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Cosa sta succedendo con TikTok in America? L'ipotesi del ban, l'acquisizione da parte di Oracle e le sfide di Facebook e Snapchat

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Cosa sta succedendo con TikTok in America? Perché Trump minaccia di bannare l'app cinese e Microsoft decide di acquistarla?

Il dubbio, come ha dichiarato a Fox News il segretario di stato americano Mike Pompeo, è che venga utilizzata dal governo di Pechino per spiare i cittadini americani e fare propaganda; ai reali problemi di privacy riscontrarti sulla piattaforma, così, si è aggiunta ora l’accusa secondo cui TikTok rappresenterebbe un rischio «serio per la sicurezza nazionale». Accusa che può aiutare a capire meglio cosa sta succedendo con TikTok e Trump – ma anche con Microsoft, Oracle, Twitter, Snapchat e Facebook – in questi giorni.

Perché l’amministrazione Trump odia TikTok (e cosa c’entrano i rapporti con la Cina)

Che la luna di miele del presidente americano con le piattaforme digitali sia ormai finita, nonostante i social network abbiano contato molto nella prima elezione di Trump, è apparso già chiaro mesi fa dopo la querelle con Twitter e la tanto discussa volontà di modificare la sezione del Telecommunication Act del 1996 riguardante proprio le responsabilità delle big tech.

Cosa sta succedendo con TikTok ora ha, invece, più le sembianze di un affaire di politica e relazioni estere. Che non corra buon sangue tra l’amministrazione Trump e il governo cinese lo hanno dimostrato, ultime in ordine di tempo, polemiche e accuse su come Pechino ha gestito l’emergenza coronavirus. La piattaforma dei brevi video musicali, delle lip sync e delle challenge quotidiane è finita sotto l’occhio del ciclone, così, soprattutto per via della proprietà: ByteDance, un’azienda cinese che ha un valore di mercato di oltre cento miliardi di dollari secondo la CNBC e che possiede un’intera suite di app con destinazioni d’uso diverse, infatti, aveva acquistato Musical.ly nel 2017, prima di renderla disponibile sui marketplace internazionali, l’anno successivo, con il nome di TikTok appunto. A poco è servito per mettere a tacere le accuse il fatto che l’azienda abbia uno dei suoi più grandi quartieri generali a Los Angels o che circa il 70% degli investitori esteri di TikTok sia americano – stando almeno alla ricostruzione di Reuters – e, ancora, che nel tentativo di piacere di più anche all’establishment americano lo scorso maggio sia stato nominato CEO di TikTok e COO di ByteDance Kevin Mayer, con un passato recente alla guida della Walt Disney Company. Trump e il suo staff rimangono convinti che l’app rubi dati agli americani e li condivida con il governo di Pechino e che possa essere utilizzata dallo stesso per più complesse operazioni di spionaggio e cyberwarfare.

I (reali) problemi di privacy su TikTok

Considerato che il boom di iscritti su TikTok ha riguardato soprattutto la fascia più giovane di internauti e che, cioè, al momento a usare TikTok sono soprattutto bambini e adolescenti, le precauzioni non sono mai abbastanza ed è giusto chiedere più trasparenza a chi gestisce l’app riguardo a come e da chi vengono raccolti e trattati i dati dei minori. È quello che hanno fatto dozzine di genitori americani uniti, per la prima volta, in una class action contro TikTok che dovrebbe portare la piattaforma a chiarire davanti a un giudice se e come raccoglie dati tramite geolocalizzazione, riconoscimento facciale o contatti frequenti.

