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Così Mattel inventò un target di (ex) bambine che ancora sognano di essere Barbie

storia del brand barbie

Il successo al botteghino di "Barbie. Il film" è l'ultimo tassello di una storia, quella della bambola bionda di Mattel, fatta di intuizione e una visione strategica in cui non sono mancate, però, false partenze e battaglie.

Un monolite di kubrickiana memoria apre Barbie, il live action di Greta Gerwig con Margot Robbie e Ryan Gosling nei panni di Barbie e Ken. Bastano pochi secondi per accorgersi che si tratta della prima bambola Mattel uscita sul mercato in una versione realistica sia nelle dimensioni e sia nei movimenti: Barbie/Margot Robbie agita infatti, imitata da una serie di bambine attorno a lei, un bambolotto fino a distruggerlo, in una metafora visivamente perfetta della storia del brand Barbie.

barbie the movie scena il monolite

La scena del monolite nel film “Barbie” è una citazione da “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick.

I primi passi di Mattel nel mercato dei giocattoli per bambini

Tutto iniziò nel 1945 quando due ingegneri, Elliot Handler e HaroldMatt Matson, fondarono in un garage di Los Angeles un’azienda di cornici. Il nome, Mattel, era una crasi tra il soprannome di uno dei due fondatori e le prime lettere del nome di battesimo dell’altro. Non c’era spazio per un personaggio che comunque si rivelerà fondamentale per la storia del brand Barbie e anche per l’intero mercato dei giocattoli: Ruth Handler, la moglie di Elliot Handler, che ben presto assunse la presidenza della compagnia in una mossa rivoluzionaria per l’epoca e che per molti versi può stupire ancora oggi che ai «fantasmi» delle donne manager, ironizza Barbie. The Movie, è assicurato uno sgabuzzino al diciassettesimo piano del quartier generale.

elliot e ruth handler di mattel

Elliot e Ruth Handler. Fonte immagine: Mattel

Con gli scarti di lavorazione l’azienda cominciò a presto a produrre culle e altri accessori per le case delle bambole: iniziò così la brand extension di Mattel in quello che diventerà in poco tempo il proprio mercato di riferimento, il mercato dei giocattoli.

Un ukulele colorato (“Uke-A-Doodle”) fu il primo vero giocattolo Mattel lanciato sul mercato nel 1947.

uke a doodle mattel

Uke-A-Doodle, un ukulele giocattolo colorato, è il primo giocattolo commercializzato dalla Mattel. Fonte immagine: Mattel

Con la pubblicità in TV Mattel inventa un nuovo target commerciale: quello dei bambini

L’azienda, ancora lontana dal turning point fondamentale della propria storia, ebbe già un’intuizione importante: pubblicizzare i giocattoli in TV e farlo tutto l’anno, non solo durante le festività natalizie come era prassi all’epoca.

Se è vero che i bambini non vanno nei negozi a fare compere, è vero che in molti casi sono i veri decisori degli acquisti: compito della pubblicità è instillare in loro un desiderio e continuare a ravvivarlo con la sua ripetitività.

Mattel non si limitò, così, a mandare in onda in TV semplici spot dei propri giocattoli – nel frattempo si erano aggiunti al catalogo dell’azienda almeno un fucile e una palla magica ispirata all’otto nero del biliardo – ma diventò sponsor del programma “The Mickey Mouse Club” e inventò, in questo modo, un nuovo target commerciale: quello dei bambini, appunto.

La storia del brand Barbie inizia con un viaggio in Europa (e una battaglia di diritti)

È durante un viaggio in Europa con la figlia Barbara che Ruth Handler scoprì Bild Lilli, una bambola adulta ispirata a un personaggio dei fumetti.

L’imprenditrice tornò in America con un’idea che cambierà per molto tempo, se non per sempre, il mercato dei giocattoli, oltre che con un accordo commerciale che di fatto vietava al produttore tedesco della bambola Lilli di continuare a venderla e che sembrava una buona anticipazione di come la storia del brand Barbie sarà sempre anche una storia di battaglie commerciali e legali.

