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Gucci e Armani sono i più chiacchierati, ma da cosa dipende la reputazione digitale dei brand di moda?

Comin & Partners ha realizzato con KPI6 e

Comin & Partners ha analizzato con KPI6 e "Il Foglio della Moda" alcune conversazioni online che menzionano brand di moda, accorgendosi della correlazione tra brand activism e buona reputazione di cui questi godono.

Sono Gucci e Armani i brand di moda di cui si parla di più in Rete, seguiti da Chanel che in un solo semestre, da ottobre 2021 a marzo 2022, ha scavalcato Louis Vuitton in terza posizione. Le prime due firm risultano essere anche quelle più apprezzate negli ambienti digitali e da chi li frequenta, seguite nella classifica per apprezzamento da Dolce & Gabbana, per la prima volta sul podio. I risultati provengono da uno studio sulla reputazione digitale dei fashion brand condotto da Comin & Partners in partnership con KPI6 e Il Foglio della Moda per cui sono state analizzate oltre 25mila menzioni ricevute sui social dai brand di moda1 prodotte da più di 15mila utenti unici.

La reputazione digitale dei fashion brand dipende dalla capacità di intercettare i temi che più stanno a cui ai propri pubblici

Incrociando un dato come il volume delle conversazioni che hanno visto protagoniste le più importanti firm di moda con la qualità delle menzioni ottenute dalle singole maison, lo studio è riuscito anche a individuare i temi che più generano engagement quando si parla di moda in Rete, nei quali rientra un certo stile vintage che richiama la storia e l’eredità della maggior parte dei brand del settore.

Anche l’inclusione di genere è però tra i grandi temi maggiormente capaci di generare coinvolgimento in Rete. Quando si tratta di gender fluidity le firm più menzionate online sono Prada e Valentino per come hanno dato vita, nelle ultime collezioni, ad abiti e accessori non binari, unisex o meglio ancora genderless e che ben si adattano, cioè, sia al guardaroba maschile che a quello femminile.

Gran parte della reputazione digitale dei fashion brand si gioca sulla volontà e sulla capacità delle case di moda di prendere posizione sui temi di attualità e, più nello specifico, sulle grandi questioni che stanno a cuore ai propri pubblici. Non è una vera novità: da sempre acquisti “di status”, solo nei tempi più recenti i capi di (alta) moda hanno saputo trasformarsi ora in un vessillo a favore dell’autodeterminazione femminile, ora in un’accusa esplicita contro inquinamento e cambiamento climatico.

Sono state le Fashion Week 2022, tornate dal vivo sulle passerelle proprio negli stessi giorni in cui scoppiava la guerra in Ucraina, a costringere anche le maison restie fino a quel momento a uscire fuori dalla propria “bolla” – come recita, parafrasato, il titolo di un altro studio sul tema condotto da KPI6 – a fare i conti con il fatto che il «brand activism è oramai parte integrante delle strategie aziendali, fondamentale per il posizionamento del marchio» e nel costruire la reputazione online dei fashion brand, come ha sottolineato Gianluca Comin, founder e presidente di Comin & Partners.

Si parla online di moda soprattutto durante gli eventi di settore, ma con un atteggiamento ambivalente

Lo studio conferma altre evidenze già rilevate per quanto riguarda le conversazioni social sulla Milano Fashion Week 2022 e, più in generale, il buzz generato online dagli eventi delle ultime Settimane della moda: gli internauti parlano di moda e di fashion brand in Rete e negli ambienti digitali soprattutto – e lo dimostrano i volumi delle conversazioni – in concomitanza con gli eventi fisici più attesi del settore, in un’esperienza che per forza di cose si fa “ phygital ”.

Da un’analisi lessicale e non solo tematica delle conversazioni in cui, da ottobre 2021 a marzo 2022, sono stati menzionati i fashion brand lo studio di Comin & Partners, KPI6 e Il Foglio della Moda si è accorto, infine, di una certa «ambivalenza» – così la definisce nel comunicato stampa di presentazione dei risultati Fabiana Giacomotti, docente di Fashion Studies alla Sapienza e curatrice de Il Foglio della Moda – degli utenti sui social. Mentre chiedono alle firm di moda più attenzione a temi come la sostenibilità, l’inclusione e la diversità, tanto da basare su questi aspetti le proprie opinioni sulle diverse maison e da farne parametri su cui si basa la reputazione digitale dei fashion brand, gli utenti, infatti, non sono ancora pronti a rinunciare ai capi del fast fashion o dell’ultra fast fashion sul modello di Shein, né all’uso di filtri di bellezza e anti-imperfezione per i propri scatti sui social.

Note
  1. Il Foglio della Moda
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