La cronaca non sembra certo deporre a favore dell’app e della sua casa madre. Secondo una recente inchiesta del Wall Street Journal, infatti, nelle sue vecchie versioni per Android, TikTok rubava indirizzi MAC, aggirando le policy previste da Google per le app presenti nei suoi playstore e mettendo a rischio la privacy degli utenti. Semplificando molto, i MAC address sono degli identificativi univoci, associati alla scheda di rete e difficilmente modificabili. Pur non essendo direttamente riconducibili a una persona fisica, se combinati con altri dati e informazioni possono aiutare a creare un profilo – nel caso specifico, secondo le ipotesi, un «dossier» da utilizzare anche a fini politici – piuttosto completo dell’utente: per questo Google ne ha vietato la raccolta alle app Android e, al pari degli indirizzi IP per esempio, molti paesi e le relative normative su privacy e trattamento dei dati personali li considerano dati personali appunto. Approfittando di un bug di Android o utilizzando un inusuale layer di crittografia – i dettagli di quanto accaduto non sono ancora ben chiari neanche nella ricostruzione del WSJ – fino a novembre 2019 TikTok avrebbe raccolto indisturbata i MAC address dei dispositivi su cui era installata e, da questi, sarebbe risalita all’ID pubblicità, un altro identificativo di norma utilizzato dagli sviluppatori di app per personalizzare l’esperienza utente e, soprattutto, per inviare pubblicità targettizzata. L’accusa, nuova non di certo, è insomma che ByteDance possa aver condiviso con il governo di Pechino profili e portfolio ben dettagliati degli utenti TikTok e che quest’ultimo li abbia sfruttati a scopo politico-propagandistico. È la stessa inchiesta del Wall Street Journal, però, a chiarire che l’informativa accettata dall’utente al momento dell’iscrizione su TikTok è tra le più chiare e complete esistenti e che l’app cinese non è risultata la sola a raccogliere impropriamente indirizzi MAC e ID pubblicità (lo avrebbero fatto, rispettivamente, almeno l’1.4% e il 25% dell’app per Android).

Né, come ha fatto notare qualcuno, andrebbe dimenticato che il WSJ è il più letto quotidiano economico conservatore: la tempistica dell’inchiesta e i suoi risultati, insomma, potrebbero non essere in tutto e per tutto disinteressati. Con le presidenziali americane 2020 alle porte, del resto, cosa sta succedendo con TikTok e Trump ha perlopiù l’aria di un gesto strategico: TikTok va ostacolata per i dubbi sui suoi legami con la Cina, ma anche perché è un canale frequentato da un target di per sé propenso a osteggiare le posizioni del presidente repubblicano e che, per di più, Trump e il suo staff non sembrano padroneggiare ancora abbastanza, come ha dimostrato tra l’altro il comizio a Tulsa andato fallito perché i tiktoker avevano prenotato la maggior parte dei posti a sedere senza avere alcuna intenzione di presenziare.

comizio trump tulsa fallito a causa dei tiktoker

Al comizio per le presidenziali americane 2020 di Trump a Tulsa, il primo in presenza dopo lo stop legato all’emergenza sanitaria, alcuni tiktoker e i fan di una star del K-pop hanno prenotato un gran numero di posti a sedere senza mai presentarsi. Lo stesso comizio è diventato famoso così per essere il primo fallito “grazie a TikTok”, ma quanto successo è la dimostrazione di come Trump e il suo staff non padroneggino ancora grammatiche e linguaggi di questa piattaforma.

Addirittura, nel disperato tentativo di svecchiare i propri messaggi e di imparare a parlare il linguaggio di Gen Z e Gen Alpha, di recente lo staff di Trump ha aperto un profilo Triller. Il primo video postato da @donaldjtrump, quello in cui il presidente si presenta come un «professionista della tecnologia» e che è stato già visto oltre 12.6 milioni di volte (al 18 agosto 2020), con i suoi effetti video e il suo tappeto musicale potrebbe facilmente essere scambiato per un tiktok. E lo stesso si potrebbe dire della maggior parte dei video che circolano sulla piattaforma. La discriminante fondamentale, quella che è valsa il beneplacito e l’investimento in strategia di comunicazione politica da parte dello staff presidenziale, è l’origine «americanissima», come ha fatto notare molta stampa internazionale, dell’applicazione: fondata nel 2015 a New York, da allora non ha mai spostato il proprio quartier generale. Non sorprende, così, che ora in America ci sia una corsa a scaricare Triller: i 250 milioni di download sarebbero stati superati in poche settimane, stando alla ricostruzione di Wired; tra gli iscritti di nuova data ci sarebbero anche (ex) TikTok influencer con un buon seguito come Charlie e Dixie D’Amelio e star internazionali come il rapper Snoop Dogg e, soprattutto, Triller starebbe pensando di quotarsi in borsa per un valore iniziale di 1,5 miliardi di dollari, già dieci volte quello del 2019.