In un mercato affollatissimo di bambolotti e pupazzi con le sembianze di neonati di cui le bambine sono chiamate a prendersi cura per gioco, l’idea di Ruth Handler era disegnare una bambola che assomigliasse in tutto e per tutto a una giovane adulta in cui le bambine potessero immedesimarsi e grazie a cui soprattutto potessero vivere in anticipo situazioni tipiche dell’adolescenza e degli anni successivi.

bild lilli

La bambola Bild Lilli è stata la prima ad avere le sembianze di una donna adulta: era ispirata alla protagonista di un fumetto pubblicato a strisce sul giornale tedesco “Bild”. Fonte immagine: Wikimedia

Nel 1959 Mattel lanciò, così, sul mercato la prima bambola Barbie: indossava un costume intero a righe bianche e nero, delle scarpe con i tacchi, degli orecchini a cerchio e degli occhiali da sole da gatta e aveva i capelli biondi – che presto diventeranno il suo tratto distintivo – acconciati in un’alta coda di cavallo.

prima barbie anni sessanta

La prima Barbie fu commercializzata da Mattel nel 1959.

Presentata a New York durante uno dei più importanti eventi di settore, non sembrò avere inizialmente l’accoglienza sperata: gli uomini dell’industria dei giocattoli si convinsero, infatti, che difficilmente le madri avrebbero acquistato alle proprie figlie una bambola dalle curve evidenti e piuttosto sessualizzata.

Il primo spot di Barbie in TV

Mattel decise allora di puntare di nuovo tutto sulla pubblicità. Il primo spot di Barbie, in bianco e nero, andò in onda durante “Il club di Mickey Mouse” e si trattava di uno spot semplicemente dimostrativo che spiega com’è fatta e come si può giocare con la nuova bambola.

1959 First EVER Barbie Commercial
1959 First EVER Barbie Commercial

Il target è evidentemente un target di bambine che non possono non essere affascinate da una bambola che, per la prima volta, ha le sembianze delle amiche più grandi e non quelle delle sorelle minori e una vita letteralmente tutta da inventare.

Lo spot parla, però, anche ai genitori e fa loro una promessa che non può che sembrare allettante: pagare tre dollari – ossia il prezzo della prima Barbie – per una nuovissima bambola in vinile.

La bambola Barbie è innanzitutto una formula commerciale di successo

Quella di Barbie era una formula anche commercialmente inedita, almeno nel mondo dei giocattoli.

C’era un prodotto principale che costava relativamente poco e funzionava già da solo e per come veniva venduto nella scatola trasparente, altrettanto iconica, tanto da meritarsi in Barbie. Il film un ruolo a sé e da deus ex machina della narrazione o quasi.

Una serie di prodotti complementari come scarpe, abiti, accessori fashion permettevano però – e permettono tuttora – di vivere più pienamente l’esperienza proposta dal brand e sono per questo destinati a trainarne le vendite.

Fin da subito, cioè, la storia del brand Barbie sembra essere la storia di un brand high concept1 che può declinarsi in infinite forme e in infiniti campi, anche diversi da quello originario.

Non a caso basteranno qualche decennio e una serie strategica di operazioni di co marketing  perché il nome di Barbie non sia associato solo a una linea di fashion doll ma anche a gadget di ogni tipo, collezioni di abbigliamento e accessori moda, prodotti editoriali e televisivi per bambini.


Con questa ricetta e contrariamente alle previsioni più pessimiste, Mattel avrebbe venduto secondo delle stime 300mila esemplari della prima Barbie2. Sono poca cosa, comunque, rispetto alle tre Barbie al secondo3 che stando ai numeri ufficiali verrebbero vendute oggi.

Con Barbie Mattel reinterpreta il grande sogno americano

C’è almeno un altro ingrediente fondamentale da considerare per capire il successo della bambola Mattel: Barbie non ha una storia biografica ben definita, nonostante si conoscano alcuni degli amici (come Midge, la Barbie incinta ritirata quasi subito dopo essere stata messa sul mercato e che torna in Barbie. Il film in compagnia di alcune altre bambole che sono state un flop) e il fidanzato Ken (lanciato nel 1962). Questo è un espediente che fa sì che ogni bambina possa inventare una storia a sé e sempre diversa per la propria bambola preferita.

