dal video – oltre al video stesso –, puntando l’accento sull’«effetto piuttosto esilarante» dello stacchetto del video (il titolo stesso è: “Il video-contest aziendale della filiale di Castiglione è esilarante e diventa subito virale“), ma preoccupandosi di specificare a fine testo che «contattata la filiale, non sono stati rilasciati commenti».

Diverse pubblicazioni sono state fatte anche da pagine dedite alla satira più che alla cronaca ma, sia in un caso che nell’altro, potrebbe essere punibile la mancanza di una completezza informativa e la pubblicazione di un video destinato ad uso interno di un’azienda? Roberto Alma ci ha risposto così: «Qui si innesta l’annoso dibattito tra tutela della riservatezza e diritto di cronaca/critica/satira. Probabilmente la persona lesa dovrebbe far leva sul fatto che:
(i) non vi sarebbe un interesse pubblico alla conoscenza del fatto;
(ii) che la medesima non rivestirebbe un ruolo pubblico tale da giustificare la pubblicazione di quei video;
(iii) vi sarebbe una lesione dell’onore e della reputazione della medesima».

Lo scatenarsi di attività di cyberbullismo mediatico

Dovrebbe esserci qualcosa di essenziale che distingua chi digita sulla tastiera delle parole per pubblicarle in qualità di giornalista o di testata (considerata quindi affidabile, attendibile) e chi invece lo fa con meno cognizione di causa. Eppure i confini di separazione si fanno sempre più labili. «Mi vergogno per quei giornalisti che pur di fare qualche click in più hanno preso la palla al balzo senza pensare, deontologicamente parlando, a quale danno potevano arrecare amplificando la notizia», ha commentato in una nostra intervista Loris Castagnini, web marketer e relatore sul tema “pericoli e opportunità della Rete“.

Se non hanno prestato attenzione al fact-checking testate nazionali non c’era da aspettarsi nulla di diverso da chi nella vita non si occupa di notizie e di verifica delle stesse e delle fonti. La conseguenza è stata molto spiacevole per la direttrice della Banca e per i dipendenti, ma soprattutto per la prima che più degli altri è stata vittima di offese e cattiverie alquanto pesanti e sgradevoli – dall’aspetto fisico a illazioni circa il suo stato mentale –, senza contare tutti i dubbi mossi sulla sua professionalità e competenza lavorativa.

pagina Facebook creata dopo video contest aziendale Banca Intesa SanpaoloNon ci si è limitati ai commenti al video postato su diverse pagine (come quello della pagina Facebook ‘IntrashTtenimento 2.0’ che il 4 ottobre 2017 contava già 1milione di visualizzazione e oltre 14mila like, ndr) e su diversi social, compreso Twitter, e alle condivisioni da profili personali: è stato preso d’assalto anche il profilo Facebook della direttrice ed è stata creata una pagina dal nome “Katia Ghirardi Fanpage” (tutt’altro che una pagina di supporto, ovviamente, come si legge anche da uno dei primi post pubblicati, ndr).

Insomma: si è trattato di vere e proprie attività di cyberbullismo mediatico, la “nuova” insidia di Internet. E se si pensa solo a come proteggere i bambini dal cyberbullismo si sbaglia, perché, appunto, ne possono essere vittime tutti i naviganti in Rete.

L’inversione di rotta del sentiment della Rete

Un report che abbiamo realizzato insieme a Talkwalker, eliminando i risultati neutri, ci mostra una maggioranza di risultati con un sentiment negativo: si tratta, nella maggior parte dei casi, di pubblicazioni che condannano la condivisione del video o commenti ironici sulla vicenda.

Banca Intesa sentimentrisultati sentiment negativo

post Paolo Iabichino su video contest aziendale Banca Intesa SanpaoloInsomma, se è vero che l’ hate speech sui social in merito alla vicenda è stato decisamente forte, va anche detto che sono stati in molti a intervenire per far luce sulla disinformazione ed invitare a guardare in modo diverso al contenuto, nella prospettiva appunto di un video contest aziendale per uso interno e non destinato alla condivisione pubblica. Tra i tanti post e articoli pubblicati per fare chiarezza, due particolarmente significati, perché sia tempestivi che ragionati.

Paolo Iabichino ha pubblicato sul suo profilo (pubblico) su Facebook un post (la sera stessa del 3 ottobre, ndr), indirizzato soprattutto a comunicatori, a chi lavora con il digitale, a chi conosce le insidie della Rete e dovrebbe limitare i pericoli, agire responsabilmente: «se capita un video disgraziato, da dentro la filiale di una banca di provincia che non è tra i nostri clienti, noi diventiamo un campionario di bullismo intellettuale», come si legge, appunto, nel suo post. Non sono numeri esorbitanti quelli dei like e delle condivisioni o dei commenti (facendo il paragone, però, con pagine pubbliche che, come visto sopra, avevano pubblicato invece il video, ndr), ma il meccanismo che è riuscito ad innescare è stato molto interessante, perché la presenza tra i suoi contatti o follower di persone di settori specifici (menzionati in precedenza) ha portato alla rimozione della condivisione del video da alcuni profili personali, alla stesura di articoli che mettessero in luce la verità di fondo.

