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Le cinque big tech e le ventidue piattaforme che per prime dovranno adeguarsi al Digital Markets Act

commissione europea

La lista ufficiale della Commissione Europea è arrivata in questi giorni: comprende aziende come Alphabet, Amazon e Meta, che ora avranno sei mesi di tempo per conformarsi alle nuove norme europee sul mercato digitale.

Dopo l’entrata in vigore ufficiale del Digital Services Act (DSA) il 25 agosto 2023, gli ultimi sviluppi sul Digital Markets Act (DMA) sembrano la conferma che rendere più libero e più sicuro lo spazio digitale europeo sia tra le priorità del momento per le istituzioni comunitarie. La Commissione Europea ha stilato in questi giorni, infatti, la lista di gatekeeper e “Core Platform Service” che per primi dovranno adeguarsi alle previsioni delle nuove norme sul mercato digitale.

Quali sono le aziende e i servizi digitali che, per primi, dovranno adeguarsi in Europa al DMA

Provando a semplificare la definizione data da Bruxelles, i gatekeeper sono tutti quei soggetti che per le dimensioni che hanno e per la fetta di pubblico a cui si rivolgono fungono, nel mercato digitale, da veri e propri intermediari tra business e utenti finali e possono influenzare per questo le decisioni degli uni e degli altri.

Il criterio economico sembra essere quello principale seguito dalla Commissione Europea, che ha inserito nella lista di big tech che per prime dovranno adeguarsi al DMA aziende con un fatturato annuo di almeno 7.5 miliardi di euro e una capitalizzazione di mercato di 75 miliardi di euro.

Restano validi, però, anche i criteri già utilizzati per stilare l’elenco di aziende tecnologiche “sorvegliate speciali” per quanto riguarda l’applicazione del DSA e, cioè, i 45 milioni di utenti attivi su base mensile che diventano 100 milioni se si considerano gli utenti business.

Il risultato è una lista iniziale1 che comprende cinque soggetti: Alphabet (la holding di Google), Amazon, Apple, ByteDance (l’azienda cinese sviluppatrice di TikTok), Meta, Microsoft e Samsung.

eu dma gatekeeper

Fonte infografica: Commissione Europea

Più lunga è invece la lista dei cosiddetti “Core Platform Service” e, cioè, di servizi e piattaforme digitali che rappresentano snodi fondamentali – o gateway – della Rete, senza passare dai quali sarebbe impossibile per gli utenti europei accedere a beni e servizi di uso comune e che per questa ragione possono finire ancora una volta per influenzarne le scelte.

La Commissione li ha divisi per categorie, individuando come primi che dovranno conformarsi al DMA i seguenti:

  •   tra i social network Facebook, Instagram, LinkedIn e TikTok;
  • tra i servizi per la messaggistica istantanea WhatsApp e Messenger;
  •  tra quelli per il video sharing YouTube;
  • tra i motori di ricerca Google Search;
  • tra i browser Chrome e Safari;
  • tra i sistemi operativi Android, iOS e Windows PC OS;
  • tra i servizi per la pubblicità digitale Google, Amazon e Meta
  • in una categoria residua di intermediari e servizi per l’ ecommerce i servizi Maps, Play e Shopping di Google, i marketplace di Google e Meta e l’App Store di Apple.

Le polemiche e le possibili conseguenze degli ultimi sviluppi sul Digital Markets Act

Proprio di fronte alle due liste della Commissione Europea e agli ultimi sviluppi sul Digital Markets Act non è mancato chi ha fatto notare come le aziende che per prime vi si dovranno adeguare sono – quasi esattamente – le stesse che negli scorsi mesi hanno già dovuto conformarsi al Digital Services Act.

Il rischio è così, secondo i più critici, che agendo di concerto le due norme finiscano per creare una sorta di “effetto bavaglio”2 o “effetto tenaglia”3.

Il sottotesto da leggere in questo tipo di accuse è che adeguarsi al nuovo quadro normativo europeo che regola servizi e mercato digitale può avere un costo non indifferente per le aziende tecnologiche, quasi tutte d’oltreoceano. Chi ancora non l’abbia fatto, nei prossimi mesi sarà costretto a investire in ricerca, sviluppo, tecnologia e personale per potersi dire compliant al Digital Services Package 4 (è così che le stesse istituzioni europee si riferiscono a Digital Services Act e Digital Markets Act insieme) e per evitarne le sanzioni soprattutto.

La conseguenza più estrema potrebbe essere che quelle stesse aziende rinuncino a operare in Europa o, almeno, a farlo alle condizioni in cui lo hanno fatto fin qua. È quello che Meta minaccia da tempo e che ora, secondo delle indiscrezioni, sarebbe pronta a fare davvero rendendo Facebook e Instagram a pagamento in Europa.

