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Diffamazione online: ora ne risponde anche il gestore della pagina

Diffamazione online: ora ne risponde anche il gestore della pagina

La Cassazione cambia approccio ed estende ai gestori la responsabilità per la diffamazione commessa da chi interagisce con la pagina.

Non c’è dubbio che il web, tra le molte possibilità che ha offerto, abbia anche rivoluzionato il concetto di cittadinanza attiva, contribuendo alla piena esplicazione dell’art. 21 della nostra Costituzione in virtù del quale «ciascuno ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero»: è oggi possibile per ogni individuo dotato di un accesso alla rete “far sentire la propria voce” prendendo posizione sui temi d’interesse pubblico, dalla politica all’economia, passando per la scienza e la religione, fino alle sempre accese discussioni sportive. Molto spesso, tuttavia, in queste “arene virtuali” il confronto trascende i limiti del consentito e trasmoda in diffamazione.

Uno strumento straordinario sì, ma quanti problemi

In senso più ampio, poi, è evidente come questa crescita esponenziale di interazioni abbia generato moltissime criticità. Si pensi, ad esempio, a quanto facciano discutere i problemi – straordinariamente attuali – del click-baiting e della diffusione preordinata di notizie false, le cosiddette bufale.

Si pensi pure al problema della diffusione abusiva di contenuti riservatiovverosia del caricamento in Rete in forma pubblica di materiali – digitali e non – destinati in origine ad essere conoscibili ad una cerchia ristrettissima di persone.

Una delle questioni sicuramente più urgenti, comunque, è proprio quella della tutela dell’onore. La manifestazione del pensiero online, infatti, molto spesso si imbarbarisce e trasmoda nell’impertinente aggressione dei destinatari della pubblicazione o addirittura della generalità di coloro che non condividono un dato approccio ad una questione.

Diffamazione online: quali conseguenze

Ebbene, nell’ambito di questo quadro di riferimento si è posto allora il problema dell’individuazione delle responsabilità, civili e penali, per tutti quei comportamenti che dovessero risultare lesivi di beni-interessi protetti, su tutti – come si diceva – l’onore.

Sotto il profilo civilistico, anzitutto, la situazione è molto chiara: l’art. 2043 del codice civile obbliga chiunque abbia cagionato un danno ingiusto a risarcirlo, sicché nel caso di contenuti diffamatori sarà possibile ottenere il ristoro dei danni patrimoniali non patrimoniali patiti.

Anche sotto il profilo penalistico, poi, la giurisprudenza della Cassazione di recente ha confermato che attraverso il web può realizzarsi la fattispecie di diffamazione aggravata dall’uso di un mezzo di pubblicità, rappresentando la Rete uno strumento idoneo ad una divulgazione potenzialmente illimitata del contenuto lesivo veicolato dalla pubblicazione diffamatoria (Sentenza n. 12761 del 2014).

‘Quer pasticciaccio brutto’ della co-responsabilità sul web

La vitalità dei contenuti con cui si realizza una diffamazione, tuttavia, ha già da tempo posto sul campo un ulteriore problema: è possibile estendere la responsabilità (civile o addirittura penale) anche al gestore della pagina web attraverso cui si veicola il contenuto lesivo?

Ora, sul punto bisogna intendersi: se l’autore della diffamazione ed il gestore della pagina si accordano per la divulgazione dello scritto, nulla quaestio. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui un individuo intenda denigrare un suo nemico e, a tale scopo, si accordi con chi ha la disponibilità di una pagina web per ottenere (magari con il beneficio dell’anonimato) la pubblicazione del contenuto in questione: ebbene, in questo caso si realizzerà un concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.) e della diffamazione commessa risponderanno entrambi i soggetti, sia penalmente che civilmente.

Del tutto diverso, invece, è il caso in cui il gestore della pagina non stringa alcun accordo con l’autore materiale della diffamazione: potrà in questo caso egli essere chiamato a rispondere del fatto? La risposta è ni.

