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Dal boom nel numero dei gamer in quarantena ai trend post-pandemia: cosa c'è da sapere su videogiochi e coronavirus

Videogiochi e coronavirus: boom di gamer in quarantena

Videogiochi e coronavirus: dal boom di gamer in quarantena a come giocare (online, di ruolo, sulle console) aiuta contro l'ansia da contagio.

C’è un segmento dell’ industria culturale che, decisamente meno degli altri, sembra aver sofferto delle misure restrittive e di lockdown imposte dalla pandemia di coronavirus: quello, vasto, del gaming. Dal monte ore trascorso giocando alla console o negli ambienti interattivi, alla ricerca di nuove modalità di gioco, passando per iniziative speciali pensate da gamer o a prova di gamer, videogiochi e coronavirus si sono dimostrati un binomio florido.

#PlayApartTogether: dall’invito dell’OMS all’impegno dei gamer per restare a casa… giocando

Erano ancora le prime settimane di emergenza sanitaria e la stessa Organizzazione Mondiale della Salute – che appena un anno fa (nel maggio del 2019) aveva classificato ufficialmente come malattia il gaming disorder, ossia la dipendenza da videogiochi – ha prescritto il gaming come rimedio utile contro il distanziamento sociale, imposto ai cittadini della maggior parte dei paesi, e l’ansia da coronavirus.

Quasi immediatamente ne era nata una campagna hashtag, #PlayApartTogether, che, oltre a ricevere il plauso di molti influencer di settore e di piccole e grandi star della Rete, tra cui Kim Kardashian per esempio, aveva visto in prima linea i principali player del settore, da Zynga a Twitch e Activision, passando per la divisione gaming di Amazon e YouTube. Si trattava di incoraggiare anche i meno appassionati a – letteralmente – giocare la propria parte nel contenimento della curva dil contagio, restando a casa ma impegnando le proprie giornate, o parte di esse almeno, in attività piacevoli come una sessione di gioco. Per farlo, nel concreto, sono stati messi a disposizione di gamer e semplici appassionati gratuitamente un gran numero di titoli, saghe, accessi ad ambienti di gioco.

Solidarietà e donazioni: come i player del mercato videogiochi hanno reagito alla pandemia

Va da sé che l’occasione è stata d’oro anche per numerose iniziative di responsabilità sociale che ruotassero intorno a videogiochi e coronavirus. Con “Play at HomeSony Playstation non ha dato solo la possibilità agli affezionati della casa di scaricare gratuitamente due titoli cult del proprio catalogo e piuttosto a tema – con la necessità di girare il mondo pur restando a casa e con quella di sognare e di godere di atmosfere rilassanti – come la saga “Uncharted” e l’indie game “Journey”, ma ha soprattutto stanziato fondi per i produttori indipendenti di videogiochi.

Del resto, proprio l’indie gaming potrebbe essere la principale vittima dell’emergenza coronavirus, come sottolineano gli addetti ai lavori: con i maggiori eventi del settore cancellati in queste settimane di lockdown, infatti, sviluppatori e studi indipendenti hanno perso importanti occasioni di contatto con finanziatori e supporter e potrebbero ritrovarsi per questo a dover cancellare (buona) parte dei propri progetti. Decisamente diverso lo spirito della campagna di Xbox che, a suon di «support a hero, stay at home», ha premiato il tempo in più passato sulla console, anche in ottemperanza alle misure di contenimento dell’epidemia adottate dai diversi paesi, trasformando obiettivi e reward ottenuti dai giocatori in donazioni a favore di soggetti in prima linea nella gestione dell’emergenza COVID-19. Se molti brand del settore hanno scelto la via della donazione di mascherine e altri dispositivi di protezione individuale o di ventilatori polmonari e materiale medico – così hanno fatto, per esempio, Nintendo e Razer – per molti altri brand la via maestra è stata quella della charity, con centinaia di migliaia di dollari donati a ospedali e altri soggetti direttamente coinvolti nella gestione della pandemia da Ubisoft, Rockstar (produttore del cult GTA) e via di questo passo. Quello del fundiraising è stato, del resto, un leitmotiv di molte iniziative per #iorestoacasa e, più in generale, un tema caldo nella gestione dell’emergenza coronavirus. Proprio dal mondo del gaming, e non sempre strettamente legate a iniziative dei big player del settore, sono arrivate soluzioni originali come Gamindo, un’app disponibile sui principali marketplace che permette di donare giocando: per ogni partita portata a termine sull’applicazione una donazione è stata fatta, infatti, a reparti di terapia intensiva e reparti COVID degli ospedali più colpiti ma anche per altre cause sociali, ambientali più o meno direttamente ricollegate alla pandemia. Sono presenti giochi per tutti i gusti e durante queste settimane di lockdown l’app ha visto moltiplicarsi non solo gli utenti attivi ma anche e soprattutto il tempo di utilizzo.