Cosa sta succedendo con TikTok in America: i possibili sviluppi

Non si tratta, però, di solo patriottismo. Riguardo alla querelle tra Trump e ByteDance, il primo annuncio (il 31 luglio 2020) era stato quello di un possibile ban di TikTok in America. Il Paese non sarebbe stato certo il primo a mettere fuori legge l’uso della piattaforma, che è al momento inutilizzabile in India per esempio e sempre per questioni legate a privacy e possibilità di interferenze terze nella politica interna. Anche il Pakistan aveva bannato TikTok, ma c’entravano in quel caso una serie di contenuti «immorali e indecenti» – queste le parole utilizzate dall’autorità nazionale per telecomunicazioni per giustificare la scelta – o, forse, semplicemente molto critici nei confronti dell’operato del governo: la Pakistan Telecommunication Authority ha riammesso l’uso di TikTok nel Paese (così riporta la stampa di settore il 19 ottobre 2020), comunque, a patto che i gestori dell’app assicurino un maggiore controllo sui contenuti e di cancellare subito quelli «illegali secondo le leggi pakistane». Pochi altri dettagli, per tornare all’ipotesi del ban americano, erano stati forniti comunque riguardo a come avrebbe funzionato: secondo la ricostruzione di Mashable, TikTok sarebbe potuta finire in quella lista nera di aziende che violano le leggi americane, in compagnia di altre big del tech come Huawei o ZTE, e questo avrebbe costretto Apple e Google a rimuovere l’app dai propri marketstore e a rendere indisponibili gli aggiornamenti anche per gli utenti che già avessero scaricato l’app.

La mancanza di aggiornamenti, oltre a rendere più frequenti bug e leak che avrebbero potuto minare la sicurezza dell’app e dei dati dei suoi utenti, avrebbe potuto essere deleteria in sé per un’applicazione come TikTok, il cui successo dipende in gran parte dal continuo rilascio di nuovi sticker, nuovi filtri, nuove funzionalità con cui i tiktoker si sfidano a colpi di creatività. Gli oltre 160 milioni di americani che hanno scaricato TikTok, molti dei quali la usano quotidianamente, potrebbero aver convinto però l’amministrazione repubblicana che non si tratta di un business a cui rinunciare a cuor leggero.

Presto così si è cominciato a vociferare che Trump stesse costringendo ByteDance a vendere la branca americana, meglio se a un’azienda con sede e sottoposta a leggi e sistema di tassazione a stelle e strisce, dopo aver rifiutato tra l’altro una proposta con cui l’azienda si diceva disposta a conservare solo un’esigua minoranza delle azioni nazionali di TikTok. Nel frattempo la stessa avrebbe ricevuto proposte di acquisizione da grandi gruppi industriali come la General Atlantic o Sequoia, fino a quando (già il 1° agosto 2020) è arrivata la notizia di un possibile accordo tra ByteDance e Microsoft per l’acquisto di TikTok.

Che ne è stato dell’accordo tra TikTok e Microsoft (e le altre ipotesi di acquisizione)

Dal canto suo, Microsoft non è completamente nuova all’interesse per il mondo dei social network : qualche anno fa aveva acquistato LinkedIn per soli 26 miliardi di dollari. Non sono comunque mai stati ben chiari i dettagli dell’accordo. Questo non ha impedito, però, a Trump di rivendicarne la paternità, arrivando a chiedere che una percentuale del prezzo dell’eventuale vendita di TikTok finisse nelle casse del Tesoro americano: così riportava TechCrunch, erano i primi giorni di agosto 2020, l’accordo con Microsoft sembrava l’unica speranza per risolvere presto e senza perdere un’importante fetta di mercato la querelle tra Trump e ByteDance, tanto che da commentatori e addetti ai lavori non mancarono speculazioni e ipotesi sulla reale natura dell’accordo. Lo stesso TechCrunch suggerì per esempio a Microsoft di sfruttare l’opportunità, se davvero avesse deciso di pagare questa sorta di fee sull’acquisizione, per contrattare a propria volta con il governo americano un trattamento di favore qualora fossero venuti al pettine nodi rispetto a come TikTok raccoglie e tratta i dati anche dei minori e qualora authority come la Federal Trade Commission avessero voluto multarla.

cosa sta succendendo con TikTok e Trump

Così Pavel Durov, fondatore di VK e Telegram, ha commentato dal suo canale sull’app di messaggistica istantanea cosa sta succedendo con TikTok, Trump e Microsoft.