Per un lungo tempo, ancora, Barbie non ha fatto letteralmente niente se non vestirsi di completini eleganti e accessori glam spesso firmati da stilisti famosi. Nel 1962 la bambola è diventata proprietaria di una casa, quella stessa Dreamhouse che i fan di Barbie hanno potuto prenotare su Airbnb in occasione del lancio del film di Greta Gerwig, ma anche allora è cambiato poco: Barbie può lavarsi senza preoccuparsi che dalla doccia esca acqua, fare colazione con dei toast che in qualche modo sono sempre già nel tostapane, guidare una macchina che ha sempre il pieno, passare il tempo tra una festa danzante con le amiche e una sessione di shopping.

barbie dreamhouse

Diventando proprietaria di una “casa dei sogni”, Barbie incarna lo stereotipo delle donne americane degli anni Sessanta e Settanta che trovano realizzazione nel gestire le faccende domestiche. Fonte immagine: Mattel

Una bambola che non ha da preoccuparsi neanche di come indossare i tacchi perché i suoi piedi hanno già la forma delle scarpe col tacco – aspetto che ironicamente diventa il principale espediente narrativo di Barbie. Il Film – sembra la perfetta incarnazione del grande sogno americano. Mattel dimostra fin da subito, cioè, di saper cogliere lo spirito del tempo meglio di come sappiano fare altre aziende di giocattoli.

Il caso G.I. Joe e la guerra commerciale con Hasbro (e gli altri competitor)

In quegli stessi anni iniziò e si concluse rapidamente la parabola di G.I. Joe. Hasbro lanciò il pupazzo nel 1964 nel tentativo esplicito di rincorrere Mattel.

G.I. Joe aveva le sembianze di un militare americano ed era ispirato a uno dei protagonisti di una striscia di fumetti dedicata proprio all’esercito USA. Che fosse destinato a un pubblico esclusivamente maschile lo rese evidente già l’attenzione riposta dagli ideatori nell’evitare qualunque termine che richiamasse il mondo delle bambole, tanto che fu in quella circostanze che nacque il neologismo “action figure”.

gi joe hasbro 1964

Lanciato da Hasbro nel 1964, G.I. Joe intende essere il competitor di Barbie sul mercato dei giocattoli per bambini.

G.I. Joe non riuscì, però, a sparigliare il mercato dei giocattoli per bambini come Barbie aveva fatto con quello delle bambine.

La guerra in Vietnam fece precipitare gli eventi: lo scontento degli americani per le decisioni militari del governo fece sì che le famiglie decidessero spesso di vietare ai bambini di giocare con giocattoli che rappresentavano soldati e armamenti.

Hasbro tentò allora una sorta di rebranding per le proprie action figure trasformando G.I. Joe in un esploratore, ma l’operazione non ebbe un grosso successo.

La battaglia commerciale tra Hasbro e Mattel segnò comunque in maniera più importante di quanto si possa immaginare la storia del brand Barbie. G.I. Joe era, infatti, snodato in oltre venti punti come non lo erano, invece, le Barbie del tempo: la rivalità commerciale fece da sprone per fare ricerca, portando Mattel a rilasciare tra il 1974 e il 1976 Barbie Steffie, la prima Barbie con bacino snodabile.

prima barbie snodabile

Reduce dalla guerra commerciale con Hasbro, tra il 1974 e il 1976 Mattel lancia su diversi mercati Barbie Steffie, la prima Barbie snodabile.

È un pattern, quello di sfruttare possibili minacce commerciali come spunto per innovare o sperimentare nuovi prodotti e nuove possibili brand extension, che si è ripetuto più volte nella storia di Mattel: una storia in cui – diversamente da quanto si potrebbe immaginare, considerato che l’azienda è attualmente seconda per fatturato nel mondo dei giocattoli4, dietro solo a LEGO – non sono mancati passi falsi e momenti bassi.

Nel 2001, per esempio, quando arrivarono sul mercato le Bratz e rischiarono di far vacillare Barbie dalla propria posizione dominante nel mercato dei giocattoli per bambine, Mattel rispose lanciando My Scene: una linea di bambole vestite alla moda e ispirate a personaggi dello spettacolo per cui fu, però, quasi subito citata in giudizio dalla MGA Entertainment, la casa produttrice delle Bratz, e alla fine condannata dalla corte californiana.

mattel my scene

My Scene è la linea di bambole lanciata da Mattel agli inizi degli anni Duemila per far fronte alla concorrenza di Bratz.

La lunga strada percorsa da Barbie per affrancarsi dallo stereotipo della bambola bionda

I casi in cui il brand Barbie si è trovato a fronteggiare le minacce del mercato appaiono, però, numericamente inferiori nel corso della sua storia rispetto a quelli in cui ha provato a sfruttarne a proprio vantaggio le opportunità. Una spiccata capacità di ascoltare il mercato è stata essenziale in questo senso.

