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UNESCO a fianco delle giornaliste che subiscono violenza: sono più di una su due, ma il danno è per tutti

«La violenza online contro le giornaliste donne fa male a tutti» è il payoff della campagna "#JournalistsToo", voluta da UNESCO a sostegno di tutte quelle professioniste dei media che a causa del loro lavoro sono vittime di attacchi sistemici e personali.

#JournalistsToo è la campagna con cui, in occasione della Giornata internazionale della donna 2021, UNESCO intende da un lato celebrare le professioniste del mondo dei media e il loro apporto a un’informazione libera e paritaria e dall’altro soprattutto accendere i riflettori sulle giornaliste donne vittime di violenza.

Giornaliste donne vittime di violenza online: cosa dicono i dati

Quando si tratta di donne che lavorano nei media infatti il gender pay gap – cioè la differenza nella retribuzione rispetto ai colleghi uomini che può essere specchio di una maggiore difficoltà a fare carriera o di fenomeni di glass ceiling o mobbing , ecc. – non è il solo aspetto controverso da considerare.

Più dei propri colleghi uomini le giornaliste donne sono soprattutto vittime di attacchi personali, offese, linguaggio dell’odio, minacce.

La Rete, gli ambienti digitali e alcune delle pratiche tipiche al loro interno sembrano aver esasperato, in questo senso, un fenomeno già vecchio: c’erano, cioè, giornaliste donne vittime di violenza già prima di Internet, ma – se ogni anno la mappa dell’intolleranza in Rete tratteggia i contorni di un ambiente sempre più misogino – le professioniste dell’informazione sembrano tra le categorie di internauti più esposte all’online harassment.

Lo confermano i dati di “Online violence against women journalists: a global snapshot on incidence and impacts”, un’indagine condotta dalla stessa UNESCO in collaborazione con l’International Center for Journalist. Il 73% delle giornaliste intervistate sarebbe stato vittima, almeno una volta, di violenza online. Le forme sono delle più disparate: si va dal trolling alle offese personali, passando per il doxing e per la pubblicazione di informazioni personali e riservate e, qualche volta, persino di materiale esplicito ottenuto senza consenso o tramite deepfake. Le minacce sono un filo rosso nelle storie delle giornaliste donne vittime di violenza: in un caso su quattro di tratta di minacce di violenza fisica che, in poco meno di un caso su cinque, si fanno addirittura minacce di violenza sessuale, mentre il 13% del campione UNESCO-ICFJ ha ammesso di aver ricevuto minacce che riguardavano familiari, conoscenti, persone vicine.

la campagna di sensibilizzazione UNESCO contro l’online harassement nei confronti delle professioniste dei media

Così accade anche alla protagonista dello spot della campagna di sensibilizzazione UNESCO #JournalistsToo.

A causa di alcune indagini su un caso di corruzione all’interno della pubblica amministrazione che porta avanti per la redazione per cui lavora, è bombardata da insulti e offese sui social e destinataria di una vera e propria campagna di shitstorm che culmina in minacce fatte giungere da utenti anonimi e numeri sconosciuti tramite messaggi privati sullo smartphone personale, minacce tra cui quella di pubblicare del materiale pornografico che la vedrebbe protagonista. La giornalista si mostra con colleghi, superiori, amici imperterrita e desiderosa di andare a fondo nel proprio lavoro, almeno fino a quando le minacce non arrivano a coinvolgere alcuni suoi affetti più cari.

Online violence against women journalists harms everyone. Let’s end it!
Online violence against women journalists harms everyone. Let’s end it!

Nella breve sequenza che mostra la sua indecisione, alla fine, nel pubblicare o meno il proprio lavoro c’è così il vero messaggio di questa campagna UNESCO a sostegno delle giornaliste donne vittime di violenza: quando online harassment e altre forme d’abuso hanno per oggetto le professioniste dell’informazione, in gioco non c’è mai solo «il diritto delle donne di parlare, ma anche il diritto della società di sapere».

Abusi e violenza online contro le giornaliste donne: che effetti hanno?