Qualcuno parlò addirittura della possibile acquisizione di TikTok da parte di Microsoft come di una «estorsione tattica» da parte del governo americano: così l’ha definita sul proprio canale Telegram Pavel Durov, fondatore del social russo VK e della stessa app di messaggistica istantanea. La pratica di costringere i gestori dei servizi digitali che vogliano operare in un determinato paese a possedere quote azionarie partecipate da soggetti nazionali, pena il ban degli stessi servizi, «finora era stata utilizzata solo dai regimi autoritari [come Russia, Cina, Iran]. Per decenni gli Stati Uniti sono stati considerati i difensori del libero commercio e della libertà di parola», ha continuato l’imprenditore, e ora con questa «saga di TikTok» stanno segnando un «precedente pericoloso che potrebbe uccidere l’idea della Rete Internet come Rete veramente globale, o almeno quello che è rimasto di questa stessa idea».

Ben presto, comunque, si sono perse le tracce dell’ipotetico accordo tra ByteDance e Microsoft per l’acquisizione di TikTok. Secondo qualche voce un terzo soggetto, la catena di supermercati Walmart, era pronto a intervenire come partner di Microsoft nelle trattative per comprare TikTok. Continui interventi, continui suggerimenti interessati di Trump hanno trasformato, però, «le negoziazioni tra TikTok e Microsoft in una soap opera» – così titola The New York Times – e la telenovela si è conclusa presto con l’annuncio ufficiale del ritiro di Microsoft dalle trattative con ByteDance.

accordo microsoft tiktok perché è sfumato

A mettere a tacere ogni voce, il 13 settembre 2020, è arrivato l’annuncio ufficiale della rinuncia di Microsoft alle trattative con ByteDance per l’acquisto di TikTok. Nella nota, pubblicata sul blog aziendale, si legge un certo rammarico per quello che avrebbe potuto essere «un buon accordo per gli utenti TikTok», in grado di rispettare «i più alti standard quanto a sicurezza, privacy e disinformazione online». Fonte: Microsoft Corporate Blogs

Era metà settembre 2020, proprio i giorni in cui si cominciava a paventare l’ipotesi di un accordo tra ByteDance e Oracle sul destino di TikTok.

Tra ordini esecutivi e battaglie legali, cosa sta succedendo con TikTok in America pone questioni di sovranità digitale

Se c’è chi ha definito cosa sta succedendo con TikTok un esempio, forse il più chiaro esempio, di «sovranità digitale», e una sorta di precedente storico dell’importanza che ha già per i governi e avrà sempre più in futuro poter estendere il proprio controllo anche su servizi digitali e loro gestori, è comunque soprattutto per via dei risvolti legali e amministrativi dell’intera vicenda.

#lasvegliaOrmai è fatta: è stato trovato l'accordo che consentirà agli utenti USA di continuare ad usare #TikTok.Una…