E sempre del 3 ottobre è un post di Fabrizio Martire, “La rete odia ancora, tra i primi a spiegare abbastanza bene la situazione, a specificare che la prima condivisione virale è stata fatta la mattina stessa da un veterinario di Lucca ed il video è stato ripreso nel pomeriggio su Vice.

Azioni di instant marketing da parte dei brand

Anche su questa vicenda non sono mancate alcune azioni sui social da parte di brand : se si sia trattato di vicinanza o di dipendenza da instant marketing che sarebbe stato meglio evitare è difficile dirlo.

Non ci si poteva non aspettare una pubblicazione ad hoc fatta da Ceres.

instant marketing Ceres su video contest aziendale banca intesa san paolo

Ed è arrivata anche una condivisione da parte di Unieuro, condivisione che cerca di essere simpatica (con l’invito a Fabio, il dipendente assente nel video della filiale che viene salutato dalla direttrice e da molti in Rete in diversi commenti, ndr) ma che di fatto sembra restare molto… “unieurocentrica”.

instant marketing Unieuro su video contest aziendale banca intesa san paolo

Immancabili poi azioni di real time marketing anche da parte delle due diverse agenzie ‘Taffo‘.
Ecco allora Taffo G&C con la condivisione di un infelicissimo post.

Mentre Taffo Funeral Services ha realizzato un video dedicato, con un copy solidale: «Prima di prendere in giro qualcuno, dovete metterci la faccia e poi il cuore. Forza #Katia #Noicisiamo».

E a completare il tutto, due azioni di instant marketing in una: al diffondersi della notizia degli spinaci contaminati, l’agenzia You-n ha infatti realizzato un post con il copy «Svelato il segreto dietro al video virale di Intesa San Paolo» e poi la seguente immagine:

Come arginare/affrontare la situazione?

Che si sia trattato di giornali o blog , media, profili personali o pagine pubbliche, una cosa è certa: «Il contenuto in questione non doveva essere di dominio pubblico e, pertanto, qualsiasi copia e condivisione non è mai stata autorizzata», come ha afferma Castagnini nel corso della nostra intervista. «Questo fatto automaticamente porta l’account che lo condivide ad essere in difetto nel rispetto della Legge sulla Privacy con pesanti ripercussioni nel momento in cui venisse colto in flagrante», aggiunge, e «se sommiamo il fatto che le persone non solo hanno condiviso un contenuto non autorizzato ma si sono divertite a schernire gli attori si può essere accusati anche di cyberbullismo».

Cancellare dalla propria bacheca o blog o giornale una eventuale condivisione del video contest aziendale, allora, sarebbe già un primo passo, così come il segnalare e diffondere l’informazione.

Questo, però, lato “persone terze”. Cosa potrebbe fare, invece, la persona più direttamente coinvolta, ovvero la protagonista stessa del video contest aziendale realizzato dalla filiale? Lo abbiamo chiesto a Roberto Alma.

La questione è particolarmente “spinosa”. Sicuramente l’interessato dovrebbe azionare diversi strumenti quali a titolo esemplificativo una denuncia-querela per trattamento illecito dei propri dati personali ed eventualmente diffamazione e, parallelamente, una richiesta ai gestori dei social network e dei portali di condivisione video, volta alla cancellazione dei propri dati (ossia dei video), in quanto trattati senza consenso ed illecitamente e, in ogni caso, segnalare il fatto all’Autorità garante per la protezione dei dati personali. Eventualmente, nel caso di mancato riscontro dei gestori sopra richiamati, si potrebbe valutare l’opportunità di presentare anche un formale ricorso al Garante per la protezione dei dati personali per sollecitare una decisione sul punto.

Per cercare di arginare al massimo situazioni del genere bisognerebbe però agire a monte. Bisognerebbe, ad esempio, ricordare che «Nel momento in cui un contenuto (video o testo) si sposta dal nostro Device, diventa irrecuperabile», come ci ha ricordato Castagnini, perché «per dirlo con una frase di Salvatore Russo, ci hanno dato in mano un mezzo potentissimo ma senza le istruzioni che nessuno ha ancora scritto».

In maniera coerente si inserisce, a tal proposito, il pensiero di Alessandra Salimbene, esperta di marketing digitale e personal branding , da noi intervistata sull’argomento: «Il tema che dobbiamo tutti porci è quello della responsabilità, il concetto per cui con i social siamo tutti editori e quindi siamo responsabili in modo davvero pesante di ciò che pubblichiamo che può condizionare il pensiero e la vita di molti».