Il boom di gamer e di acquisti legati ai videogiochi in quarantena

Quando si parla di videogiochi e coronavirus, però, buona parte del discorso gira intorno alla capacità che hanno avuto giochi online, ambienti di gioco virtuali e più tradizionali giochi per console di trasformarsi in passatempi adatti alla quarantena e, considerate le restrizioni che continueranno a vigere nella maggior parte dei paesi, anche alla cosiddetta fase 2 di convivenza con il virus. Obbligati a restare a casa o invitati a limitare all’essenziale le uscite, soprattutto i giovani hanno riservato più tempo ai videogiochi all’interno delle loro nuove routine quotidiane.

Il successo del gaming durante la pandemia di coronavirus, però, è più transgenerazionale di quanto si tende a pensare: in quarantena si sono riscoperti gamer provetti anche chi non giocava a un videogioco dai tempi, ed erano gli anni Ottanta, di “Legend of Zelda” o adolescenti ormai decisamente cresciuti per anni tenuti lontani dai videogiochi dai genitori per paura che troppo tempo passato alla consolle nuocesse allo sviluppo delle loro capacità socio-relazionali, racconta Polygon in un lungo approfondimento.

Secondo Comscore, così, nei cinque «paesi europei» più coinvolti dall’emergenza coronavirus – Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito – visite e traffico su siti e app dedicati al gaming sono aumentati in media del 19% in una sola settimana (quella dal 6 al 12 aprile).

boom gaming in quarantena

Nelle settimane appena passate di quarantena c’è stato un vero e proprio boom di visite e traffico su siti e app per il gaming. Fonte: Comscore

 

Come racconta il New York Times, un simulatore come Animal Crossing” ha fatto registrare un record di vendite già durante le prime settimane di serrata, attirando tra l’altro l’attenzione di animalisti e attivisti della PETA.

Anche i siti di streaming dedicati ai videogame hanno fatto il boom di visite e visualizzazioni: nel primo trimestre del 2020 Twitch, per esempio, ha superato per la prima volta i tre miliardi complessivi di ore viste.  Non solo più gioco attivo insomma: durante le settimane di lockdown sono aumentate anche le visite a blog tematici e a siti di informazione dedicati alle principali novità del settore, con picchi che hanno raggiunto in Francia il +94% per esempio (in Italia, invece,  l’incremento avrebbe di poco superato il 30%). Altri dati, riportati dal Times, parlano di una crescita vertiginosa nella vendita di hardware e accessori per il gaming, che solo a marzo avrebbe superato in valore il miliardo e mezzo, dato che sembra in accordo tra l’altro con quelli che vogliono l’elettronica di consumo in ascesa anche tra gli acquisti online al tempo del COVID-19. E persino la spesa in advertising sui videogiochi sarebbe più che duplicata dall’inizio della pandemia.

Da cosa dipende il successo del gaming nei periodi di crisi: un’analisi

Una lunga analisi di Matthew Ball dedicata all’exploit dei videogiochi durante la pandemia, riportata da ilPost, mette in luce così come quello che queste settimane di lockdown hanno fatto è stato semplicemente accelerare un processo già in atto e che ha a che vedere con il successo crescente dei videogiochi. Tante sono le ragioni secondo l’esperto. Al contrario di quanto avveniva un tempo, innanzitutto, i videogiochi sono ormai, nella maggior parte dei casi, interoperabili e non richiedono necessariamente l’acquisto di device ad hoc, plus non indifferente in un momento di difficoltà economica come quello che potrà seguire l’emergenza coronavirus. In secondo luogo, gli universi narrativi dei videogiochi sono più versatili e più facilmente riadattabili al presente. Ancora, il mercato dei videogiochi non è un mercato iper-concentrato come la maggior parte di quelli di altri prodotti entertainment e, se anche con un po’ di difficoltà, anche i piccoli produttori indipendenti di videogiochi dovrebbero poter sopravvivere alla crisi economica post-coronavirus. Molto più semplicemente, la maggior parte dei videogiochi, indipendentemente dal device a cui è destinata, può essere acquistata online e sui principali marketplace, vantaggio non indifferente in un’era di spostamenti prudenti come sarà la fase 2 e il futuro prossimo di convivenza con il rischio di nuove epidemie.

La questione eSport: saranno il futuro dell’intrattenimento basato sullo sport?