Per tornare alla ricerca già citata, dopo essere state vittime di violenza, ci sono state professioniste dell’informazione che hanno preso accortezze in più per la propria sicurezza fisica (così ha fatto il 13% del campione UNESCO-ICFJ) o che, addirittura, hanno lasciato il lavoro perché preoccupate per la propria incolumità e per la propria vita (si è trattato solo di una minoranza del 4% dei casi). In più di un caso su quattro le giornaliste donne vittime di violenza hanno lamentato disagi psicologici a seguito delle vicende in cui erano state coinvolte e, nel 12% dei casi, hanno chiesto aiuto a medici e psicologi per superarli.

Più frequentemente – è così per il 30% delle partecipanti all’indagine – le professioniste che hanno subito attacchi in Rete, hate speech , trolling sembrano essersi “autocensuratesui social, a volte cancellando completamente i propri account e più spesso evitando di incentivare l’interazione con follower e contatti.

In tutti i casi essere state vittime di attacchi legati al proprio lavoro avrebbe effetti inevitabili – e negativi – sulla produttività delle professioniste dell’informazione che, oltre ad abbandonare il lavoro come già si accennava o più drasticamente dire addio al mondo del giornalismo (come avrebbe fatto il 2% delle partecipanti alla survey di UNESCO), più in generale tendono inconsciamente a esporsi di meno dopo eventi di questo tipo. Forse anche perché non sentono di essere adeguatamente tutelate dai propri datori di lavori.

Perché anche l’online harassment contro le giornaliste è soprattutto un problema culturale

Secondo UNESCO-ICFJ, solo un quinto delle giornaliste donne vittime di violenza ne ha parlato con i propri capi, spesso per ricevere indietro una non risposta (nel 10% dei casi), se non addirittura consigli sull’imparare a diventare più dura e farsi valere (9%), o per vedere messo in dubbio che abbia potuto in qualche modo provocare l’attacco (2%). Dati come gli ultimi sembrano confermare che, come sempre del resto quando si tratta di questioni di genere, dietro a violenze e abusi sistemici di cui sono vittime le professioniste dell’informazione ci sia soprattutto un problema culturale.

Per questo tutti possono partecipare, ed è anzi quello che l’UNESCO si auspica che succeda, alla campagna #JournalistsToo, anche semplicemente per il tempo e con il poco impegno che richiedono condividere in un tweet, postare con una Storia le grafiche della campagna.

giornaliste donne vittime di violenza campagna unesco

Chiunque può partecipare alla campagna UNESCO in difesa delle giornaliste donne vittime di violenza proprio come a una campagna hashtag e cioè semplicemente condividendo dai propri account social le grafiche messe a disposizione. Fonte: UNESCO

Perché, se è vero che «le violenze online contro le giornaliste donne danneggiano tutti» – per citare lo stesso payoff di #JournalistsToo – è vero anche che dipende da tutti fermarle.

Certo, ci sono responsabilità più specifiche: come quelle dei datori di lavoro, non sempre così sensibili alla questione, come già si accennava. In coda allo studio, però, UNESCO e ICFJ individuano altri soggetti da cui è lecito aspettarsi un atteggiamento più proattivo nell’evitare che le professioniste dei media siano oggetto costante di violenze e abusi. Tra questi i politici occupano una posizione privilegiata, anche in diretta conseguenza del fatto che, dopo troll e utenti anonimi, sembrerebbero proprio loro tra i principali autori di online harassment contro le giornaliste donne (nel 37% dei casi).

Anche big dei social network e piattaforme digitali sono tra i soggetti direttamente chiamati in causa. Attacchi e abusi ai danni delle giornaliste donne fanno spesso parte, infatti, di campagne di disinformazione o di manipolazione dell’informazione di più ampio respiro e orchestrate ad arte (Facebook sembrerebbe, in questo senso, tra le piattaforme più insicure per le giornaliste donne, molto più di Twitter per esempio): per fermarle solo policy, linee guida, standard di comunità adeguati e un certo interventismo da parte delle piattaforme, come quello dimostrato in un passato in altri contesti, possono aiutare.

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