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Marketing etico: ovvero il volto “pulito” di chi fa marketing

manifesto del marketing etico macaluso

Cosa ha spinto Emmanuele Macaluso a scrivere un Manifesto del Marketing Etico? E perché ogni azienda dovrebbe fare oggi marketing “pulito”?

L'intervista a:

Esiste un marketing pulito, buono, sano e che fa bene alle aziende e al mercato allo stesso tempo? A sentire Emmanuele Macaluso, esperto di marketing e divulgatore scientifico, sì ed è l’alternativa (auspicabile) al dirty marketing, un marketing sporco e ingannevole a cui così tante aziende sembrano non poter rinunciare e che lui stesso si è dato missione di smascherare, tra i primi in Italia, attraverso un blog inizialmente, poi con saggi e momenti formativi ad hoc.

manifesto del marketing etico macaluso

Emmanuele Macaluso, ideatore del Manifesto del Marketing Etico.

Ai più addentro alla materia, la questione richiamerà certo l’eco di un testo che ha fatto scuola in campo pubblicitario: qui come ne “I persuasori occulti” di Vance Packard, infatti, ci sono in campo abili strateghi che usano le più fini tecniche psicologiche e oggi, grazie all’apporto scientifico, anche quelle del neuromarketing, per confondere e convincere il consumatore; e ancora insidie che si nascondono invisibili tra gli scaffali di un supermercato e persino nel semplice packaging alimentare e nei bias cognitivi, alimentati, più che smentiti, dalla velocità dell’informazione in Rete.

«Alla fine della seconda guerra mondiale il lavoro di chi faceva marketing consisteva soltanto nel mostrare la merce, dal momento che ce n’era così poca in giro che bastava appunto mostrarla per venderla. Con l’aumento dei competitor, più tardi, si è cercato di far percepire il bisogno di acquistare qualcosa, con uno step successivo in cui si sono creati a tavolino bisogni prima e prodotti poi che andassero a soddisfarli»: Emmanuele Macaluso del resto si spiega e ci spiega così, in un’intervista ai nostri microfoni, la parabola del marketing e quel processo che, negli anni, ha portato il reparto marketing di un’azienda e il suo ruolo a essere fraintesi e vittime di cattive interpretazioni, soprattutto da parte di chi è estraneo a questo mondo.

Marketing ed etica, insomma: è davvero un binomio impossibile?

Il marketing è a rigore una disciplina, una scienza: non può decidere, quindi, se essere etico o no. La parte etica è strettamente legata, invece, al professionista e ogni persona ha la facoltà di decidere se attuare o no determinate strategie che siano corrette o non corrette.

È proprio da qui che è nata l’idea di un Manifesto del Marketing Etico per cui Emmanuele Macaluso è stato più volte paragonato dalla stampa a una sorta di Al Gore italiano. Si tratta di un documento programmatico, inizialmente scritto e presentato a Torino nel 2011 a uso e consumo di chi si occupa di marketing e che ha ogni giorno «la grande responsabilità di attuare strategie che in qualche modo impattano su tantissime persone, anche se noi in maniera impersonale lo chiamiamo mercato» e poi invece semplificato, nella forma più che nei contenuti, perché «anche la signora Pina che va a fare la spesa al mercato possa capire cosa chiedendo ai miei colleghi», continua l’esperto nell’intervista ai nostri microfoni. Gli undici articoli del Manifesto del Marketing Etico ripercorrono, così, tutte una serie di issue diventate prioritarie per chi lavora in questo settore, dal trattamento dei dati personali dei clienti, alla scelta del marketing mix giusto, fino all’opportunità di coinvolgere l’azienda in attività che vadano oltre il suo core business, ma abbiano una rilevanza sociale. L’idea di fondo, però, è chiara: dare delle indicazioni concrete e su misura per i marketer «delle cose da fare e non fare per non prendere in giro il mercato», ci tiene a sottolineare Macaluso. Se tutti hanno imparato, del resto, l’importanza del mantra “i mercati sono conversazioni”, sfruttando i social e le tante altre opportunità che vengono dagli ambienti digitali per dialogare con i propri consumatori, qualche volta quello che si dimentica è che prima che potenziali clienti si ha a che fare con persone.

Si può dire, in questo senso, che l’obiettivo del Manifesto del Marketing Etico sia anche restituire al marketing un volto più umano?

Non vorrei essere un utopista, anche perché chi fa marketing a un certo livello ha anche l’obbligo di essere estremamente concreto: quello di cui mi accontenterei è che le persone, che tutte insieme costituiscono il mercato, abbiano almeno consapevolezza di quello che acquistano. La maggior parte della gente, infatti, ormai acquista brand e non prodotti e l’acquisto di brand li porta a comportamenti che talvolta sono irrazionali.

Aziende, marketer, consumatori: chi guadagna allora davvero da un marketing etico? e in che modo?

Serve fare una premessa. La crisi economica ha creato una quantità di autoreferenziali esperti di marketing veramente notevole: si tratta di persone rimaste fuori dal mondo del lavoro, a partire dal blogger – che ha un blog che legge solo lui – per finire con una serie di altri professionisti, e che hanno cominciato a vendersi come esperti di marketing, talvolta con risultati esaltanti, talaltra dovendo ricorrere a tecniche completamente scorrette perché, pur di giustificare l’importo che chiedono, sono disposte anche a giocare sporco. A guadagnare da un marketing etico allora è chiunque si occupi di comunicazione che, conoscendo bene la disciplina e conoscendo bene le tecniche, può raggiungere ottimi risultati pur rimanendo al di fuori di determinati “giochetti”. Dal punto di vista del personal branding o della corporate identity di un’azienda, insomma, poter vantare lo stare in piedi nonostante il non utilizzo di tecniche di dirty marketing è già un valore aggiunto, che fa la differenza per chi si occupa di marketing o pensa di farlo.

Quello che appare chiaro da tutti gli articoli del Manifesto del Marketing Etico, del resto, è che un documento come questo e l’eventuale adesione non debbano essere letti come un limite o una costrizione per il professionista. Anzi, deve essere segno della volontà di portare le professioni del marketing a un altissimo livello di eccellenza, parafrasandone l’articolo undici. Sarà anche per questo che nel Manifesto non si parla quasi mai di responsabilità (solo una volta e nell’accezione di corporate social responsibility, ndr), ma si parla spesso invece di credibilità. La ragione? Forse è da cercare nel fatto che, esattamente come le azioni di responsabilità sociale che lo siano davvero e che non siano semplice green washing, il marketing etico contribuisce a costruire un’immagine positiva, proiettata nel contesto, e reattiva dell’impresa. Quello di cui si ha estremo bisogno per sopravvivere in un contesto sempre più competitivo, sì, ma in cui per fortuna la sfida tra aziende si è spostata anche su elementi più soft e valoriali.

Quali sono, allora, i consigli per un’azienda o un qualsiasi altro professionista che voglia intraprendere la strada del marketing etico?

Per le aziende sicuramente affidarsi a veri professionisti che, al di là di “titoloni” e quant’altro, possano portare sul tavolo risultati concreti e farlo con le giuste tecniche. Per un professionista, invece, essere in grado di portare a casa risultati giocando pulito, non mettendo in atto strategie di dirty marketing e, non meno importante, essere pronto in qualsiasi momento a riportare l’attenzione degli organi aziendali non tanto sui risultati ottenuti o da ottenere, quanto sulle metodologie migliori con cui farlo.

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