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Uber e la crisi aziendale: cosa imparare da una situazione difficile?

Uber e la crisi aziendale: cosa si può imparare da una situazione difficile?

A causa di diverse problematiche Uber sembrerebbe perdere colpi. Cosa deve fare un'azienda per evitare la medesima situazione?

Uber, nota ex-startup che si occupa di fornire un servizio di trasporto automobilistico privato sfruttando i principi della sharing economy, nel febbraio 2017 ha fatto parlare di se diverse volte per vari motivi: dalle accuse di molestie sessuali da parte di responsabili aziendali al furto di tecnologie, fino ad arrivare all’utilizzo di tool in grado di evitare i controlli da parte delle forze dell’ordine.

Insomma, queste notizie non hanno giovato all’immagine della società che nonostante tutto continua a fatturare utili. Per il 2016 i ricavi ammontano 5.5 miliardi di dollari, ma bisogna tenere conto anche di un dato piuttosto preoccupante: in quell’anno si sono registrate anche perdite per circa 3 miliardi di dollari, quasi uno in più rispetto al 2015. Secondo TechCrunch, in questo momento per ogni dollaro guadagnato l’azienda ne perde 1.55. Quali sono gli episodi che stanno facendo traballare Uber? Che cosa può imparare un imprenditore o un’azienda da questa situazione?

ACCUSE DI MOLESTIE SESSUALI

Mentre in Italia volgeva al termine la manifestazione dei tassisti contro la compagnia californiana, Susan Fowler, ingegnere ed ex dipendente, ha spiegato sul suo blog di aver subito delle avance dal suo superiore e di essere stata ignorata dai responsabili delle risorse umane che, invece, l’hanno spinta a lasciare la società. La Fowler non è l’unica ad aver denunciato un episodio del genere: un’altra dipendente, Aimee Lucido, ha parlato infatti delle condizioni in cui si trovano le dipendenti donne all’interno dell’impresa.

IL CASO GREYBALL

Un’altra polemica che ha colpito la società californiana riguarda l’utilizzo di un sistema capace di aggirare i controlli in città dove il servizio è sottoposto a restrizioni o addirittura vietato. Il tool risulterebbe attivo dal 2014, ma secondo la compagnia questo programma è utilizzato esclusivamente per negare le richieste di utenti che non violano le condizioni d’uso. Secondo il New York Times, lo scopo principale di Greyball sarebbe individuare gli agenti di polizia, evitando così i controlli, ma come? Le tecniche sarebbero principalmente quattro:

  • individuare utenti nei pressi di stazioni di polizia e caserme che avviano l’app frequentemente;
  • controllare i sistemi di pagamento degli utenti, verificando una possibile correlazione con le forze dell’ordine;
  • comprendere da quale modello di telefono viene effettuata la richiesta: solitamente gli organi statali acquistano i dispositivi in blocco, quindi sono da escludere smartphone costosi;
  • controllare gli utenti sui social network.

Dopo la notizia del quotidiano statunitense, per evitare ulteriori polemiche i dirigenti hanno deciso di vietare l’utilizzo del tool.

FURTO DI TECNOLOGIE

Accuse arrivano anche da Mountain View, con Google che ha denunciato un ex capo progettista per aver rubato una tecnologia, compresa di documentazione, per poi consegnare tutto ad Uber. La tecnologia, secondo la denuncia depositata dalla Waymo, ramo di Alphabet dedicato alle auto a guida autonoma, riguarderebbe l’appropriazione di circa 14mila file che sarebbero stati scaricati da Anthony Levandowski, ex capo del progetto.

COSA PUÒ IMPARARE UN IMPRENDITORE O UN’AZIENDA DALLA VICENDA UBER?

  • Non bisogna farsi accecare dalla crescita: quando ci si trova in una fase di crescita esponenziale, come per anni è stato per la startup di San Francisco, c’è il pericolo che l’entusiasmo del momento favorevole possa offuscare la visuale su ciò che si trova alla base dell’organizzazione e agli eventuali problemi. Forbes cita il caso di Apollo Education Group che, insieme ad un periodo di crescita impressionante, si è verificato, da parte dei piani alti, un calo dell’attenzione su alcune pratiche ritenute sgradevoli ma che erano funzionali alla stabilità del business. Una situazione simile si è probabilmente verificata anche in Uber nel corso degli ultimi anni: la crescita improvvisa ed il successo hanno oscurato i problemi già esistenti, ma il successo ha dirottato i vertici amministrativi verso la strada più facile, cioè quella di ignorare le problematiche che oggi fanno tremare la compagnia.
  • Cultura ed etica aziendale devono essere una priorità. Per quanto possa sembrare scontato, bisogna ammettere che spesso è molto complicato farlo. L’avidità è uno dei pilastri portanti in qualsiasi business, il fattore che permette di fare dei profitti. E mentre molte compagnie dichiarano di voler cambiare il mondo e lasciare il segno, la verità è che desiderano solo arricchirsi: gli investitori si focalizzano esclusivamente sui profitti e sulla creazione di benessere. Questo non è sempre un male. È solo che quando ci si concentra su un unico obiettivo spesso ci si dimentica di altre situazioni che meriterebbero pari importanza, come ad esempio le esigenze culturali dell’organizzazione. I leader migliori sono quelli che riescono a bilanciare gli obiettivi dell’impresa con le necessità dei propri dipendenti. Il metodo più efficace di fare questo è dare maggiore importanza all’etica aziendale, mostrando che nessuno è in una posizione superiore rispetto ad altri quando c’è da trattare questioni inerenti all’uguaglianza. Questo genere di problematica emerge nel video, che ha fatto il giro del web, con protagonisti il CEO Travis Kalanik ed un dipendente della compagnia.

Uber ha più volte ignorato l’importanza di avere – o costruire – una certa etica e, quando alcuni dei suoi dipendenti hanno riscontrato dei problemi, come quelli di natura economica dovuti a repentine modifiche aziendali, ha volutamente ignorato le preoccupazioni segnalate dai propri lavoratori. Tutto questo nel nome del profitto, per continuare ad essere leader del settore.

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