Nella seconda metà degli anni Sessanta, per esempio, Mattel si rese conto che il mondo femminista cominciava a rimproverarle di aver inculcato nelle bambine degli stereotipi di bellezza e sui ruoli di genere potenzialmente pericolosi e al minimo poco rappresentativi delle reali condizioni femminili. Non tutte le donne possono permettersi un make-up e una manicure perfetta a tutte le ore e non a tutte è concessa come principale occupazione giornaliera prendersi cura della propria villa.

Nel 1965 così l’azienda lancia una Barbie astronauta che, come si legge in una sorta di linea del tempo della storia di Barbie sul sito ufficiale di Mattel, è «la prima persona ad atterrare sulla luna»5 prima ancora di Armstrong e Aldrin.

barbie astronauta

Nel 1965 Barbie astronauta è la prima “persona” ad andare sulla luna, prima ancora di Armstrong e Aldrin. Fonte immagine: Mattel

La bambola ha iniziato così una lunga carriera che la vedrà diventare pilota, autista della metro di Mosca, cuoca, pizzaiola, veterinaria, medico in prima linea durante la pandemia da COVID-19 e qualsiasi altra cosa le bambine sognino di diventare da grandi, per parafrasare il jingle di una campagna televisiva di Barbie del 1985: “We girls can do anything”.

Barbie “We Girls Can Do Anything

Screen dal video: Barbie “We Girls Can Do Anything” Campaign (1985)

 

L’anno successivo è uscita una Barbie in tailleur rosa e con tanto di valigetta 24 ore (la Barbie Day-to-Night) che racconta la scalata di Barbie nell’organigramma aziendale e prova a convincere le bambine che se Barbie è riuscita a rompere il soffitto di cristallo diventando CEO non c’è motivo per cui non possano fare lo stesso.

barbie ceo

La Barbie Day-to-Night, conosciuta anche come Barbie CEO, indossa un tailleur e porta con sé una valigetta 24 ore simbolo della propria realizzazione professionale. Fonte immagine: Mattel

Questa e altre scelte simili non hanno risparmiato nel tempo Mattel dalle accuse di pink washing.

Le accuse di pink washing rivolte a Mattel e la risposta autoassolutoria del brand

La tesi dei detrattori dell’azienda è che è fin troppo facile credere di poter colmare il «dream gap» tra uomini e donne proponendo alle ultime di giocare con delle bambole che hanno ruoli importanti e carriere ben avviate. Un po’ meno facile è fare i conti da – ormai ex – bambine cresciute giocando con le Barbie con un mercato del lavoro che in realtà è ancora numericamente dominato dagli uomini e tarato sulle loro esigenze, come nota anche Barbie/Margot Robbie durante la propria avventura fuori da Barbieland.

barbie the movie headquarter scene

Nel film di Greta Gerwig, quando arriva al quartier generale di Mattel, Barbie si accorge che nell’azienda non ci sono donne in posizioni apicali e che fuori da Barbieland il mercato del lavoro è decisamente dominato dagli uomini.

L’intento del film potrebbe essere in questo senso (auto)canzonatorio e (auto)assolutorio allo stesso tempo6 .

Quando si tratta di questioni di genere e di diritti delle donne, dentro e fuori dal mercato del lavoro, è fondamentale che i business facciano la propria parte ma anche il migliore reparto DEI o il miglior progetto di CSR incentrato sull’empowerment femminile rischiano di scontrarsi con un mondo fuori in cui i cliché e i pregiudizi di genere sono ancora piuttosto duri a morire. Quello che può fare un brand, soprattutto se è un love brand come Barbie, e forse addirittura quello che consumatori si aspettano che un love brand faccia è provare a ispirare le persone.

È per questo che Mattel ha iniziato a dedicare negli anni bambole in edizione speciale alle grandi figure femminili della storia, dell’arte, delle discipline STEM, dello sport, dello spettacolo: da Frida Kahlo a Ella Fitzgerald, da Samantha Cristoforetti a Bebe Vio passando per la Regina Elisabetta.

