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Digitalizzazione nel terzo settore: lo stato dell'arte tra criticità e prospettive

Digitalizzazione nel terzo settore: i dati riferiti al 2018

Uno studio segna lo stato dell'arte quanto a digitalizzazione nel terzo settore: i principali insight tra ritardi e prospettive future.

Coinvolgere e comunicare meglio con i propri donatori; cercare sostenitori anche in fette diverse di pubblico, tra i Millennial per esempio; ma anche implementare strumenti nuovi per la raccolta fondi e, più in generale, migliorare l’organizzazione e i risultati di associazioni ed enti no profit: la digitalizzazione nel terzo settore potrebbe avere, e sta già avendo, numerosi effetti positivi. Qual è, però, lo stato dell’arte in Italia? A che punto sono le organizzazioni nostrane nell’adozione di tecnologie e asset digitali e, ancor meglio, nello sviluppo di una vera e propria cultura digitale? A rispondere a queste domande ci ha provato il primo report di Italia No Profit che indaga il rapporto tra gli enti del settore e appunto il digitale, nella sua accezione più ampia. Realizzato su un campione di 450 tra operatori interni e consulenti esterni degli enti, lo studio sembra confermare una tipicità tutta italiana: come è stato spesso osservato anche per quanto riguarda la digitalizzazione nella PA e nonostante alcuni casi eccellenti, l’approccio al digitale è ancora troppo affidato al caso e mancante di una strategia solida e le ragioni sono da ricercare per lo più in uno scoglio culturale, da parte dei board soprattutto e di chi occupa posizioni apicali.

Perché la digitalizzazione nel terzo settore è in ritardo in Italia

Più nello specifico, guardando allo stato dell’arte della digitalizzazione nel terzo settore, ci si accorge subito che, nonostante quasi un quarto degli enti e delle organizzazioni no profit dica di aver «incorporato il digitale in tutto quello che facciamo», per una buona percentuale di questi (almeno il 34%) la virata digitale manca di approccio strategico. Lo scenario resta per lo più in variato indipendentemente dal fatto che si guardi a realtà piccole o a organizzazioni più grandi, con team e budget dedicati. Decisamente più preoccupante è comunque che ci siano, seppure in percentuale minima (del 6%), enti che hanno ancora difficoltà di accesso a strumenti digitali di base come un sito web o degli account social.

Consapevole delle proprie mancanze – il 58% del campione ammette, infatti, di vivere la digital transformation «con un certo livello di incoscienza perché non abbiamo una chiara strategia al riguardo» – chi lavora nel no profit attribuisce le ragioni del proprio ritardo per lo più alla mancanza di fondi (così sostiene il 40% del campione) e di competenze (37%) o alla necessità di affrontare prima altre sfide percepite come prioritarie (29%).

Digitale e no profit: alcuni insight

Il crinale si muove, insomma, tra come organizzazioni e enti del terzo settore già sfruttano il digitale e come invece potrebbero approfittare delle sue potenzialità per ottenere risultati migliori. Secondo Italia No Profit, nel nostro Paese si è già giunti a una buona comprensione di cos’è il digitale e come poterlo applicare. I soggetti che operano nel terzo settore, poi, già da qualche anno hanno sviluppato strategie di presenza sui social efficaci e sembrano padroneggiare abbastanza bene l’email marketing e, in parte a sorpresa, strumenti seo e Ads. Farsi trovare in Rete e da un pubblico che sia il più vicino possibile al proprio target di riferimento è, del resto, indispensabile anche quando si perseguono obiettivi non lucrativi.

C’è ancora molto da fare, invece, per l’adozione nel terzo settore di soluzioni altamente tecnologiche come l’intelligenza artificiale e il machine learning o di strategie per il business development e la digital governance. Anche le possibilità di fundraising legate al digitale non sono ancora completamente sfruttate da chi in Italia opera nel terzo settore, nonostante proprio rintracciare e raccogliere fondi siano tra quelle azioni che gli operatori del settore si dicono consapevoli sarebbero svolte più facilmente grazie a strumenti e strategie digitali. Appositamente interrogato, chi lavora nel no profit sostiene poi che una maggiore e più coerente adozione del digitale potrebbe migliorare le capacità dei singoli soggetti di fare network (così sostiene il 39% degli intervistati) e, più in generale, giovare agli aspetti gestionali e persino ai risultati finali (30%).

digitalizzazione nel terzo settore risultati

Fonte: Italia No Profit

Le principali sfide della digitalizzazione nel terzo settore

Non solo a causa delle ragioni di cui si è già detto: se la trasformazione digitale nel no profit appare ancora incompleta sarebbe anche – come si accennava – per via della mancanza di una vera e propria cultura digitale nei board di associazioni, organizzazioni ed enti no profit. Una percentuale consistente del campione di Italia No Profit sottolinea, infatti, come ci siano ancora scarse competenze digitali nelle fasce dirigenziali e manageriali (38%) o, anche se già esistono, queste andrebbero di certo ampliate (31%). C’è di più, però: gli operatori del terzo settore sembrano essere consapevoli che la scarsa o del tutto inesistente sensibilità dei vertici verso i temi del digitale potrebbe avere effetti negativi sulle attività e sugli obiettivi di medio e lungo corso di ogni associazione o ente. Si potrebbero, per esempio, perdere opportunità per il fundraising (di questo si dice preoccupato il 53% del campione) o l’occasione di confrontarsi con metodologie di lavoro nuove e con una mentalità orientata al cambiamento (36%) o, ancora, ci si potrebbe ritrovare a utilizzare il digitale in maniera semplicemente tattica e non strategica (34%). Per scongiurare pericoli come questi servirebbe che il board sviluppasse una «visione più chiara» di ciò che si può raggiungere attraverso e grazie al digitale (di questo si dice convinto, ancora, il 40% del campione di Italia No Profit) e, più in generale, una maggiore comprensione dei trend digitali.

digitalizzazione nel terzo settore prospettive

Fonte: Italia No Profit

Tanto più che un approccio consapevole al digitale potrebbe rivelarsi anche una leva per la retention di operatori e volontari all’interno del terzo settore. Il 65% dei soggetti che già operano in questo campo si dice disposto, infatti, a collaborare con il management se questo significa dare una spinta in più all’adozione del digitale nel proprio ente/organizzazione; il 16% non riesce a immaginare un futuro di lungo periodo in una realtà che non accetti le sfide del digitale; c’è, infine, una percentuale seppure minoritaria (il 5%) che considererebbe di abbandonare il terzo settore pur di poter lavorare in un ambiente più digital friendly.

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