Posted by Ernesto Belisario on Sunday, September 20, 2020

Il 14 agosto 2020, infatti, Trump ha firmato un ordine esecutivo che dà a TikTok 90 giorni di tempo per tagliare i ponti con la Cina, almeno per quanto riguarda le proprie attività negli Stati Uniti. In questi 90 giorni ByteDance dovrà provvedere a cancellare tutti i dati in suo possesso riguardanti gli utenti americani e comunicare al Committee on Foreign Investment americano di averlo fatto. Ciò che si teme potrebbe avere effetti più dirompenti per l’uso di TikTok in America è comunque un altro executive order, firmato dal presidente Trump già il 6 agosto 2020, in cui era fissato un limite temporale di 45 giorni passati i quali, in mancanza di un accordo sulla gestione delle operazioni americane di TikTok, sarebbe scattata la cancellazione dell’app dai playstore del Paese. E in effetti, puntuale il 18 settembre 2020, quando mancavano due giorni alla data fatidica del ban di TikTok in America, il Dipartimento del commercio americano ha emesso l’ordine di vietare il download di TikTok a partire dal 20 settembre 2020. Divieto che è poi, quasi immediatamente, slittato di una settimana (a domenica 27 settembre 2020), come riporta tra gli altri la CNBC, per via del fatto che, con la benedizione del presidente Trump e il silenzio assenso di Pechino, l’accordo a cui ByteDance e Oracle lavorano da ormai molti giorni sembra finalmente in dirittura d’arrivo. Come fa notare Reuters, cosa sta succedendo con TikTok in America è il classico esempio di situazione in cui mai si dovrebbe cantare vittoria. A ravvivare le polemiche è arrivata, infatti, una dichiarazione di Steven Mnuchin: secondo il segretario del Tesoro americano «tutto il codice sorgente di TikTok dovrà essere negli Stati Uniti», così ha dichiarato alla CNBC. Ciò significherebbe per Oracle ricostruire e sanificare il codice e assicurarsi che soddisfi i requisiti americani in fatto di sicurezza: nell’accordo attualmente al vaglio, però, non ci sono clausole di questo tipo e, del resto, ByteDance è rimasta sempre ben ferma nella volontà di continuare a controllare i codici delle sue applicazioni. Se mai dovesse arrivare, comunque, il ban di TikTok in America sarà progressivo: da subito, cioè, sarà impossibile per i nuovi utenti scaricarla sui propri dispositivi, ma l’app resterà in funzione per chi è già iscritto e l’ha già installata almeno fino al 12 novembre 2020.

C’è anche WeChat tra le app cinesi bannate in America, ma Pechino non sta a guardare

A ben guardare, tra l’altro, TikTok non è la sola app cinese che rischia di scomparire dai playstore americani. Lo stesso provvedimento del Commerce Department, infatti, ha dato le ore contate anche a WeChat, un sorta di servizio tutto in uno che mette insieme alcune peculiarità di Instagram con altre di Facebook o WhatsApp e che, stando a Reuters, può contare su più di un miliardo di utenti in Cina e già oltre 19 milioni di iscritti anche in America. Nel caso di WeChat sembra essere prevalsa sicuramente la mano leggera, non essendo stato vietato, per esempio, alle aziende americane di fare business con l’app al di fuori degli Stati Uniti, anche in considerazione del fatto che la stessa sembra essere uno dei mezzi migliori per attrarre consumatori cinesi, né sono state rese non scaricabili sui playstore americani altre app di casa Tencent, proprietaria di WeChat. Nonostante questo, una corte distrettuale americana ha già temporaneamente bloccato il ban di WeChat in America perché reputato violante la libertà di espressione dei cittadini americani, specie quelli con lingua madre il cinese.

Impossibile pensare che, in uno scenario come questo, il governo di Pechino rimanesse a guardare. Già qualche giorno fa il quotidiano cinese Global Times aveva definito le rivendicazioni del governo Trump su TikTok una sorta di «estorsione in stile mafioso». Dallo scorso 19 settembre 2020, invece, il Ministero del commercio cinese avrebbe aggiornato la sua entity list di aziende considerate pericolose per la sicurezza nazionale, lo sviluppo economico e gli interessi del Paese e, quindi, in soldoni da boicottare, includendo anche big americane come Boeing, FedEx, Cisco e, secondo quanto riportato da Bloomberg, anche Apple, che potrebbe vedere così intaccato il proprio mercato cinese da 44 miliardi di dollari. Il futuro segnato sembra essere, insomma, quello di divergenze politiche e di politica estera risolte a colpi di boicottaggi reciproci che potrebbero rendere, di fatto, desueta l’idea che esista una sola Rete.

Se gli impatti economici di un simile scenario andranno valutati nel lungo periodo, questa strategia di boicottaggi reciproci si è già trasformata in numerose querelle legali.

Fin da subito TikTok si è detta «scioccata» della decisione di Trump, ha negato ogni accusa avanzata in queste settimane, messo in dubbio la costituzionalità dell’ordine esecutivo in questione e confermato infine (il 22 agosto 2020) che è stata intrapresa un’azione legale contro l’executive order di Trump contro ByteDance per «assicurarsi che il ruolo della legge non sia messo da parte e che la nostra compagnia e i nostri utenti siano trattati equamente». Una seconda causa sarebbe stata intentata da TikTok presso un tribunale federale di Washington per valutare se la cancellazione dell’app dai playstore americani possa violare il Primo Emendamento della Costituzione americana, Primo Emendamento con cui, tra l’altro, Trump sembra avere un rapporto controverso già da tempo e per questioni che riguardano, per esempio, la possibilità di bannare gli utenti su Twitter.