Purtroppo non esiste ancora una legislazione ad hoc, giacché il legislatore si è limitato a disciplinare – escludendola tranne alcune segnate ipotesi – la responsabilità dell’ISP (Internet Service Provider) per i reati commessi dai content providerovverosia colui che utilizza lo spazio sul web “riempiendolo” di contenuti (D. Lgs. 70/2003)

Il caso di specie, però, è del tutto differente, perché qui vengono in rilievo due content provider: il gestore della pagina (ad es. giornalista online, moderatore del blog , titolare del profilo su un social network ) ed un terzo (es. utente che commenta la notizia o pubblica di sua iniziativa dei contenuti). Dunque, che il primo abbia un dovere di vigilanza sul secondo è fortemente controverso.

In termini generali, comunque, si può dire che per quanto attiene alla responsabilità civile è tutto sommato ammissibile che venga chiamato a risarcire il danno anche il gestore che, avvedutosi della diffamazione realizzata, non provveda a farla cessare (ad es. rimuovendo il contenuto) contribuendo quindi con la sua condotta, se non alla causazione del danno (ascrivibile all’autore del post), sicuramente al suo aggravamento attraverso il mantenimento sul web della pubblicazione lesiva dell’onore altrui con la conseguente progressiva diffusione del contenuto.

Speculare, invece, è tradizionalmente la soluzione che si accoglie in sede penale: qui, considerata la riserva di legge ed il principio di tassatività delle norme incriminatrici si ritiene (o meglio, si riteneva) che – fuori dai casi di concorso, ovviamente – nessun addebito potesse essere ascritto al gestore della pagina in assenza di una norma esplicita in tal senso e cioè che fondi una vera e propria posizione di garanzia.

La Cassazione: è responsabile anche il gestore dalla pagina web

Con una recente sentenza (Sez. V, n. 54946/16), però, la Cassazione ha capovolto queste conclusioni, riconoscendo la responsabilità penale del gestore di un sito per non aver provveduto a rimuovere un post diffamatorio. La Suprema Corte, con poche e taglienti parole, afferma che il fondamento dell’addebito sta «nell’aver l’imputato mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria […]», dal momento in cui ne apprendeva l’esistenza fino al momento in cui veniva eseguito il sequestro preventivo del sito.

Si tratta di una impostazione che desta molte perplessità: la Cassazione, infatti, anzitutto non chiarisce in virtù di quale norma era imposto al gestore di rimuovere il post, risolvendosi questo dovere in un assunto quasi tautologico. Ancora, questo dovere di rimozione viene fatto coincidere temporalmente con la semplice conoscenza della diffamazione e non – come avviene invece per l’ISP – con il mancato rispetto dell’ordine di rimozione emesso da una Autorità.

Inoltre, la responsabilità viene riconosciuta a titolo di concorso con l’autore, ma ciò è giuridicamente piuttosto singolare in quanto non v’è alcun accordo a monte, ma solo una omissione ex post (mancata rimozione del contenuto).

Pure va precisato che l’orientamento in questione, operando di fatto l’assimilazione di chiunque gestisca una pagina web sulla quale è possibile pubblicare commenti alla figura (e alle responsabilità) del direttore responsabilestride con altre recenti pronunce in materia di responsabilità di giornali online&blog in cui si era ribadita l’impossibilità di estendere a soggetti diversi dalla carta stampata la disciplina di cui all’art. 57 c.p. 

Peraltro, se si traessero le dovute conclusioni da questa impostazione, si giungerebbe all’allarmante risultato per cui ogni sito dotato di un sistema di moderazione dei commenti potrebbe automaticamente essere ritenuto responsabile in caso di accertata diffamatorietà dei contenuti pubblicati: il fatto stesso di averli moderati, infatti, varrebbe come indice di conoscenza della connotazione diffamatoria e quindi fonderebbe una responsabilità penale a titolo di concorso.

Si tratta, quindi, di un orientamento quantomai problematico e che è auspicabile venga superato. Non si può comunque escludere, però, che al contrario tale soluzione riscuota consensi presso i Tribunali e le Corti di merito, nel qual caso avranno probabilmente vita dura i gestori di pagine web aperte alle interazioni dei lettori.

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