Come spiega la stessa Commissione, comunque, in questa fase è ancora facoltà delle big tech fare ricorso contro la decisione di essere inserite con i propri servizi nella lista di gatekeeper e di Core Platforms Service. Si aprirà, se lo faranno, un’indagine di mercato a cui la stessa Commissione ha dovere di rispondere entro un numero prefissato di mesi.

A seguito degli ultimi sviluppi sul Digital Markets Act, continuano da Bruxelles, sono già in atto, per esempio, quattro diverse market investigation: serviranno a stabilire se Bing, Edge, Microsoft Advertising e iMessage sono da includere o meno tra i servizi digitali che per dimensione e pubblico potenziale devono adeguarsi per primi alle previsioni del DSA.

Un iter simile, negli scorsi mesi, ha portato a escludere Gmail, Outlook e il browser di Samsung dalla lista di servizi che svolgono nello scenario digitale europeo un ruolo di gateway.

Le big tech hanno sei mesi di tempo per adeguarsi alle nuove norme europee sul mercato digitale

La vera novità è che aziende e servizi digitali che attualmente si trovano nelle liste della Commissione Europea hanno ora sei mesi di tempo per prendere le misure necessarie a conformarsi con le previsioni – o, come la chiama la stessa istituzione, con la «lista di do e don’t» – del DMA. La scadenza è la stessa anche per presentare un report di tutte le azioni intraprese in vista dell’obiettivo.

prossimi sviluppi sul digital markets act

Fonte infografica: Commissione Europea

I prossimi concreti sviluppi sul Digital Markets Act, dunque, con ogni probabilità non si vedranno prima di marzo 2024, anche considerato che la Commissione ha tempo fino a febbraio per individuare altri potenziali gatekeeper e servizi a cui si applicano le norme.

In questi sei mesi di tempo comunque le big tech hanno l’obbligo di comunicare alle istituzioni europee cambiamenti significativi nel proprio assetto, come soprattutto eventuali acquisizioni (assicurare la libertà nel mercato digitale europeo, indatti, non può non passare, stando ai pilastri comunitari stessi, dal garantire che lo stesso rimanga competitivo e non concentrato).

Se a marzo prossimo le big tech individuate e i loro servizi non risulteranno conformi al DMA il rischio è di sanzioni fino al 10% del fatturato globale annuo, percentuale che può salire al 20% in caso di infrazioni ripetute e a cui possono aggiungersi ulteriori misure come l’obbligo di vendere una parte del business o il blocco delle nuove acquisizioni in caso di violazioni sistemiche delle previsioni del Digital Markets Act.

Cosa prevede il DMA e cosa cambierà da marzo 2024 nel mercato digitale europeo

Per quanto riguarda le big tech non ci sono novità sostanziali.

Operando una sintesi, la nuova norma europea sui mercati digitali impone a chi fornisce servizi digitali, almeno quelli più massicciamente utilizzati, di:

  • renderli interoperabili: ciò vuol dire che un utente WhatsApp dovrebbe poter contattare via chat un utente Telegram o un utente Signal senza alcuna difficoltà e, soprattutto, senza rischi per la sicurezza e la riservatezza delle proprie conversazioni;
  • evitare preinstallazioni e configurazioni standard che di fatto riducono la libertà di scelta degli utenti: al momentovè molto raro, infatti, che chi possieda device Apple li usi con sistemi operativi diversi da iOS, per esempio;
  • rendere più trasparente il funzionamento dei propri algoritmi specie quando vengono sfruttati in sistemi di raccomandazione, per esempio per suggerire un acquisto complementare a quello appena effettuato su un eCommerce;
  • riservare la stessa trasparenza anche ai meccanismi della pubblicità digitale: già il DSA prevede che agli utenti sia chiesto esplicitamente il consenso per la raccolta di dati personali a scopo commerciale e la maggior parte delle piattaforme si sta già adeguando almeno per quanto riguarda la pubblicità altamente targettizzata (l’apripista è stato in questo senso Meta). Il DMA interviene su aspetti più specifici, come la gestione dei dati di terze parti;

Inoltre, sempre a proposito di dati, ma focalizzandosi sulla grande mole di informazioni che le big tech raccolgono ogni giorno e sfruttano per migliorare e rendere più competitivi i propri servizi, il Digital Markets Act fa obbligo di condividerle con controparti e soggetti interessati, in uno spirito che è quello tipicamente europeo di collaborazione e crescita condivisa.

Note
  1. Commissione Europea
  2. ANSA
  3. Wired
  4. Commissione Europea

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