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Sezione commenti di un sito: ecco perché è fondamentale essere presenti

Sezione commenti di un sito: ecco perché è fondamentale essere presenti

Perché chi fa informazione online dovrebbe curare anche la sezione commenti? E cosa ne guadagnerebbe? Uno studio prova a rispondere.

La sezione commenti, per un sito che intende occuparsi d’informazione, rappresenta spesso una questione spinosa. Sarebbe giusto lasciare a chiunque la possibilità di commentare anche anonimamente? E prevedere una figura simile a quella del vecchio moderatore di forum che si assicuri che toni e termini della discussione siano in linea con i valori aziendali, tanto più che a livello legale anche chi gestisce la pagina potrebbe rispondere di diffamazione? O, ancora, sarebbe sensato chiedere ai propri giornalisti di essere presenti personalmente e di rispondere e monitorare i commenti dei lettori? Queste sono solo alcune delle domande a cui chi fa lavoro di desk in redazione è costretto oggi a trovare risposta. Intanto hanno provato a farlo dall’Engaging News Project dell’Università del Texas in partnership con The Coral Project, con uno studio appositamente dedicato alla sezione commenti di alcuni dei principali media statunitensi.

Alcuni insight preliminari sui commenti alle notizie

I risultati spiegano, innanzitutto, cosa spinge gli utenti a commentare e cioè il desiderio di esprimere la propria opinione riguardo alla notizia o di condividere le emozioni che ha suscitato, per prima cosa. La semplicità e l’usabilità di queste sezioni, nella maggior parte dei casi accessibili tramite Facebook login e senza la necessità di passaggi intermedi che potrebbero dissuadere l’utente, fanno il resto. Anche se c’è un terzo dei lettori che sarebbe più propenso a commentare gli articoli se lo potesse fare anonimamente. È interessante però – fanno notare dall’Engaging News Project – che questa percentuale sia più alta tra i lettori che già commentano anche se sporadicamente le news, che non tra chi non lo fa anche se legge i commenti degli altri. Più in generale, comunque, appena la metà dei lettori lascia un commento almeno una volta alla settimana, il resto lo fa molto più raramente. Facili da immaginare sono anche i temi che suscitano maggiori interazioni: politica interna e questioni internazionali sui siti più grandi, cronaca locale sui siti, invece, che fanno giornalismo (iper)locale.

Giornalisti più presenti nella sezione commenti: lo chiedono i lettori

Premesse come queste a parte, lo studio in questione sembra interessante soprattutto per un dato: la stragrande maggioranza dei lettori e di chi commenta le notizie online vorrebbe redattori e giornalisti più “presenti” nella sezione commenti. Più nello specifico, oltre l’80% del campione gradirebbe che i giornalisti rispondessero direttamente alle domande che gli vengono poste nella sezione commenti. Dato che fa coppia con un 58% del campione che, più in generale, apprezzerebbe la partecipazione di chi ha scritto l’articolo alle discussioni che ne seguono tra lettori e nell’apposita sezione dedicata ai feedback. Ancora una volta, però, fanno notare i ricercatori, le percentuali sono molto diverse: più alte, anche in questo caso, tra gli utenti che effettivamente usano la sezione commenti e quelli che, invece, non interagiscono in alcun modo con le notizie. Senza contare che ci sarebbe, secondo lo studio texano, almeno un terzo dei lettori per cui i giornalisti non dovrebbero limitarsi a “esserci” anche tra i commenti, ma dovrebbero indirizzare e dirigere la conversazione che si genera in questa sezione. Come? Segnalando i commenti migliori, quelli che hanno un valore aggiunto rispetto al tema di riferimento o che possono essere da stimolo per allargare il terreno di discussione, per esempio.

giornalisti nei commenti

Percentuale di risposte positive alla domanda “Vuoi che i giornalisti rispondano a eventuali domande poste loro nei commenti?”. Fonte: Engaging News Project

giornalisti dirigere la conversazione

Percentuale di risposte positive alla domanda “Credi che i giornalisti dovrebbero indirizzare la conversazione all’interno dei commenti?”. Fonte: Engaging News Project

Esserci nella sezione commenti: come aiuta alla credibilità e alla “vivibilità” dell’ambiente