Nel frattempo i dipendenti americani di TikTok, intenzionati a far causa al governo Trump, hanno avviato una campagna di crowdfunding che ha già raggiunto circa metà dell’obiettivo. Vietando qualsiasi tipo di rapporto e accordo commerciale tra soggetti statunitensi e società cinesi, infatti, lexecutive order tanto discusso renderebbe di fatto illegale per TikTok pagare lo stipendio ai propri dipendenti, oltre a violare quegli emendamenti della Costituzione americana che tutelano libertà e diritti dei cittadini rispetto alle decisioni prese dal governo: è questo l’argomento dei ricorrenti. Il Dipartimento di Giustizia americano, però, ha già risposto a uno di loro che aveva ricorso privatamente che il timore di ripercussioni sulla paga dei dipendenti americani di TikTok non giustifica un ordine restrittivo temporaneo che chieda al Dipartimento del Commercio di ritardare il ban. Anche all’interno della compagnia si respira, insomma, un clima tutt’altro che tranquillo, tanto che persino il neo-arrivato CEO di TikTok, Kevin Mayer, avrebbe deciso di licenziarsi (la notizia è stata riportata da Reuters il 27 agosto 2020) apparentemente per far spazio ai «cambiamenti strutturali indispensabili alla compagnia […] per affrontare uno scenario politico in netta trasformazione». A sostituirlo, seppure ad interim, Vanessa Pappas: in TikTok da inizio 2019 e per anni head of Creative Insights in YouTube, potrebbe essere un nome più gradito all’amministrazione americana e aiutare la compagnia ad uscire dall’impasse in cui si trova da settimane.

Così Snapchat e Facebook provano a speculare su cosa sta succedendo con TikTok in America

Nel caos su cosa sta succedendo con TikTok e il governo americano, la meglio potrebbero averla, però, nel frattempo alcuni competitor della piattaforma cinese. Fin da subito non sono mancati, i rumor secondo cui anche Twitter sarebbe stata interessata ad acquistare TikTok, forse anche per riscattarsi dall’insuccesso dell’acquisizione di Vine (chiuso definitivamente nel 2017), e sono stati rumor che hanno fatto balzare del +5% le azioni in borsa della compagnia di Dorsey. Nonostante la stessa Pappas abbia invitato le altre piattaforme social a «prendere parte pubblicamente a questa sfida [tra il governo americano, la piattaforma e i suoi utenti] e supportare le nostre rivendicazioni», i tentativi da parte di queste di aggredire la (corposa) fetta di utenti TikTok non sono mancati. Per esempio Snapchat sta testando l’inserimento della musica nell’app, in modo da dare ai propri iscritti la possibilità di creare brevi video musicali e meme divertenti da condividere con gli altri utenti senza mai uscire dall’applicazione.

snapcat lancia la musica sull'app

In roll out progressivo nei diversi paesi, Snapchat lancia la possibilità di utilizzare musica direttamente nell’app e per gli snap ed è, con ogni probabilità, una strategia per riacquistare popolarità in considerazione di cosa sta succedendo con TikTok.

L’app del fantasmino era stata una precorritrice del trend dei contenuti istantanei, brevi, in verticale, contenenti sticker ed effetti di realtà aumentata. Il format degli snap, però, era stato completamente fagocitato dalle Storie di Instagram prima e da TikTok dopo, complice anche un’affinità demografica tra i target: anche Snapchat era frequentata, e potrebbe tornare a esserlo in un futuro prossimo se le cose si mettessero davvero male per TikTok, da giovanissimi della generazione z e della generazione alpha .

Da qualche settimana, tra l’altro, gira voce che proprio Snapchat sia al centro delle contrattazioni per l’acquisizione di Dubsmash insieme a Facebook. Nessuna delle due compagnie ha mai confermato o smentito i rumor; di certo c’è che Dubsmash, presente nei marketstore già dal 2013 e simile a TikTok nel permettere ai propri utenti di condividere brevi video con tappeto musicale e sticker, avrebbe già visto aumentare a centinaia di migliaia di dollari il proprio valore di mercato per via della corsa in America a sperimentare validi sostituti all’app cinese.

