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Forse l'hate speech in Italia è un fenomeno sopravvalutato (ma lo stesso non vale per i suoi rischi)

Forse l'hate speech in Italia è un fenomeno sopravvalutato (ma lo stesso non vale per i suoi rischi)

Le dimensioni del fenomeno hate speech in Italia? Una nuova ricerca suggerisce che potrebbero essere sopravvalutate, ma lo stesso non vale per i rischi.

L’ hate speech in Italia è davvero pervasivo negli ambienti digitali? Stando almeno ai dati di una ricerca di DataMediaHub e KPI6 la risposta sembrerebbe essere no: insulti, offese e linguaggio dell’odio sui social sarebbero infatti, almeno quantitativamente, solo un fenomeno limitato e circoscritto.

Il fenomeno dell’hate speech in Italia è davvero sopravvalutato?

Tutto parte da un’analisi delle conversazioni avvenute su Twitter tra il 25 aprile e il 17 giugno 2020: solo 679mila di esse, cioè circa il 3.7% dei tweet pubblicati o condivisi in quel periodo sulla piattaforma, contenevano infatti insulti generici o commenti razzisti, sessisti, omofobi, antisemiti. Per di più, autori di questi tweet al vetriolo erano appena 148mila utenti unici: se si tiene conto che, secondo le ultime stime, gli italiani iscritti a Twitter sono attualmente circa dieci milioni e mezzo, si tratta di appena un 1.4% di utenti che usa la piattaforma dei cinguettii per diffondere odio e linguaggio ostile. Ancora il “Rapporto sull’hate speech in Italia su Twitter” (questo il titolo della ricerca DataMediaHub/KPI6 sull’incidenza del linguaggio dell’odio negli ambienti digitali italiani) sottolinea come il picco di tweet contenenti offese e insulti sia avvenuto in concomitanza con una ricorrenza ancora dal forte connotato politico come il 25 aprile. Anche in quell’occasione, però, tweet carichi d’odio e dai toni accesi non hanno generato grosso coinvolgimento: il tasso di engagement è di poco superiore allo 0.2% e, nei fatti, ciò significa che la maggior parte dei messaggi violenti rimane inosservato (o quasi) nel continuo flusso di contenuti postati. Da insight come questi sembrerebbe arrivare, insomma, la conclusione che spesso la portata dell’hate speech è stata sovrastimata e che lo stesso sia, almeno in Italia e su una piattaforma che negli anni è andata verticalizzandosi e riposizionandosi come un social meno generalista di un tempo, un fenomeno alquanto circoscritto e occasionale. Altri studi su flaming, linguaggio dell’odio e filter bubble avevano dimostrato già in passato, del resto, che discussioni infuocate, insulti, abusi e toni irrispettosi sui social erano più ricorrenti in occasioni particolari della vita associata come elezioni o chiamate alle urne per esempio.

Il linguaggio dell’odio sui social italiani: uno sguardo panoramico

Più interessanti si fanno, comunque, le evidenze quando l’analisi delle conversazioni degli italiani e degli odiatori seriali su Twitter si sposta su un piano qualitativo.

Quando si parla di hate speech in Italia si parla perlopiù di insulti generici (62.2%) o legati all’ideologia politica (25.4%), mentre commenti omofobi, razzisti, antisemiti o che inneggiano alle rivalità territoriali sembrano solo marginali.

hate speech in italia che tipo di insulti

Che tipo di insulti e commenti offensivi sono più comuni su Twitter? Fonte: DataMediaHub

Ancora, dai volumi contenuti sarebbero anche commenti e offese sessiste, nonostante la loro ricorrenza su Twitter in Italia sembra essere costantemente in crescita: è un fenomeno che desta sempre più attenzione soprattutto all’estero (gli studiosi americani, per esempio, lo hanno chiamato “manosphere”) e che potrebbe essere specchio riflesso della sempre maggiore presenza di figure femminili in primo piano nel mondo della politica, del business, ecc.; non a caso in Italia vittime di commenti sessisti sono perlopiù politiche come Giorgia Meloni o Teresa Bellanova.