Una ragione simile, e l’attuale impossibilità di giocare i più importanti campionati nazionali e internazionali, suggellerà secondo l’esperto il successo degli eSport: non si può parlare di videogiochi e coronavirus, infatti, senza accennare almeno al fatto che eventi come la Coppa del Mondo di Fortnite sono stati visti e rivisti innumerevoli volte durante la quarantena o che, nell’incertezza che si potessero svolgere dal vivo competizioni iconiche come il Gran Premio o il Giro di Francia, anche Formula Uno e ciclismo hanno guardato con interesse alla possibilità – al momento, comunque, piuttosto remota – di far sfidare i propri piloti in gare virtuali, al volante di simulatori; senza contare tra l’altro come, mancando di altre possibilità, siano volate in queste settimane le scommesse proprio sugli sport virtuali.

Certo, come per tutta l’industria dell’intrattenimento, rimane il dubbio che i videogiochi siano un di più a cui, volenti o nolenti, si sarà costretti a rinunciare per le ristrettezze da crisi economica post-coronavirus. Ma è un dubbio, questo, che ha a che vedere come la pandemia cambierà in toto le nostre abitudini di consumo a lungo termine.

Videogiochi e coronavirus: un aiuto contro solitudine e ansia da quarantena?

Quello che di certo c’è fin qui su videogiochi e coronavirus è che questi hanno aiutato molti, e non solo tra i più piccoli, ad alleviare solitudine e disagio da isolamento sociale. Da sempre, del resto, quella dei gamer appassionati è una community piuttosto coesa e che sfugge a limiti e distanze geografiche. Oggi, però, anche per molti adolescenti giocare a Fortnite è soprattutto un’occasione in più per incontrare, all’interno di un ambiente virtuale, i propri compagni di scuola, il proprio gruppo di quartiere: non è difficile capire, quindi, come il gaming li abbia aiutati a coltivare le proprie relazioni anche durante le settimane di lockdown. generazione z e generazione alpha sarebbero, del resto, le più abituate a vivere le proprie giornate onlife e a passare con fluidità dalle relazioni vis-a-vis a quelle in remoto, attribuendo loro (quasi) lo stesso peso. C’è una lunga letteratura di studi sugli effetti dei videogiochi sugli utenti, del resto, in parte riportata dallo stesso Time, che sottolinea come, giocando, tre quarti dei più giovani hanno trovato nuovi amici e, nel 10% dei casi, addirittura l’amore. Più in generale è stato dimostrato come attraverso il gaming si possa imparare a rispettare il proprio turno, a negoziare, a collaborare in vista del raggiungimento di un obiettivo e che soprattutto i giochi di ruolo aiutino nel riuscire a prospettarsi più scenari e possibili soluzioni. I videogiochi, insomma, non hanno solo tenuto compagnia e non sono stati solo un passatempo per i più, durante queste settimane di isolamento sociale imposto, ma potrebbero aver aiutato molti a calmare ansia e stress da coronavirus, spingendoli a immaginare nuove soluzioni, nuove modalità di vivere le proprie relazioni, utili da applicare anche nella nuova normalità post-pandemia.

(Anche) con un videogioco si vince la lotta al coronavirus?

Quando, tra il serio e il giocoso, non si sono trasformati in una vera e propria lotta al virus. Molte agenzie di stampa hanno raccontato la storia di Lupo, il bambino di Binasco che ha sviluppato un videogioco per sconfiggere il COVID-19, il Mostro, salendo da soli o in compagnia di altri gamer a bordo della navicella Cerba-20. L’Università di Washington ha sfidato, invece, gli addetti ai lavori con un videogioco, didattico a dir poco e che ben riassume la logica open source che segue attualmente la maggior parte delle ricerche nel campo, in cui, partendo dalla struttura proteica del coronavirus, il gamer ha come obiettivo trovare quella combinazione giusta perché lo stesso risulti innocuo alle cellule umane.

videogiochi e coronavirus università washington

Disponibile su FreeThink, il videogioco dell’Università di Washington sfrutta la logica open source per ridisegnare la struttura proteica del virus in modo che sia innocuo per le cellule umane. Fonte: GamesRadar+

Più che i complottismi – sì, quando l’emergenza coronavirus ha assunto portata globale ci sono stati anche questi e hanno riguardato soprattutto la presunta profezia di un virus imprevisto che avrebbe ucciso (nel gioco) gran parte della popolazione di “World of Warcraft – insomma, in tema di videogiochi e coronavirus sembra aver prevalso una certa apertura nei confronti dei benefici possibili, per tutti, dei mondi virtuali frequentati da gamer.

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