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Trump può bloccare gli utenti su Twitter? La vicenda legale, gli effetti sulla campagna elettorale e la passione di certi politici nel blastare gli elettori

Trump può bloccare utenti su Twitter? Si attende la Corte Suprema

Dopo che un'associazione che difende la libertà di parola ha chiesto che la Corte Federale imponesse al presidente repubblicano di sbloccare alcuni utenti penalizzati per le proprie opinioni politiche, ora in piena campagna elettorale Trump rivendica il diritto di bannare chi vuole su Twitter.

Un politico come Trump può bloccare utenti su Twitter? Anche questa rappresenta una vexata quaestio di una campagna elettorale, quella per le presidenziali americane del 3 novembre 2020, che in più occasioni ha visto messi sotto accusa la Rete, i social, gli ambienti digitali. La vicenda legale a cui si riferiscono però l’attuale presidente americano – quando chiede di poter gestire i propri profili social come meglio crede – e le associazioni di settore – quando mettono in guardia sulla sistematica violazione di diritti fondamentali degli elettori americani – risale a qualche tempo fa.

Quella volta in cui la Corte Federale di New York impose a Trump di sbloccare utenti bannati su Twitter per le proprie opinioni politiche

A ripercorrere la vicenda legale è Forbes. Nel 2017 il Knight First Amendment Institute, un’associazione della Columbia University che si occupa di libertà di parola, aveva chiesto alla Corte Federale di New York se Trump avesse la facoltà di bloccare utenti su Twitter solo perché questi esprimevano opinioni e punti di vista evidentemente contrari a quelli del presidente repubblicano. L’anno successivo, la stessa Corte aveva equiparato il feed social di un politico come Trump a un «forum pubblico» e condannato, quindi, la scelta di bloccare alcuni utenti come una violazione del primo emendamento. Quel primo emendamento che, ricorda Guido Scorza su L’Espresso, è a garanzia della libertà di parola dei cittadini, anche nel caso di discorsi critici del governo, vietando come fa al titolare di una carica istituzionale di escludere una persona da un forum pubblico, appunto, perché in disaccordo con la propria visione politica. Naturalmente i legali di Trump avevano fatto ricorso in appello contro la decisione della Corte Federale di New York, ma a marzo 2020 è arrivata la conferma della sentenza secondo cui bannare gli utenti è una pratica incostituzionale perché riduce la libertà del cittadino di partecipare al discorso pubblico. Alla domanda “Trump può bloccare utenti su Twitter?” il giudice della Corte d’Appello americana sembra aver risposto “no”, anche se l’account in questione è quello privato di Donald Trump (@realDonaldTrump) e non quello ufficiale in dotazione ai presidenti americani (@POTUS), dal momento che da quando ricopre la carica il politico ha sistematicamente utilizzato proprio quell’account «come strumento governativo», si leggerebbe nella sentenza. Anche i numeri non depongono a favore della pretesa di Trump di decidere a proprio insindacabile giudizio come e perché utilizzare l’account Twitter personale: @realDonaldTrump è seguito infatti da più di 85.6 milioni di utenti (a settembre 2020), contro una fanbase di @POTUS di appena 31.2 milioni di utenti; la reach dei messaggi postati dall’account personale è insomma potenzialmente più che doppia di quella dei messaggi che passano dall’account ufficiale del presidente degli Stati Uniti.

Trump può bloccare utenti su Twitter? Si aspetta una pronuncia delle Corti americane

Mentre Twitter e le altre piattaforme social mettono a punto le policy per la campagna elettorale per le presidenziali americane 2020 e c’è persino chi, come Facebook, si prepara a uno scenario post elezioni in cui i candidati potrebbero fare di tutto per creare confusione sui risultati delle urne, Trump è tornato a rivendicare il diritto di bloccare gli oppositori politici su Twitter. Lo scorso luglio 2020, infatti, era stato lo stesso Knight First Amendment Institute a rivolgersi ancora alla Corte Federale per chiedere di intervenire nuovamente sulla questione: dopo la conferma della condanna in appello, infatti, Trump e il proprio staff avevano effettivamente sbloccato molti utenti Twitter ma non quelli che non fossero in grado di indicare quale tweet avesse causato il ban da parte del presidente, per esempio, o quelli che erano già bloccati prima dell’elezione alla Casa Bianca. Di tutta risposta i legali di Trump hanno presentato un’istanza piuttosto corposa che chiede alla Corte Suprema di ribaltare la decisione d’appello e, in buona sostanza, di riconoscere che Trump può bloccare utenti su Twitter, dal proprio profilo privato, proprio come qualsiasi altro utente. Escludere dai thread sulla bacheca presidenziale questo o quell’altro utente è una scelta di natura «esclusivamente personale», si sosterrebbe infatti nell’istanza, e chi è proprio interessato a scoprire cosa twitta Trump, continuerebbe il documento, può sempre farlo creando un nuovo profilo con un altro nome – pratica, però, decisamente scoraggiata da Twitter che ha bloccato un network di account fake russi cinesi e turchi proprio di recente – o può accontentarsi di ciò che è visibile anche senza login.

I politici sui social sono utenti comuni o dovrebbero garantire un discorso pubblico di qualità?

Costruire ambienti confermativi, filter bubble , echo camber in cui le proprie opinioni, le proprie posizioni siano le uniche ammissibili è, dunque, una tendenza che non risparmia nessuno, neanche i politici quando scelgono di sfruttare ambienti e piattaforme digitali per le proprie strategie di comunicazione politica o di marketing elettorale. L’ostinazione sul tema del presidente americano, la volontà di arrivare a tutti i costi a una risposta, meglio se positiva, alla domanda “Trump può bloccare utenti su Twitter?” potrebbe suonare, però, anche come una vaga ripicca contro un social e le community che lo frequentano che hanno dato negli ultimi tempi filo da torcere al politico repubblicano.

Ricorda ancora Forbes, nella lista degli epic fail dei politici sui social Trump però non è solo. Per restare in America, lo scorso anno la democratica Alexandria Ocasio-Cortez è stata protagonista di una vicenda simile quando ha bloccato un utente che criticava aspramente su Twitter le sue posizioni politiche: in un primo momento la deputata ha provato a giustificarsi specificando che si trattava del profilo privato, poi però ha chiesto scusa ed è corsa ai ripari. Per qualche tempo anche l’Italia ha avuto il suo bannatore seriale: erano i primi tempi di Maurizio Gasparri (@gasparripdl) su Twitter e il politico non aveva remore a bloccare gli utenti che rispondessero a tono alle sue provocazioni, smentissero alcune delle sue affermazioni o semplicemente non fossero d’accordo con le sue posizioni, tanto che per qualche tempo ci fu un hashtag popolare, #bloccatidaGasparri, che divenne una sorta di segno di riconoscimento e attorno a cui  si riunì una sorta di community di twitterer che avevano ricevuto simile trattamento da parte del politico.

Zittire gli utenti, impedendo materialmente di partecipare alle discussioni social, o –come pure è pratica di molti candidati e personaggi pubblici nostrani e non solo – blastarli, cioè offenderli o metterli in riga con linguaggio colorito o toni accesi, sono davvero atteggiamenti che si confanno ai politici su social? O, per il ruolo che svolgono, dovrebbero essere i primi a sostenere nei fatti un discorso pubblico equilibrato, inclusivo, costruttivo, dove si possa «dissentire senza litigare» e le opinioni contrarie alle proprie siano bene accette? Domande, queste, a cui è difficile che solo la sentenza di un giudice possa trovare risposta.

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