I tweet che contengono linguaggio dell’odio sono anche tweet in cui prevalgono sentimenti di disapprovazione (in oltre il 44% dei casi) e rabbia (30%). Si capiscono meglio sentiment come questi se si considera che oltre un tweet su quattro contenente offese e insulti ha a tema governo e mondo della politica. Seconda tra le aree tematiche che convogliano più hate speech in Italia è, forse un po’ a sorpresa, l’intrattenimento, con personaggi famosi e dello spettacolo a cui su Twitter non sono risparmiati commenti violenti anche riguardo alla vita personale. Quasi un tweet offensivo su cinque riguarda news e notizie di attualità e anche per quanto riguarda il mondo dello sport non di rado piovono su Twitter offese e insulti, soprattutto tra tifoserie di squadre di calcio rivali.

Una semplice analisi linguistica rispetto ai termini più ricorrenti tra le offese su Twitter, tra l’altro, sembra confermare l’ipotesi che l’hate speech in Italia sia un fenomeno meno allarmante di quanto si sia portati a credere: se si guarda alla tag cloud delle offese più utilizzate dagli haters italiani, infatti, si nota la prevalenza di termini generici e che, per quanto volgari e offensivi, hanno subito una sorta di normalizzazione e sono, cioè, comunemente utilizzati anche nel linguaggio parlato, in parte sgravati dalla propria connotazione negativa. Gli ambienti digitali e i principali fenomeni che prendono piede al loro interno, del resto, non possono che essere uno specchio di come la società sta cambiando e, nel caso specifico dell’hate speech, sta polarizzandosi per esempio.

Un ritratto di haters e vittime di linguaggio dell’odio in Italia

Chi sono, comunque, i principali autori di hate speech in Italia? Come già si accennava si tratta di una piccola minoranza di utenti e, in molti casi, sempre gli stessi. In oltre due casi su tre sono uomini tra i 25 e i 44 anni: hanno profili da cui non è sempre subito chiara la propria identità o si nascondono dietro nickname e pseudonimi, del resto l’anonimato fin dagli albori del web 2.0 e della blogosfera avrebbe incentivato comportamenti scorretti e non di rado abusanti. In quasi il 5% delle bio degli hater italiani compare la parola “Italia” e tra gli altri termini ricorrenti ci sarebbero “bandiera”, “fiero”, “tradizioni”: tutti indizi che fanno pensare che a propagare odio in Italia siano soprattutto conservatori e nazionalisti.

Chi sono, di contro, le principali vittime di hate speech in Italia? Le aree tematiche già individuate e all’interno delle quali sono più comuni insulti, linguaggio violento, commenti offensivi aiutano da sole a farsi un’idea di chi siano le vittime preferite degli odiatori sui social. Ci sembrano essere personaggi che, più di altri, catalizzano offese e insulti. Nel mondo del giornalismo, per esempio, Andrea Scanzi e Vittorio Feltri sono in proporzione vittime di più tweet al vetriolo (rispettivamente lo 0.5% e lo 0.4% di quelli contenenti offese e insulti) rispetto ai colleghi, quasi sempre appellati con insulti generici o di natura politica. Meglio non va alle testate giornalistiche, altrettanto spesso al centro di attacchi violenti: la Repubblica e Corriere della Sera guidano questa classifica (rispettivamente con lo 0.9% e lo 0.5% dei tweet che contengono messaggi d’odio a essi riferiti).

Toni accesi e commenti offensivi: quando le vittime sono i politici

Prevedibilmente, però, le principali vittime di hate speech in Italia sono i politici: guidano la classifica di DataMediaHub-KPI6 in particolare Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte. Nei confronti del leader leghista sono rivolti sia insulti generici e sia insulti dai chiari connotati politici ed espressioni derivate dallo stesso vocabolario del politico (su tutte, «Vesuvio lavali col fuoco»): Salvini è del resto il leader che più sembra aver fatto suo il linguaggio violento e offensivo di cui pure è vittima e aver costruito (anche) intorno a questo la propria strategia di comunicazione. Alla leader di Fratelli d’Italia sono rivolte invece, prevedibilmente, accuse che hanno a che vedere per lo più con proposte e schieramento politico del proprio partito e, come già si accennava, Giorgia Meloni è spesso vittima di commenti sessisti. Si ritorna agli insulti generici nel caso di Conte e del suo governo, tanto più se se ne considera l’operato durante l’emergenza coronavirus. Non c’è comunque politico italiano che non sia o non sia stato almeno una volta bersaglio di attacchi d’odio: da Matteo Renzi a Luigi Di Maio, passando per Carlo Calenda e Claudio Borghi, indipendentemente da ruolo e area politica di riferimento, molte sono state le vittime di hate speech in Italia anche tra i decisori.

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