C’è chi, oltre ai giornalisti, preferirebbe esperti della materia trattata che intervengano da super partes a rispondere ai commenti, alle richieste di approfondimento e alle curiosità dei lettori (richiesta del 73% del campione).

esperti nei commenti

Percentuale di risposte affermative alla domanda “Credi che esperti della materia dovrebbero intervenire nei commenti?”. Fonte: Engaging News Project

Più in generale, comunque la presenza di redattori, giornalisti e altre figure di riferimento della testata nella sezione commenti sarebbe legata alla fiducia e all’affidabilità attribuita dai lettori alla testata. Più i lettori si fidano della news organization in questione, insomma, sembra suggerire lo studio, e più pretendono referenti presenti e in grado di gestire al meglio commenti e feedback da parte dei lettori. Tanto più che gestire in maniera diretta i commenti dovrebbe garantire un ambiente più sano e più civile, dove i toni allarmistici e offensivi siano evitati, insieme al rischio hate speech e flaming. I risultati di Engaging News Project, comunque, fanno ben sperare in questo senso: in media il 44% dei lettori considera «abbastanza civili» o «molto civili» i commenti che seguono ogni pezzo.

giornalisti nei commenti e fiduci

Il rapporto tra giornalisti “presenti” nella sezione commenti e fiducia attribuita alla testata. Fonte: Engaging News Project

Cosa ne guadagna un giornalista che legge e risponde ai commenti?

Numeri a parte, sia il singolo giornalista sia l’intera testata avrebbero tanto da guadagnare dall’essere presenti nella sezione commenti e dall’intervenire nelle discussioni che si generano al suo interno. Da questa attività in particolare il giornalista potrebbe

  • avere maggiori strumenti per la verifica delle fonti: il rischio bufale, sì sa, è sempre dietro l’angolo e non importa quanto grande e importante sia una testata. Spesso sono la velocità che governa le news room, la necessità di coprire live un evento che impediscono a chi si occupa d’informazione di fare del buon fact-checking (non a caso c’è chi consiglia, come rimedio contro le fake news , di riscoprire i tempi lenti dello slow journalism ). Approfittando della expertise degli utenti è più facile, così, verificare certi tipi di notizie, come quelle che vengono da contesti difficili da interpretare o per cui non si ha copertura diretta. Un esempio di cronaca e attualità è significativo in questo senso: durante la visita di Matteo Salvini a Napoli nel marzo 2017 quasi tutte le testate italiane hanno rilanciato un’agenzia che parlava di molotov e macchine bruciate da parte dei contestatori black block. In realtà poi i commenti degli utenti, probabilmente presenti sul posto o che avevano avuto accesso a fonti di prima mano, hanno rettificato, sostenendo che si trattava di solo fumogeni e cassonetti;
  • muoversi verso un’idea di network journalism che è, in fondo, più vecchia di quel che si possa pensare. Il giornalista da solo si muove ormai a stento nell’ecosistema sempre più complesso dell’informazione digitale, tanto più che i tagli dell’organico e il multitasking che gli è imposto lo costringono a ottimizzare le risorse a disposizione. Sfruttare lo sciame intelligente della Rete può essere così la soluzione migliore; infatti anche quello del citizen journalism è un mito di difficile realizzabilità: nessun cittadino-reporter potrà sostituire del tutto chi si occupa per professione d’informazione, non quanto a qualità del servizio e soft skill almeno;
  • fare personal branding : in tempi di overload informativo, lo si è detto spesso, catturare l’attenzione del lettore e fidelizzarlo può essere oltremodo difficile. Farlo sentire valorizzato, rispondere ai suoi commenti sul pezzo appena pubblicato potrebbe essere un buon punto di partenza in questo senso.

Qualche “caso” eccellente

Proprio i commenti dei lettori e, più in generale, le loro interazioni con i contenuti sono al centro, così, di alcune interessanti iniziative. The Washington Post si è inventato una newsletter che raccoglie, settimanalmente, i migliori commenti agli articoli pubblicati e quelli che hanno animato la discussione sui più disparati temi, dalla politica all’attualità e il lifestyle. In Italia, invece, La Stampa è stata tra i primi giornali a introdurre il public editor, una figura a metà tra il garante dei lettori a cui rivolgersi per domande, precisazioni, correzioni da fare e la voce (e la faccia) del giornale negli ambienti digitali. Piccoli passi certo, ma che segnano già una direzione certa verso cui andare.

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