L’interesse di Zuckerberg a imitare il successo di TikTok, del resto, era già apparso chiaro quando Facebook ha lanciato Reels, una sorta di clone made in Palo Alto. Più tardi le challenge che hanno reso famosa e popolare tra i più giovani l’app cinese sono arrivate addirittura su Instagram.

arrivano le challenge anche su TikTok

Per qualche account, in roll-out progressivo, sono da poco disponibili anche su Instagram le challenge che hanno reso famosa (e amata) TikTok.

Ora, proprio mentre il destino di TikTok in America appare incerto, prima in audizione al Congresso Zuckerberg ha ribadito che Facebook è un’azienda «orgogliosamente americana» e poi Facebook avrebbe cominciato a pagare tiktoker famosi per convincerli a usare Reels: stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, alcuni tra i tiktok influencer più famosi e con più seguito starebbero ricevendo delle proposte di collaborazione da Facebook che prevedono la pubblicazione in esclusiva o in anteprima dei propri contenuti sul sosia americano di TikTok. Non si sa ancora molto su chi siano i tiktoker contattati da Facebook e chi, tra loro, abbia accettato l’offerta e a quale prezzo . Di certo c’è che TikTok ha annunciato un fondo per content creator di 200 milioni di dollari: deve servire a premiare e incentivare «lo spirito e la creatività dei più talentuosi tra i nostri creativi», si legge nella nota ufficiale, ma odora molto di contromisura all’attacco di Facebook e di strategia per provare a rimanere attraente per i più giovani, nonostante cosa sta succedendo con TikTok in America.

Obiettivo, quello di non perdere appeal tra i giovanissimi frequentatori degli ambienti digitali, per raggiungere il quale addirittura Zuckerberg avrebbe fatto lobbying contro TikTok in Casa Bianca: è questa l’ultima accusa (avanzata in un articolo pubblicato il 23 agosto 2020) del Wall Street Journal. Per capire meglio i fatti bisognerebbe andare indietro con la memoria fino all’autunno del 2019: allora, durante un intervento all’università di Georgetown, il patron di Facebook avrebbe raccontato agli studenti come l’app cinese sistematicamente oscuri le proteste politiche e civili – e, in effetti, virale diventò in quel periodo il finto tutorial di make-up usato da una tiktoker per parlare dei lager cinesi – rappresentando in questo modo una minaccia alla libertà di espressione e ai valori americani, per parafrasare il discorso di Zuckerberg. L’attività di lobbying sarebbe continuata soprattutto durante una cena alla Casa Bianca alla presenza di alcuni tra i più importanti rappresentanti del mondo industriale e azionisti americani che Zuckerberg avrebbe provato a convincere di come le big cinesi del tech rappresentino una concreta minaccia economica per il mercato a stelle e strisce. I più sospettosi sostengono, tra l’altro, che chiudere un occhio sui post controversi del presidente sia stato per Facebook un modo per ricambiare il favore di una guerra contro TikTok che dovrebbe avere, si spera, come esternalità positiva il mantenere intatta la popolarità dei social di casa Zuckerberg. Naturalmente Zuckerberg ha smentito pubblicamente di avere accordi con Trump in più occasioni e in diversi contesti. Dove non arrivano proclami e dichiarazioni pubbliche, però, possono farlo le azioni concrete: in questo senso andrebbero lette, per esempio, la segnalazione di ads di Trump contenenti simboli nazisti o quella di un video condiviso su Facebook e avente come oggetto la fake news in base alle quali i bambini sono immuni al coronavirus o, ancora, il piano speciale per bloccare annunci e sponsorizzate del presidente repubblicano qualora dopo le elezioni mettesse in dubbio il risultato delle urne. Come sostiene in una lunga analisi The Verge, insomma, Facebook per primo dovrebbe essere preoccupato del ban di TikTok e delle sorti dell’app cinese, perché non è detto che «non possa essere il prossimo» destinatario di un simile trattamento da parte di Trump.

L’occasione di farsi strada tra gli (ex) tiktoker affezionati a linguaggi e grammatiche della piattaforma deve essere sembrata ghiotta comunque anche a Google che ha lanciato, al momento solo in India, ma probabilmente rapidamente in arrivo anche in altri paesi, YouTube Shorts.

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