Ci sarebbe, poi, qualche modo per recuperare l’immagine personale? A rispondere è stata proprio la Salimbene, secondo la quale «modalità di recuperare ce ne sono: ad esempio potrebbe esporsi, registrare video seri in cui dimostra la propria competenza, approfittare della visibilità ottenuta suo malgrado per dimostrare un talento reale. Per assurdo il tutto potrebbe rivelarsi una svolta di vita». Il tutto, però, sarebbe possibile solo se il soggetto avesse un certo spessore culturale e intellettuale, cosa che in verità è messa in dubbio dalla Salimbene.

Non va poi tralasciata l’immagine aziendale e i problemi di un employer branding negativo: “Situazioni come quella che ha visto Banca Intesa mettono in pericolo la reputazione del brand e e dei lavoratori», ha dichiarato Alvise De Nardi, market manager Italy, Spain & LATAM di Talkwalker in una nostra brevissima intervista. De Nardi ha inoltre aggiunto: «Per questo motivo è importante educare i dipendenti a un corretto utilizzo dei canali social e monitorare in tempo reale le reazioni della rete per poter reagire tempestivamente in caso di crisi».

Gli errori dell’azienda

Si può affermare comunque che, in genere, quella che manca è una buona e diffusa educazione digitale, che – riportando le parole di Castegnini – «sarà una sfida da vincere e che qualsiasi professionista della Rete dovrà farsi carico di divulgare e promuovere. Altrimenti troppe persone si faranno ancora molto male».

L’educazione digitale dovrebbe essere anche inserita nella formazione dei dipendenti, specie da parte di un’azienda che afferma di voler realizzare l’ambizioso progetto di “Filiali digitali per la Banca dei Territori“. Come si può avere un obiettivo simile e lanciare un contest con una call così eccessivamente informale e non aver neanche formato i propri dipendenti, direttamente coinvolti, sulle basi comunicative? Se l’intento era puntare al massimo della ‘spontaneità’ e della ‘naturalezza’, magari era da tenere presente che chi fa parte di un’azienda contribuisce all’immagine aziendale e dovrebbe sposarne, condividere, rappresentare i valori principali. E nel video della filiale di Castiglione delle Stiviere questo purtroppo si è completamente perso.
Alessandra Salimbene ci ha esposto una sua esperienza personale che però ben sintetizza come andrebbero intesi i termini ‘spontaneità’ e ‘naturalezza’ in un contesto aziendale simile:

lavorando con la fotografia ho imparato che spesso e volentieri per comunicare la verità bisogna dire bugie. Questo non perché il significato vada costruito” ma perché la comunicazione è comunque una mediazione cognitiva. Ciò che conta è il significato che arriva e in tantissimi casi questo viene trasmesso meglio da un’immagine (o un contenuto) costruito ad hoc, che dalla realtà nuda e cruda.

Come si evince dal video, però, i dipendenti erano del tutto sprovvisti degli strumenti adatti per generare contenuti, ma con un tipo di comunicazione “adatta” (anche perché è vero che si trattava di un video contest aziendale interno, ma è pur vero che i migliori sarebbero stati proiettati davanti ad una platea che si presume dovesse quanto meno rivedere parte del sistema valoriale caratteristico della Banca, ndr).

Per concludere, una riflessione ancora della Salimbene:

Questa è una questione di sicurezza, perché significa che c’è una banca in cui il personale non è formato e informato adeguatamente e responsabilmente all’uso delle attrezzature informatiche e non conosce i potenziali rischi di alcune attività. Questa volta è successo con un video ludico, domani con cosa potrebbe succedere? 

La rottura del silenzio da parte della Banca

Il 6 ottobre, a qualche giorno dalla diffusione del video contest aziendale interno e di tutte le polemiche e le discussioni che ne sono conseguite, la Banca ha finalmente rotto il silenzio e lo ha fatto con un lungo post sulla propria pagina Facebook. In questo ha manifestato la vicinanza alla direttrice della filiale, precisando come si siano messi in comunicazione diretta subito dopo l’accaduto, ammettendo anche la leggerezza nell’avviare un contest simile.
Tra le altre cose si legge: «la nostra era una raccolta di video interna sulla quale tanti di voi hanno anche lavorato e giocato. Alcuni di questi video sono usciti e pubblicati abusivamente su Facebook. È stato commesso un errore, abbiamo sottovalutato il modo con il quale andavano raccolte queste informazioni, quindi lo abbiamo fatto anche con degli strumenti che fanno parte della nostra vita quotidiana, i telefonini. Quindi questo ci serve, e ci servirà, per costruirci sopra. Staremo più attenti ma il nostro modo di lavorare, il nostro spirito, i nostri comportamenti sono quelli giusti».

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