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Campagne contro la violenza sulle donne: quando rompere il silenzio è troppo difficile ma essenziale

Le campagne contro la violenza sulle donne non sono mai abbastanza per rompere il silenzio, spesso fatale per le vittime. Ecco alcuni esempi.
Il movimento #metoo, ampiamente diffuso in Rete a partire dall’ottobre 2017, ha accesso il dibattito sulle molestie sessuali e sulla violenza sulle donne. Simili iniziative, sicuramente preziose, sembrano però non essere mai abbastanza, soprattutto se si guarda ad alcuni dati: in Italia soltanto tra il 1° agosto 2017 e il 31 luglio 2018 sono stati registrati 120 casi di femminicidio, 92 dei quali concretizzatisi in ambito familiare o affettivo. Negli ultimi dieci anni, invece, si sono verificati 48.377 casi di violenza sessuale (che avevano per vittima una donna il 90% delle volte). I dati pubblicati da Censis a maggio 2019 dipingono un quadro davvero preoccupante, che non fa che sottolineare l’importanza di campagne contro la violenza sulle donne e di un impegno costante per combattere il problema. A ciò si aggiunge che spesso vi sono donne che subiscono violenza di genere, in silenzio.
Combattere il silenzio È possibile?
Lo spot lanciato da Refuge, organizzazione che offre supporto a donne e bambini vittime di violenza domestica, sembra quasi un tutorial di make-up che però punta a insegnare alle donne a coprire «i lividi fatti da un partner geloso», per «apparire al meglio la mattina seguente». La campagna si serve di tale espediente per ricordare che il 65% delle vittime di violenza domestica prova a nascondere i segni, con l’obiettivo così di incentivare le donne a rompere il silenzio.

Sono diverse e molteplici le motivazioni che portano molte vittime a non denunciare gli aggressori: la paura di ritorsioni e la volontà di tutelare i figli, la vergogna, la fragilità emotiva e, in alcuni casi, anche il senso di colpa inculcato dall’aggressore che di fatto potrebbe manipolare la vittima facendole credere di essere la causa della violenza.
Proprio «quando è difficile parlarne, tocca a noi cercare di ascoltare», come sottolinea il messaggio trasmesso in uno spot dell’organizzazione No More che mira a richiamare l’attenzione sulla difficoltà nel denunciare situazioni di violenza e sulla necessità di imparare ad ascoltare o a identificare le possibili vittime.

Screen dal video: Super Bowl 2015: Domestic Violence PSA
Nel video, presentato al Super Bowl 2015, si può ascoltare la voce di una donna che telefona al 911 – numero per le emergenze negli USA – dicendo di voler ordinare una pizza. Dopo alcune domande l’operatore riesce a capire che la donna si trova in casa con l’aggressore e che non può parlare; per tale ragione, invia un agente di polizia.
Proprio perché è così difficile per le vittime denunciare, a maggio 2019 No More ha concluso una partnership con Uber per incentivare i conducenti a intervenire quando si trovano in presenza di situazioni simili. In un video lanciato per promuovere la campagna #dontstandby, lo stesso appello viene fatto ai baristi che potrebbero avere un ruolo chiave nell’aiutare «a fermare presunte situazioni di violenza sessuale prima che abbiano inizio».

Sono molte le donne che non riescono a fare questo da sole, ma sono anche tante quelle che sono sopravvissute a casi di violenza e «le loro voci e le loro storie devono essere ascoltate». Infatti, dopo il lancio del movimento #metoo, c’è chi ha pensato di lanciare #HearMeToo: è questo il tema della campagna creata dalle Nazioni Unite per il 2019, in cui diverse donne e ragazze vittime di aggressioni raccontano la loro esperienza, attraverso diversi video presenti sul sito di UN Women.
Per questa ragione vengono promossi dall’organizzazione sedici giorni di attivismo contro la violenza di genere, che partiranno il 25 novembre, cioè con la Giornata contro la violenza sulle donne, e termineranno il 10 dicembre, Giornata dei diritti umani.

Troppo spesso, però, le storie di queste donne non hanno un “lieto fine” e in un video della Commissione Europea sono gli oggetti stessi (le tazze o le chiavi di casa, per esempio) a raccontare gli episodi di violenza a cui hanno assistito. Come si sottolinea nello spot, la loro “testimonianza”, però, non può essere ascoltata da nessuno. Ecco, allora, una delle tante campagne contro la violenza sulle donne che invitano chiunque a denunciare.