È stato soprattutto un modo per riattualizzare la visione aziendale che, fin dall’inizio della storia del brand Barbie, è stata quella di lasciare le bambine libere di scrivere e riscrivere la storia della propria bambola preferita e, insieme, la propria storia.

barbie inspiring women

Si arricchisce ogni anno di nuovi item la serie “Inspiring Women” di Barbie dedicate alle grandi figure femminili della storia, dell’arte, delle discipline STEM.

Il gioco è anticipazione, infatti, ma è da sempre anche aspirazione e immedesimazione: immaginando vite fantastiche per le proprie bambole o per le proprie action figure preferite i bambini immaginano e cominciano a progettare il proprio futuro. È più facile pensare che un giorno il mondo possa cambiare se tutti possono sognare di fare una scoperta che rivoluzionerà la medicina o di andare nello spazio indipendentemente da dove provengono, qual è il colore della propria pelle o il reddito della propria famiglia, se sono maschi o femmine o hanno qualche disabilità.

Oggi Barbie è davvero un giocattolo più inclusivo?

Non si può provare a riassumere la storia del brand Barbie senza citare almeno il suo percorso verso una maggiore inclusività.

barbie christie 1965

Arrivata per la prima volta sul mercato nel 1965, Barbie Christie è la prima Barbie nera.

Dopo Christie, la prima Barbie nera lanciata ’65, sono arrivate negli anni Barbie curvy, Barbie senza capelli, Barbie con la vitiligine, Barbie in sedia a rotelle, Barbie con arti artificiali, Barbie con sindrome di Down e in tempi più recenti anche delle bambole senza genere e un Ken Sirenetto che rendono definitivamente obsoleta la distinzione tra giocattoli per bambine e giocattoli per bambini.

L’intento è va da sé anche spiccatamente commerciale: raggiungere anche quella una fetta di pubblico che non ha mai giocato con le Barbie, o addirittura ha sempre detto di odiare le Barbie come la figlia della co-protagonista di Barbie. Il film, semplicemente perché era difficile trovare una Barbie da cui si sentisse rappresentato fino in fondo.

modelli barbie inclusivi

Dalla bambola in sedia rotella a quella con la vitiligine, molti modelli nel tempo hanno provato a rendere Barbie più inclusiva e per tutti.

Alcuni studi, tra cui quello curato dalla Pepperdine University di Malibù7, sembrerebbero però dimostrare con i numeri che le Barbie curvy, nere, ispirate a grandi donne del passato o del presente non hanno sulle bambine lo stesso fascino che continua ad avere la Barbie classica.

Forse qualcosa non ha funzionato nella strategia di comunicazione di Barbie che in ogni caso si è fatta negli anni sempre più stratificata e pervasiva, tanto che oggi Barbie ha profili Instagram, profili TikTok e persino un vlog con l’amica Nikki da cui parla dei grandi temi del momento.

Forse la posizione di Mattel nel mercato dei giocattoli è meno solida di quanto gli stessi numeri sembrerebbero suggerire (secondo gli ultimi disponibili il gruppo, di cui fanno parte anche Hot Wheels, Fisher-Price, Polly Pocket, UNO, Masters of the Universe, avrebbe un fatturato di almeno 5.4 miliardi di dollari e un utile netto di 70.6 milioni di dollari).

Forse il restyling di Barbie per sopravvivere alla morte del mercato dei giocattoli per sole bambine non è riuscito come ci si aspettava e Barbie è destinata, quindi, a restare un prodotto per millennials che hanno giocato con la bambola di casa Mattel negli anni del suo stesso boom, che hanno fatto del Rosa Barbie8 un colore manifesto e ora letteralmente riempiono i cinema e impazziscono per le innumerevoli collezioni speciali e collab dedicate a Barbie.The Movie. Se così fosse, la possente operazione messa in piedi da Mattel e Warner Bros. e che ha garantito al film di Greta Gerwing il record di incassi già al primo giorno in sala9 non sarebbe che una possente operazione nostalgia, come probabilmente se ne vedranno in futuro sempre di più10.

Note
  1. Wyatt J. (1994), High Concept. Movies and Marketing in Hollywood, University of Texas Press, Austin.
  2. A&E Networks, 2021, “I giocattoli della nostra storia”, stagione 1, episodio 2, disponibile su Sky
  3. BBC
  4. Fonte: Wikidata
  5. Mattel
  6. Fanpage.it
  7. Brocardo E. (2023), È sempre tempo di Barbie, in «Grazia», n. 31-32
  8. Instagram/@pantone
  9. Mymovies.it
  10. Il Post

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