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Attivismo di brand: i consumatori apprezzano le aziende impegnate (e per le cause che hanno più a cuore)

Diritti civili, parità di genere e ambiente sono le issue rispetto alle quali i consumatori chiedono e apprezzano di più l'attivismo dei brand: i dati dell’Osservatorio Civic Brands e di uno studio Kantar su campione europeo

Di studi e ricerche che hanno provato a misurare quanto i consumatori sono interessati alla corporate social responsibility o se e come il brand activism incide nel rapporto azienda consumatore ormai non ne mancano. L’Osservatorio Civic Brands, un progetto di Ipsos e Paolo Iabichino, arriva ora però a valutare il “say-do gap”, ossia il divario che esiste in materia di attivismo e impegno di brand su questioni sociali tra quanto le aziende dichiarano di (voler) fare e quanto effettivamente fanno.

Per i consumatori sono i brand a dover muovere (in meglio) i cambiamenti sociali

Di casi di woke washing ne sono passati numerosi alla cronaca recente e dello stesso campione intervistato dall’Osservatorio Civic Brands il 43% ammette di aver smesso di comprare prodotti o servizi di alcuni brand proprio perché deluso dal loro comportamento sul piano civico, percentuale a cui ci somma il 67% di chi considera ancora difficile capire se un brand è veramente responsabile.

A questi dubbi e delusioni rispetto a come si comportano “di fatto” i brand corrisponde un atteggiamento più sicuro e ottimista dei consumatori nei confronti del civismo e dell’attivismo di brand. Per il 67% degli intervistati è arrivato il momento che le aziende cambino il proprio modo di operare all’interno della società; una percentuale appena più bassa (il 63% dei partecipanti all’Osservatorio Civic Brands) è convinta che le stesse possano agire in prima persona nell’ambito di questioni socialmente rilevanti, ma c’è soprattutto un 39% del campione convinto che sia compito dei brand incentivare comportamenti responsabili.

osservatorio civic brands aspettative dei consumatori

Una buona fetta di consumatori è convinta del ruolo chiave delle aziende nell’incentivare il cambiamento sociale. Fonte: Osservatori Civic Brands

C’entra, senza dubbio, anche la crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni che numerosi barometri sulla fiducia non hanno potuto fare a meno di registrare nelle ultime edizioni e confermata peraltro da insight dello stesso Osservatorio che vogliono ora il 17% dei partecipanti convinti che politica e istituzioni non siano più in grado di coinvolgere i cittadini nella sfida di migliorare la società. Per la frequenza con cui, grazie ai loro prodotti e servizi, le aziende entrano nelle case e nelle routine dei cittadini e per come i consumi hanno un ruolo sempre più identitario, il ruolo dei brand non può che essere quello di ispirare e farsi promotori di comportamenti responsabili.

Per un attivismo di brand davvero efficace serve uno sforzo di co-creazione secondo l’Osservatorio Civic Brands

Di quali comportamenti farsi promotrici le aziende dovrebbero valutarlo attentamente, sia in riferimento alla propria storia, alla propria mission aziendale e naturalmente al settore in cui operano, sia tenendo conto di quali sono le aspettative dei consumatori.

L’84% dei partecipanti all’Osservatorio Civic Brands si dice convinto, infatti, che i brand dovrebbero ascoltare e farsi aiutare dai propri clienti nella scelta delle cause da sostenere: serve a poter portare un contributo di prossimità, ad agire più concretamente sul territorio (di questo si dice convinto l’82% del campione) e ad appoggiare attivamente le persone nelle cause in cui le stesse sono già impegnate (vale per il 78% del campione).

brand activism quando è efficace

Cosa rende davvero efficaci gli sforzi di attivismo e civismo delle aziende? Fonte: Osservatorio Civic Brands

Diritti civili, razzismo, parità di genere, benessere sul luogo di lavoro (per l’83% del campione non si può parlare davvero di civic brand se e quando questo non abbia a cuore in primis la qualità di vita dei propri dipendenti) sembrano essere comunque i grandi temi a cui dovrebbe guardare oggi con più interesse il brand activism , insieme all’ambiente.

«Il 31% degli intervistati si trova molto d’accordo nel ritenere che una marca o azienda, che oggi non agisce concretamente in tema di sostenibilità ambientale, non può avere futuro», ha raccontato infatti Paolo Iabichino in un comunicato stampa a commento dei risultati dell’Osservatorio Civic Brands.

È l’ambiente il tema che gli italiani hanno più a cuore e su cui chiedono l’impegno delle aziende

Questi risultati sembrano in linea con quelli di un altro studio: l’European Foundational Study di Kantar. L’ultimo ha messo in luce come il 43% dei consumatori italiani abbia già smesso di comprare prodotti e servizi di alcune aziende per come gli stessi impattavano negativamente sull’ambiente.

I consumatori italiani sembrerebbero, del resto, più preoccupati degli altri consumatori europei di grandi questioni ambientali come quelle che riguardano in particolar modo la salute dell’acqua e dell’aria (la percentuale che se ne dice preoccupata corrisponde al 66% del campione Kantar, contro il 43% di media europea) e disposti a investire tempo e denaro (40% degli intervistati, ancora una percentuale superiore alla media europea del 36%) nel sostenere aziende che abbiano a cuore la sostenibilità, a patto certo che riescano a essere superati in futuro alcuni ostacoli come il prezzo in genere molto maggiore dei prodotti green (condizione valida per il 74% del campione Kantar) e, soprattutto, la mancanza di informazioni adeguate.

Quello con cui il brand activism e in particolare le iniziative di responsabilità sociale a tema sostenibilità ambientale devono ancora fare i conti è, infatti, la poca trasparenza (così il 68% del campione Kantar giudica le principali iniziative del campo). Pena il timore da parte dei consumatori che la maggior parte delle stesse possano rivelarsi poco più che tentativi di greenwashing da parte delle aziende e che le ultime investano in progetti a tutela dell’ambiente a fini meramente commerciali (è preoccupazione di almeno il 67% del campione) e per averne, cioè, un mero tornaconto.

Dai vantaggi a come trasformarsi concretamente in un civic brand

I vantaggi concreti per le aziende nel fare attivismo “verde” e più in generale nel fare attivismo di brand certamente non mancano. I risultati sarebbero apprezzabili sia in termini di fidelizzazione e trasformazione in “fan” del cliente e sia in termini di suo coinvolgimento se è vero che, per tornare ai risultati dell’Osservatorio Civic Brands, il 36% degli intervistati si dice più propenso oggi a scegliere i prodotti o servizi di aziende più attivamente coinvolte nelle cause civiche più pressanti e urgenti e il 40% a partecipare a quelle stesse cause se sostenute dai propri love brand .

«La strategia aziendale deve, però, rendere allineate brand purpose e go to market – ha commentato Cristina Colombo, client impact director e sustainable transformation practice Kantar – dal momento abbiamo raggiunto un livello di attesa tale per cui i consumatori richiedono alle aziende un impegno continuativo. La sfida per i brand è come rendere la sostenibilità accessibile, significativa e conveniente per i consumatori, per poter colmare il gap tra valori e azione».

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