Perché «è proprio quando [le vittime] non parlano che dovresti ascoltarle»: è necessario prestare attenzione a tutti i possibili segnali per cercare di aiutare le donne, proprio come ricorda lo spot “Women run the show“, realizzato da Samsung e Telefono Rosa e interpretato da dieci donne vittime di violenza domestica.

“I bambini diventano ciò che vedono”: le conseguenze della violenza domestica
Le vittime di violenza domestica spesso non sono solo le donne ma anche, in maniera più o meno diretta, i figli, come fatto notare da diverse campagne che sottolineano le nefaste conseguenze di questi episodi per i bambini che crescono in ambienti simili.
Lo spot realizzato da Joe Torre Safe At Home Foundation, dal titolo “Loro diventano ciò che vedono“, illustra in maniera metaforica ma anche molto convincente come i bambini tendono a riprodurre i comportamenti osservati in casa, alimentando così “cicli di violenza” difficili da interrompere.

In una pubblicità cartacea ideata dalla stessa fondazione è possibile vedere la raffigurazione del cervello di un bambino che ha assistito alle aggressioni subite dalla madre da parte del padre: questi bambini «hanno una maggiore probabilità di diventare delle vittime o degli aggressori, da adulti».
Anche quando i genitori sembrano affettuosi o preoccupati «non c’è niente di positivo in un padre che maltratta una donna», come ricorda lo spot creato dal Michigan Center for Fertility & Women’s Health. Nel video un padre iperprotettivo porta il figlio a fare una passeggiata, ma una volta arrivati a casa il bambino inciampa in un giocatolo lasciato a terra. Immediatamente il padre si rivolge alla madre, incolpandola in maniera severa per il disordine a casa, mentre il bambino assiste alle aggressioni verbali.
“stai zitta, cretina”: no, La violenza non è solo fisica
La violenza, difatti, non è solo fisica: come ricorda una pubblicità di Intervita «la violenza psicologica che subiscono molte donne è ancora più diffusa di quella fisica. In moltissimi paesi, sopratutto nel Sud del mondo, le donne sono discriminate, insidiate, manipolate».
In realtà questa è la realtà di molte donne in Europa e in Italia, dove i pregiudizi e la discriminazione di genere persistono ancora, come ha dimostrato la campagna di Pubblicità Progresso “Punto su di te“, lanciata nel 2014. Nello specifico, sono stati posizionati dei cartelloni stradali, presso alcune fermate di autobus, con la foto di diverse donne, con un balloon contenente diverse frasi incomplete come “quando torno a casa vorrei…” o “quando cammino per strada mi piacerebbe…“. Le pensiline delle fermate in questione sono state monitorate e registrate per qualche giorno e in poco tempo i balloon sono stati riempiti con espressioni volgari e offensive (perlopiù a sfondo sessuale) da diversi passanti.

Campagna lanciata da Pubblicità Progresso. Fonte: Expresso
QUando brand e celebrità promuovono il cambiamento sociale
Tutti possono essere agenti di cambiamento: ognuno di noi può essere più attento a eventuali situazioni di violenza che accadono intorno, per strada o tra le proprie cerchie di conoscenze. Tuttavia, brand , celebrità e influencer in generale possono avere un ruolo chiave nel promuovere il dibattito e aumentare la consapevolezza su questo tema.
Per esempio, nel video “1 is 2 many” (ossia, “una [sola donna, vittima di violenza] è troppo“), personaggi come Barack Obama, David Beckham e Joe Torre si sono uniti a questa causa. Nello stesso spot, l’ex-vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, dichiara che «il più grande abuso di potere avviene quando un uomo alza le mani per picchiare una donna».

Alcune celebrità che sono state vittime (direttamente o indirettamente) di violenza domestica hanno deciso di fornire la loro testimonianza, allo scopo di motivare altre donne, in situazioni simili, a parlare. Lo ha fatto, per esempio, la cantante Christina Aguilera che, in un post sui social, ha menzionato l’organizzazione che offre supporto alle vittime di violenza domestica, Shade Tree Vegas, a cui aveva fatto una donazione e ha raccontato la storia di sopravvivenza sua, della madre a e della sorella.
Il brand di intimo Yamamay ha lanciato invece la campagna “Ferma il bastardo“, organizzando, oltre alle magliette a tema, un flashmob a Milano per «sensibilizzare le persone sul tema della violenza e degli abusi sulle donne».

Ikea invece ha deciso di lasciare negli specchi dei bagni per donne dei messaggi o delle espressioni che rimandano a casi di violenza domestica. L’idea era richiamare l’attenzione di eventuali vittime, in un posto in cui possono sentirsi al sicuro (per un momento lontane dall’aggressore) e utilizzare il numero della Onlus Telefono Donna, che mette a disposizione una linea di aiuto alle vittime, attiva 24 ore.

Iniziativa promossa da Ikea in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. Fonte: Panorama
Al di là del lavoro di sensibilizzazione, ci sono anche delle aziende che offrono un aiuto economico a delle organizzazioni che supportano le vittime. È il caso di Coop Alleanza 3.0 che, anche quest’anno, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, promuoverà un’iniziativa a sostegno dei centri anti-violenza che offrono aiuto e informazioni alle vittime. Così, durante il mese di novembre, l’1% degli acquisti di prodotti del brand (in particolare quelli della linea Solidal) verrà consegnato ai centri e associazioni che aiutano e sostengono le vittime.

Fonte: Coop Allenza 3.0
un tema sensibile: come comunicarlo?
Anche se l’intento resta sempre aumentare la consapevolezza sul tema, i modi per comunicarlo possono variare molto. Dalle pubblicità sociali più metaforiche (come quella di Benetton che riprende l’espressione “le donne non si toccano neanche con un fiore“) a quelle più realistiche e sconvolgenti (come l’annuncio realizzato dal National Centre for Domestic Violence in occasione dei Mondiali di Calcio).
Come stabilire, allora, se esiste un modo “giusto” o “sbagliato” di comunicare un tema così delicato?

Il rimando alla bandiera dell’Inghilterra, realizzato rappresentando il “sangue” che gocciola dal volto di una donna, per esempio, può sembrare scioccante. Se però si tiene conto dei dati che hanno portato alla realizzazione della campagna, il “tono di voce” usato acquista facilmente senso: come descritto nell’annuncio, «i casi di violenza domestica aumentano del 26% quando gioca l’Inghilterra e del 38% se la Nazionale perde». Una cruda realtà che, in questo caso, l’organizzazione in questione ha deciso di raccontare in maniera molto realistica.

Campagna “If England get beaten, so will she”. Fonte: The Drum
Alcune campagne contro la violenza sulle donne hanno ricevuto invece delle critiche per il modo in cui si avvicinavano all’argomento. Un esempio è lo spot della RAI del 2016, in cui, secondo alcuni utenti che in Rete avevano commentato la campagna, la violenza sulle donne veniva presentata come un «destino ineluttabile». Alla domanda “Cosa farai da grande?” una bambina alla fine dello spot rispondeva: «Finirò in ospedale perché mio marito mi picchia». Una visione del problema secondo alcuni “rassegnata” e che non deve essere assolutamente alimentata.
…orribile… la violenza domestica come ineluttabile… e la sua ineluttabilita' lo rende normale… ritirate lo spot e scusatevi
— nevermore (@nevermoreita) November 24, 2016
Ben più polemico è stato poi contenuto condiviso dall’agenzia funebre Taffo che in occasione della giornata contro la violenza sulle donne del 2019 ha pubblicato un annuncio che faceva intendere che le donne che non denunciano la violenza subita, finiscono per essere uccise.
Moltissimi sono stati gli utenti che si sono schierati contro l’azienda ricordando che, purtroppo, molte delle donne che denunciano spesso finiscono anche loro per non essere difese, arrivando ad essere uccise comunque. Taffo ha però risposto alle critiche dichiarando l’intenzione del contenuto, affermando ad esempio che se «serve a dare la forza o a far capire anche solamente ad una donna, la situazione in cui versa, noi abbiamo già vinto».
È lapalissiano che la colpa è di uomini violenti e infami, non serve scriverlo.
Non importa se arriva qualche critica, se questo post serve a dare la forza o a far capire anche solamente ad una donna, la situazione in cui versa, noi abbiamo già vinto.— TAFFO (@taffoofficial) November 25, 2019
Le successive risposte ai tweet e ai commenti sulla pagina Facebook da parte dell’agenzia sembrano non essere state sufficienti però, almeno per una buona parte degli utenti, e il giorno dopo l’azienda ha proposto una nuova pubblicazione, con un contenuto realizzato «a grande richiesta di pubblico».
Si tratta in effetti di un tema molto sensibile e non è facile comunicarlo. Infatti, cercando di richiamare l’attenzione su un problema così serio (usando delle immagini, delle parole o dei concetti particolarmente scioccanti) a volte si rischia di urtare la sensibilità delle persone o di offendere le stesse vittime. In ogni caso, se parlarne (attraverso campagne di sensibilizzazione) può sembrare poco, è proprio il silenzio (quello delle vittime, ma non solo) a non permettere che situazioni di violenza di genere, spesso fatali per le donne coinvolte, si interrompano.
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